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Se pensate davvero che Immuni ci darà la libertà di uscire, vi illudete

Eugenio Cau

La app è utile, ma è meglio andarci piano con gli entusiasmi stile Repubblica

Milano. Perché il premier Giuseppe Conte non ha citato la app Immuni nella sua conferenza stampa di domenica sera? Il primo ministro non ne ha citate tante di cose che avremmo voluto sentire, ma non aver nemmeno sfiorato il tema del tracciamento dei contagi tramite app ha stupito molti. Ma come, si sono chiesti, prima il governo sceglie una app per tracciare i contagiati e ce la presenta come un elemento chiave per allentare il lockdown, come la grande panacea digitale che ci ridarà la libertà di uscire di casa e visitare i parenti, e poi nella conferenza stampa sulla “fase 2” la app non è nemmeno citata? Ci sono due ragioni principali per cui Conte non ha citato Immuni. La prima è che la app non è pronta, e non lo sarà ancora per un bel po’. I test cominceranno soltanto a maggio inoltrato e sarà possibile scaricarla non prima di giugno – se tutto va bene, altrimenti si rimanda ulteriormente. La seconda ragione è che non ve l’hanno spiegata bene, questa app.

 

  

Ancora ieri, sul sito di Repubblica si leggeva che Immuni è “la app che doveva ridarci la libertà di movimento” e che senza la app “qualunque vero alleggerimento delle misure collettive di isolamento sociale equivale alla certezza di nuovi focolai”. Insomma, la app è la nostra arma migliore per porre fine all’odioso lockdown. Ecco, no. Se facciamo un elenco di tutte le misure che ci servono per la “fase 2” (tamponi, test sierologici, reparti Covid negli ospedali, reagenti, mascherine, visiere protettive e così via) e le mettiamo in ordine di importanza e di priorità, la app è una delle ultime, se non l’ultima.

 

Ma come, direte, anche l’Oms dice che il tracing, cioè il tracciamento dei contagiati, è fondamentale per la riapertura e per sconfiggere il coronavirus. Il tracing, sì. Ma l’Oms non ha mai menzionato il tracing con una app. Il fatto è che il tracciamento manuale, fatto da dottori e tecnici che intervistano uno per uno i malati, si fa da secoli e sappiamo per certo che funziona. Sul tracing digitale con app, invece, brancoliamo nel buio. E’ la prima volta nella storia che proviamo a farlo e non siamo sicuri che funzionerà. Gli studi a riguardo sono pochi e inconcludenti, tanto che, come ha segnalato Fabio Chiusi su Valigia Blu, perfino la Commissione europea ha scritto che che “in generale, l’efficacia di queste applicazioni non è stata valutata”. Il celebre Ada Lovelace Institute ha scritto di recente che “c’è un’assenza di prove a supporto dell’immediata adozione di applicazioni per il tracciamento a livello nazionale”. L’unico studio esistente finora che conferma tramite calcoli matematici l’utilità del tracciamento con app è uscito a fine marzo su Science ed è promettente, ma come sanno gli studiosi un solo paper non fa primavera. Bill Gates, in un articolo uscito ieri sul Washington Post, ha scritto che le app di tracciamento stile Immuni “potrebbero dare una mano, forse”. C’è un abisso tra “dare una mano, forse” e “ridarci la libertà”.

  

 

Ma come, direte, in Corea hanno la app e si sono salvati. E’ falso anche questo. Le app in Corea del sud sono molte e sono un minuscolo frammento di un sistema di prevenzione e tracciamento supercomplesso che fa molto affidamento sul fattore umano e poco su quello digitale. L’esempio semmai è Singapore, dove hanno lanciato Trace Together, la app che ha ispirato Immuni. Peccato che Trace Together non stia funzionando, il primo ministro della città-stato ha detto che il governo non è riuscito a tracciare il virus in tempo.

 

E dunque Immuni è una perdita di tempo? Non esageriamo. Immuni, se riuscirà a integrarsi in un sistema complesso di tracciamento e prevenzione, potrebbe “dare una mano”, come dice Bill Gates. E quindi ha senso perseguire il suo sviluppo, e ha senso scaricarla una volta che uscirà. Ma Immuni sarà soltanto un piccolo pezzo di un puzzle enorme. E chi pensa che con una app sul telefonino si possa fermare lo scoppio di nuovi focolai di coronavirus purtroppo si sta illudendo. Ecco perché Conte aspetta a citarla.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.