Congiunti, fidanzati, coppie di fatto. Il caos affettivo della Fase due
Palazzo Chigi precisa che “gli affetti stabili” sono compresi tra coloro che potranno incontrarsi a partire dal 4 maggio. C'è anche un precedente da citare: una sentenza della Cassazione del 2014
“Come la fase 1, ma con la suocera”, ironizzano in rete sull'annuncio domenicale di Giuseppe Conte, che non lo si attendeva come un liberi tutti, magari, ma nemmeno come il poco che si è rivelato. Tra le principali novità quella di poter andare a trovare i “congiunti”. Tralasciando le prescrizioni sull'evitare assembramenti familiari (ci aspettiamo un carabiniere con il conta persone davanti al portone di mamma?) e sull'utilizzo di mascherine e distanziamento sociale anche in salotto (elemento che si presta più ad agevolare faide e ripicche familiari, “se non la smetti ti faccio multare”, che a commenti seri) rimane una questione fondamentale: chi diamine sono i “congiunti”?
A rigor di logica sono i parenti, di primo, secondo, terzo (quarto, quinto, sesto?) grado, e sempre a rigor di logica dall'impeto definitorio rimarrebbero fuori compagni, compagne, fidanzati, fidanzate e tutti quei rapporti che esistono ma non sono bollinati dallo Stato. Ma fonti di Palazzo Chigi spiegano che no, anche loro saranno dentro, “aspettate le Faq”, saranno compresi anche gli “affetti stabili”, l'intensità e la solidità dei quali da misurare probabilmente con un apparecchio simile all'alcol test: ti fermo, stai con la tua fidanzata da dieci anni? Soffi qui dentro per capire se è vero.
E le coppie di fatto? Dovrebbero anche loro rientrare nella vaga definizione scelta dal governo. La legge Cirinnà del 2016 riconosce reciproca assistenza morale e materiale a chi vive sotto lo stesso tetto legati da un rapporto affettivo. Non ha importanza se i due siano dello stesso sesso o meno, è la convivenza affettiva a determinare il status giuridico. Non c’è l’obbligo di formalizzare la convivenza; chi decide di farlo, però, può presentare una dichiarazione all’anagrafe, dichiarando di abitare nella stessa casa.
In attesa di una circolare interpretativa che fonti del Viminale assicurano al Foglio che arriverà entro la settimana, il vasto popolo dei more uxorio oltre al modulo dell'autocertificazione si potrà munire di una sentenza della Cassazione per difendersi dai controlli del controllore più realista del re. Andiamo con ordine. Il provvedimento del governo utilizza la parola “congiunti”. Nello scrivere le leggi non si opta spesso per la definizione giuridica, la più semplice, in questo caso “parenti e affini” per la quale sono previste una serie di tutele contenute nel Codice civile. Una definizione chiara, già consolidata a livello normativo e giurisprudenziale.
Invece quella di “prossimi congiunti” - spiega una fonte del Csm - “è un’espressione vaga, utilizzata in diversi settori dell’ordinamento, ad esempio in sede penale per quanto riguarda i casi di non punibilità per alcuni reati, quelli di banda armata”. Un’emergenza di questo genere richiederebbe l’uso di nozioni già consolidate, per evitare errori e ricorsi in tribunale. Una crisi del legislatore? Possibile. Di certo le norme spesso si prestano a creare ambiguità. E se una regola è ambigua come la si può seguire ma, soprattutto, come la si può far rispettare? Un altro esempio: in questi ultimi due mesi i decreti hanno parlato allo stesso modo di domicilio, residenza e abitazione. Nei primi due casi ci sono le norme del Codice civile che chiariscono cosa sono, mentre il terzo concetto è un istituto molto vago. I testi governativi non aggiungono specifiche e dunque è difficile capire se l’abitazione corrisponde al domicilio di fatto o meno. In una norma giuridica, con un po’ di buon senso, andrebbero utilizzate categorie giuridiche. Ma non sembra questo il caso.
Uno spunto per fare un po’ di chiarezza, come detto, si potrebbe trovare nella sentenza della Cassazione del 2014, che ricomprende i rapporti di fidanzamento tra non conviventi nella definizione di “prossimi congiunti”, seppure ai fini del risarcimento del danno da reato o da illecito civile. Dice infatti la Corte (sez. IV, 16 ottobre 2014, n. 46351) che “il riferimento ai 'prossimi congiunti' [...] deve essere inteso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze che ne siano derivate [...] a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali”. Tradotto: congiunto è anche il fidanzato o il compagno, non serve un atto di fronte a un ufficiale pubblico a renderlo tale.
È chiaro che la definizione non è automaticamente estensibile al di fuori dei due ambiti della sentenza (danno da reato o illecito civile). Così come non è detto che il bilanciamento tra principi (libertà di movimento e salute pubblica) conduca in futuro a un’interpretazione alternativa della norma. Ma il precedente giurisprudenziale potrebbe aprire vie alternative. Se qualcuno dovesse ricorrere contro sanzioni previste dal lockdown e l’emergenza coronavirus, non è escluso che la sentenza della Cassazione potrebbe dare spunto per interpretazioni più ampie. Inglobando i legami affettivi nel concetto di congiunti. In ogni caso, se in tribunale la bilancia pendesse maggiormente in favore delle libertà personali quel “congiunti” potrebbe essere interpretato estensivamente. Viceversa, qualora si ritenesse prevalente la tutela della salute, la disposizione verrà interpretata in maniera più restrittiva. A leggere le norme così come sono state scritte si evidenzia un paradosso: se una persona è vittima di omicidio il partner avrebbe buone possibilità di ottenere un risarcimento del danno, ma se lo stesso fidanzato vuole incontrare il suo partner dopo il 4 maggio avrebbe ottime chance di venire multato. In quanto non gli viene riconosciuto nessun legame nei fatti.
Di tutto questo l'ufficio complicazioni affari semplici di Palazzo Chigi sembra essersi accorto ex post. C'è tempo fino al 4 maggio per rimediare.
I guardiani del bene presunto