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Riaprire con metodo, ma non riaprire tutto. Guida ragionata

Giorgio Barba Navaretti, Giacomo Calzolari e Alberto Pozzolo

La riapertura mirata di 20 microsettori più rilevanti aiuterà ad attenuare l’impatto negativo del lockdown sul pil del 30%

L’articolo di Luigi Guiso e Matteo Paradisi, pubblicato martedì sul Foglio, coglie un punto cruciale: occorre seguire un metodo per individuare i settori da riaprire che tenga conto sia del rischio per i lavoratori, nella consapevolezza che non sarà mai possibile azzerarlo completamente, sia dell’efficacia economica. E’ essenziale che si definiscano priorità oggettive sulla base di criteri chiari, per evitare ogni arbitrio nei processi di riapertura, magari frutto di decisioni basate sull’emotività e sulle capacità di lobbying. E questo è ancor più vero se pensiamo che parte del processo decisionale è lasciato nelle mani dei prefetti, ai quali sarebbe assai utile una definizione di criteri chiari dell’impatto economico delle loro scelte, quando dovessero ad esempio trovarsi costretti a decidere tra la chiusura di uno stabilimento piuttosto che un altro a causa dell’impossibilità di rispettare le distanze durante i trasferimenti verso i posti di lavoro.

  

Identificare le attività prioritarie non è semplice. Quelle oggi escluse dal lockdown sono state identificate sulla base di considerazioni quasi obbligate, legate a criteri di prima necessità sanitari e dei bisogni essenziali, come l’alimentazione. La “fase 2” richiede invece scelte più discrezionali, e quindi maggiormente soggette a critiche, pressioni, interessi opportunistici. Un primo approccio potrebbe essere quello dimensionale: si riaprono i settori che rappresentano una quota maggiore del pil. Ma potrebbe rivelarsi una scelta semplicistica e rischiosa: dato l’intreccio delle catene produttive, ci sono attività la cui incidenza sul pil è limitata, ma che sono nodi fondamentali per il funzionamento di più filiere e per questo motivo hanno un impatto indiretto molto significativo sulla capacità produttiva dell’intero paese.

 

Tenere conto delle relazioni all’interno delle catene produttive non è semplice, ma è possibile. In un recente lavoro, abbiamo messo in relazione le informazioni delle matrici input-output dell’economia italiana prodotte dall’Istat e quelle della struttura delle filiere prodotte da Prometeia. Abbiamo così identificato le attività produttive la cui chiusura totale o parziale abbia avuto un impatto maggiormente negativo sul pil, tenendo conto anche della capacità di ogni settore di attivare quelli connessi. E’ una metodologia che sviluppa ed estende l’approccio dell’economista Wassily Leontief (premio Nobel nel 1973), in grado di fornire informazioni di grande importanza in una fase come questa. All’interno di settori di attività più aggregati abbiamo poi selezionato quei microsettori che hanno un ruolo centrale perché contribuiscono al funzionamento di un più ampio numero di filiere produttive.

 

I risultati mostrano che la riapertura mirata dei 20 microsettori più rilevanti permetterebbe di attenuare l’impatto negativo del lockdown sul pil di oltre il 30 per cento. Il valore della produzione delle imprese passerebbe dall’attuale 56 per cento al 76 per cento dei livelli pre-Covid, trainato dalle filiere della meccanica, che passerebbe da un output attuale del 37 per cento all’84 per cento, e delle costruzioni, che passerebbero dal 31 per cento al 77 per cento.

   

La riapertura di altri 30 microsettori, 10 dei quali di piccole dimensioni ma cruciali per il funzionamento di alcune catene produttive, consentirebbe a filiere come l’agroalimentare, i media e le telecomunicazioni, i trasporti e la logistica, l’energia le utility, la salute e la meccanica di tornare ad essere quasi interamente attive, con valori della produzione potenziale tra il 93 per cento e il 100 per cento dei livelli pre-Covid. Per le filiere dell’arredamento e della moda sarebbero completamente riattivati alcuni importanti sbocchi commerciali, quali i mobili, l’abbigliamento e il tessile per la casa. Tutto questo sarebbe possibile pur aprendo solo altri 50 microsettori, oltre a quelli che non sono mai stati chiusi, ovvero, poco più di un quarto dei 192 microsettori dell’economia italiana. Ovviamente, riaprire attività meno centrali avrebbe invece un impatto assai inferiore sulle attività economiche, anche a parità di rischio di contagio. Per questo è cruciale usare un metodo rigoroso nel processo decisionale, avendo chiari sia gli obiettivi sia i vincoli.

  

Due importanti dimensioni economiche sono al momento omesse dalla nostra analisi. La prima è quella relativa all’impatto sul territorio: alcune attività sono concentrate in zone specifiche del paese e una rigorosa strategia di riapertura deve tenere conto dell’impatto differenziale sull’economica locale nelle diverse aree. La seconda è quella delle importazioni di componenti e delle esportazioni: le nostre imprese a maggior vocazione internazionale non possono perdere le posizioni all’interno delle global value chain che spesso hanno impiegato anni a consolidare, e che potrebbero venir cancellate e finire nelle mani di concorrenti esteri in seguito al lockdown. Entrambe queste dimensioni possono però essere analizzate, attraverso le matrici input-output regionali e le world input-output tables. Sono strumenti noti e facilmente accessibili ai tecnici di molte nostre istituzioni.

 

A prescindere dall’implementazione della “fase 2”, dobbiamo anche essere preparati alla necessità, che speriamo remota, di dover procedere a nuove temporanee chiusure nei prossimi mesi o anni. Per questo è fondamentale lavorare al miglioramento dei metodi oggi disponibili, come cerchiamo di fare con la metodologia discussa in questo articolo. I costi di scelte che si dovessero rivelare errate e che sarebbe stato possibile evitare utilizzando in modo adeguato le migliori informazioni disponibili potrebbero davvero diventare insostenibili.

 

Molti oggi sembrano spingere per una riapertura di tutte le attività produttive, senza distinzione. Non escludiamo che possa essere la scelta giusta, anche perché oltre all’impatto economico bisogna valutare contemporaneamente quello sulla catena dei contagi. Ma ogni opzione ha costi e benefici, che devono essere analizzati rigorosamente a priori.

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