(foto LaPresse)

Endemico Covid

Enrico Bucci

Il destino del virus sembra segnato. E ora testare, tracciare, curare. Per evitare i danni che abbiamo già subito

Il virus con cui abbiamo a che fare è destinato a diventare endemico. Ce lo suggeriscono il buon senso e i modelli pubblicati recentemente anche su Science. Come possiamo convivere con il virus ed evitare i danni che abbiamo già subito? Certamente utilizzando tutti mascherine e misure individuali di protezione (in primis per il personale sanitario), ma soprattutto prevedendo alcune misure necessarie. La prima delle capacità di cui abbiamo bisogno è quella di intercettare nuovi focolai infettivi per tempo. Se, nella fretta di rilanciare l’economia (ma sarebbe più onesto dire la finanza), riapriremo le fabbriche e le città senza avere la capacità di controllo dell’infezione necessaria, presto saremo di nuovo tutti a casa o in ospedale, e il paese si fermerà di nuovo – senza parlare delle conseguenze sanitarie.

 

Ecco perché serve un test economico ed efficiente per milioni di persone, da poter ripetere con regolarità in modo da scoprire nuovi focolai. L’unico test che teoricamente potrebbe avere le caratteristiche richieste è quello rapido, da effettuare per esempio nelle comunità lavorative ogni due settimane: un aumento del tasso di IgM e IgG potrebbe segnalare una ripresa locale delle infezioni, scatenando la risposta diagnostica di secondo livello (diagnostica e sierologica centralizzata) e le misure di contenimento appropriate. Per questo, il commissario Arcuri ha appena avuto l’incarico di individuare il test adatto per un acquisto su larga scala.

 

E’ bene che il test rapido da acquistare sia innanzitutto ben riproducibile – perché specificità e sensibilità possono essere accresciute da ripetizioni multiple del test (ring testing). Dobbiamo quindi validare per bene i kit da usare: riproducibilità, specificità e sensibilità devono essere determinate in modo solido. Bastano due settimane di lavoro su qualche centinaio di campioni. In seconda battuta, dobbiamo disporre delle capacità necessarie per i test centralizzati di secondo livello – PCR e sierologici – in modo da ottenere risultati di conferma in 24 ore, se i kit rapidi mostrano in una comunità un incremento della positività. Basterebbe un laboratorio per provincia, ben attrezzato; anche questo non dovrebbe essere impossibile da ottenersi. In terza battuta, dovremmo avere la capacità di identificare a ritroso chi testare, ove vi sia la conferma di nuovi positivi al virus: per questo si possono utilizzare App che diano garanzie di efficacia ma anche di sicurezza dei dati, e che abbiano passato il vaglio dell’authority.

 

In quarta battuta, bisogna che l’eventuale App allerti la medicina territoriale in modo da rintracciare i contatti dei soggetti positivi e sottoporli al test diagnostico di primo livello (seguito da quello confermativo di secondo livello). E’ poi necessario valutare attentamente le possibilità di gestione domiciliare dei positivi e dei malati come fatto in alcuni ambiti territoriali, ad esempio l’Emilia-Romagna ed alcune provincie italiane; ciò ha permesso di contenere la pressione sugli ospedali e soprattutto di limitare il fenomeno delle infezioni comunitarie a essi dovute.

 

Infine, è ovvio che la gestione ospedaliera dei casi più seri deve essere migliorata ovunque, sia mantenendo intatto il triage, sia separando i pazienti Covid dagli altri, sia diminuendo i contatti tra squadre di personale dedicate ai padiglioni Covid e gli altri, sia infine rinforzando ulteriormente le nostre unità di terapie intensive; il tutto, beninteso, arruolando nel tempo più personale di quanto non sia disponibile oggi. Si tratta di alcuni elementi utili a isolare e contenere il virus, da affiancare a molti altri per tentare di conviverci; in attesa, ovviamente, di quei progressi della clinica e della ricerca che potrebbero renderlo meno pericoloso.

Di più su questi argomenti: