(foto LaPresse)

Test rapidi, ma affidabili

Enrico Bucci

Si parla di mappare il più velocemente possibile gli immuni. Una strategia valida, ma occhio a non correre rischi

Si fa moltissimo parlare di test rapidi per stabilire chi è immune al virus, quanta parte della popolazione ha gli anticorpi e quindi come riaprire almeno in parte le attività produttive. Per questo sento la necessità di spiegare alcuni semplici concetti di diagnostica, in modo da far comprendere al lettore quali sono i limiti di questa strategia quando applicata su larga scala.

 

Proviamo a immaginare uno scenario in cui il 3 per cento della popolazione sia stato esposto al virus e abbia sviluppato immunità, un valore piuttosto alto ma non impossibile. Immaginiamo che questa situazione corrisponda bene a una situazione quale quella del Veneto; che cioè in quella regione 3 cittadini ogni 100 siano ormai immuni al virus e abbiano anticorpi circolanti rilevabili. Ora immaginiamo anche che una ditta cinese ci fornisca un test che è capace con buona precisione – diciamo il 97 per cento – di trovare gli anticorpi nel sangue dei soggetti di chi li possiede. Un test così buono, cioè, che 97 volte su 100 chi possiede gli anticorpi risulti diagnosticato come immune. Supponiamo infine che sulla base dei risultati di questo test stabiliamo chi possa tornare al lavoro, e in definitiva a una vita normale, e che l’immunità di gregge sia garantita quando il 60 per cento di una comunità sia immune (il che è coerente con un R0 del virus circa uguale a 2,5, la migliore stima di cui disponiamo). 

 

Per quello che abbiamo detto, ogni 100 persone testate, avremo 3 soggetti immuni e identificati correttamente dal test, oltre a 3 soggetti non immuni, erroneamente diagnosticati dal test come protetti. Significa quindi che, quando rilasceremo dalla quarantena i nostri 6 soggetti, solo il 50 per cento di essi sarà realmente immune. E’ evidente che quindi rilasceremo dal lockdown una popolazione in cui l’immunità è al di sotto della soglia utile per l’immunità di gregge: il virus ritornerà a circolare, e rischieremo una nuova epidemia.

 

Dal ragionamento fatto, possiamo dedurre alcune cose: innanzitutto, la precisione del test che utilizziamo deve essere molto alta e molto accuratamente determinata e, in secondo luogo, che tanto più è basso in una regione il numero di soggetti realmente immuni, tanto più pericoloso sarà affidarsi a test la cui precisione non sia prossima al 100 per cento – e quindi soprattutto le regioni in cui il virus è circolato poco devono richiedere la massima stringenza dei test sierologici.

 

Come possiamo assicurarci che questi test siano soddisfacenti? Dopo avere determinato qual è la precisione di un dato test, esiste un metodo semplice per aumentarla a piacere: ripetere il test sullo stesso soggetto più di una volta, annullando l’effetto degli errori diagnostici inevitabili.

 

Sempre, naturalmente, che sappiamo ciò che stiamo facendo, e non ci interessa di comprare e usare un test qualunque, per dimostrare di fare qualcosa.

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