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Cattivi scienziati

Rimedi che non lo erano

Enrico Bucci

Capire con il gioco dei dadi l’efficacia dell'Avigan, il “farmaco giapponese” reso famoso da uno youtuber. Stop, please

Abbiamo chiesto al biologo Enrico Bucci di aiutarci a trovare ogni giorno un tema utile da offrire ai lettori per avere uno spunto di riflessione in più sul tema del contenimento del coronavirus. Questa è la prima puntata della sua rubrica, il titolo, crudo, ovviamente parla da sé: cattivi scienziati.

 


 

Desidero inaugurare questo piccolo spazio quotidiano sul Foglio ringraziando innanzitutto il direttore e il giornale per aver concesso uno spazio fisso a un ricercatore, un fatto raro di questi tempi in Italia. Grazie, grazie davvero. Spero, da questo spazio, di poter rendere un buon servizio ai lettori e ai cittadini tutti. Fatta questa breve, ma doverosa, premessa, oggi vorrei provare a rispondere a una semplice domanda, innescata dalle ultime notizie circa la pressione politica e di certo pubblico per iniziare rapidamente la sperimentazione clinica dell’ennesimo “rimedio magico” di cui questo paese non sembra mai voler fare a meno: l’Avigan, un farmaco antinfluenzale che uno youtuber fino a ieri ignoto ai più ha reso famoso come “l’arma segreta” giapponese per contrastare COVID-19. Gli scienziati si sono espressi negativamente sulle evidenze di efficacia prodotte in Cina, innanzitutto per il fatto che gli studi riguardano pochi pazienti, poi anche perché non sono “in cieco” né con controlli appropriati, e infine perché il comparatore nei due studi disponibili è sempre stata un’altra molecola sperimentale. Ma siamo in emergenza, dice qualcuno, come fanno gli scienziati a insistere su studi regolati e risultati ineccepibili?

 

Per semplicità, qui discuteremo solo il numero di pazienti. Supponiamo di avere due dadi, che lasciamo alternativamente rotolare; con il primo, dopo 35 tiri, otteniamo il 70 per cento delle volte un numero maggiore del secondo. Possibile. Ne dedurremmo forse che il primo dado è “migliore” del secondo? No, si tratta di un caso. Ora, vedete, Avigan in uno dei due studi cinesi è stato testato esattamente su 35 pazienti, ed è risultato superiore al controllo in circa 70 per cento dei casi. Ma sono troppo pochi “tiri di dado” perché questo risultato significhi alcunché.

 

Ed ecco perché ieri il direttore senior dell’azienda produttrice del farmaco ha dichiarato: “Al momento non esistono prove scientifiche cliniche che dimostrino l’efficacia e la sicurezza di Avigan contro Covid-19 nei pazienti”.

 

Non abbiamo il diritto di mettere a rischi i pazienti su basi così labili.

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