Cattivi scienziati
A scuola dal virus
Finché vi sono umani a disposizione in abbondanza, non è detto che emergano ceppi meno letali
Gli italiani, tradizionalmente a digiuno di cultura scientifica e anche piuttosto ostili a essa, hanno trovato negli ultimi mesi un formidabile maestro, cui prestano attenzione come forse mai prima: il coronavirus Sars-CoV-2.
Una delle lezioni cui si è prestata maggior attenzione è quella dell’alta capacità del virus di mutare, accolta con paura o speranza a seconda di quale vulgata sia stata diffusa: quella di mutazioni che avrebbero aumentato la letalità di un inesistente ceppo padano o quella del virus che muterà inevitabilmente in direzione di una minore letalità, per evitare di sopprimere l’ospite di cui ha bisogno. In realtà, sarebbe meglio dare uno sguardo più da vicino ai processi che regolano l’adattamento di un virus al suo ospite umano. Partiamo dalle cose semplici, che dovrebbero essere patrimonio di tutti: non esiste “il” virus, ma una popolazione altamente diversa che produce nel complesso cifre inimmaginabili di nuovi individui leggermente diversi fra loro man mano che si espande nella popolazione umana. Alcuni di questi individui, per puro caso, risultano avere qualche piccolo vantaggio nel numero di discendenti che sono in grado di lasciare: una maggiore efficienza di replicazione, una migliore capacità di attaccare le cellule umane, una migliore capacità di sfuggire al sistema immunitario o altre caratteristiche vantaggiose. Altri singoli virus magari non hanno particolari capacità, ma riescono a raggiungere una popolazione di ospiti particolarmente densa – come un ospedale o un condominio – dove, in assenza di competitori, saranno gli unici a replicarsi, raggiungendo numeri elevatissimi prima che si affacci qualche loro confratello a minacciarne la locale supremazia.
Dobbiamo quindi immaginare un variabilissimo e mutevole insieme di sottopopolazioni virali in competizione fra loro per conquistare quanti più esseri umani possibili, sulla base del vantaggio acquisito mediante mutazioni casuali su un numero grandissimo di discendenti. Ogni virus acquista un biglietto alla lotteria di Darwin, e se sarà un biglietto vincente dipenderà da caratteristiche come quelle elencate e dal caso – trovarsi al momento giusto nel posto giusto, con molti umani accessibili rapidamente.
Finché vi sono umani a disposizione in abbondanza, i quali siano a contatto fra loro, non è affatto detto che emergano ceppi meno letali; se il numero di umani infettabili non è limitante, infatti, la morte di una persona è irrilevante per un virus in grado comunque di propagarsi al successivo prima che il suo ospite perisca. Se però emergono casualmente virus che riescono a mantenere a lungo infettivo il proprio ospite, per esempio non debilitandolo in maniera eccessiva e dunque non limitandone gli spostamenti e i contatti sociali, questi sono effettivamente favoriti e possono rimanere stabilmente con noi per millenni, acquisendo vantaggio dal fatto che un soggetto infetto li può propagare efficientemente magari per anni e anni.
Non si tratta solo di una teoria: tracce di virus di epatite B identici a quelli attuali sono state ritrovate in resti umani di 4.500-6.000 anni fa, il che significa che da allora la relativamente bassa letalità di questo virus (intorno allo 0,5 per cento) non è cambiata, così come la sua altissima contagiosità.
Bene: per il nuovo coronavirus, è stata trovata nei pazienti di Singapore una variante del virus che ha perso 382 nucleotidi (un pezzetto di genoma) ed è emersa almeno quattro settimane fa. Sulla base del fatto che mutazioni simili nella stessa regione del genoma del virus della Sars portarono a virus meno letali e meno dannosi per l’ospite umano, c’è una possibilità che l’adattamento all’ospite, con l’emersione di forme di virus meno pericolose, sia cominciato anche nel nuovo coronavirus.
Se sarà così, lo sapremo nei prossimi mesi. Oggi si tratta di una popolazione di virus isolata solo a Singapore, con una mutazione significativa che non è detto prenda il sopravvento; sarà interessante capire se mutazioni simili non stiano interessando anche le popolazioni virali nel resto del mondo.