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Il rumoroso silenzio che ha accolto la proposta AKK sulle sorti dei curdi

Adriano Sofri

La concretezza della ministra tedesca e l’assenza di troppi

Mentre la tragedia buffa del vicino oriente continua – ieri mi hanno detto di un ritorno di militari americani a Kobane, sfilati fra siriani e russi, non ne ho trovato conferme in fonti pubbliche ma se è successo dev’essere stato uno spettacolo, come un ingorgo urbano – mi pare che l’unica proposta di qualche remota concretezza sia quella avanzata dalla signora ministro della Difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer qualche giorno fa; all’indomani, peraltro, della combutta di Sochi fra Putin ed Erdogan. Kramp-Karrenbauer ha proposto un’interposizione internazionale, anche militare, patrocinata dalle Nazioni Unite, nella fascia di confine curdo-siriana dalla quale la Turchia ha preteso e ottenuto con le cattive e con la complicità russo-americana lo sgombero dei militanti curdi che peraltro, fuori da quella fascia epurata, non hanno praticamente più un territorio proprio. La ministra AKK ha voluto precisare che la Germania potrebbe destinare allo scopo una sua quota di 2.500 militari. Poiché tutto il mondo è paese, la sua proposta, che Angela Merkel ha mostrato di apprezzare, ha sollevato proteste di colleghi che si sono sentiti scavalcati, come il ministro degli Esteri Heiko Maas. Gelosie a parte, la proposta ha due implicazioni maggiori. La prima, di immaginare un impegno europeo, sia pure in nome di Nato e Onu, in una regione i cui eventi coinvolgono drammaticamente l’Europa mentre gli Stati Uniti se ne vanno. La seconda, di immaginare l’unico contesto in cui i curdi del Rojava possano conservare una propria autonomia civile e non essere ridotti a un volgo disperso. Gli stati europei hanno reagito poco all’idea. Il ministro della Difesa belga e la signora ministro danese hanno apprezzato. Alla riunione Nato del 24 scorso, Jens Stoltenberg ha simulato un interesse rinviando all’Onu. Nient’altro, se non sbaglio. L’Italia, il cui ministro della Difesa è oggi il democratico Lorenzo Guerini, non ha fatto conoscere una sua opinione, se non sbaglio. Ora, delle autorità in genere è bene sospettare i peggiori disegni.

 

Che la sortita tedesca riveli un’ambizione egemonica perfino sul piano militare. Che l’eventuale crescita di impegni militari tedeschi debba preoccupare quando in Germania crescono impetuosamente sentimenti e voti neonazisti. E che un’analoga preoccupazione valga per l’Italia eccetera. L’Italia ha dato di fronte all’invasione turca nel Rojava uno spettacolo unanime di solidarietà coi curdi, “i nostri”, di tutti noi, da Salvini e Meloni fino a me, per dire. C’è qualcosa di storto in questo: in particolare, chi rende ufficialmente omaggio agli stivali sul terreno di donne e uomini curdi – curde e curdi dei nostri stivali – detesta il loro tentativo di democrazia e detesta qualunque ipotesi di ingresso della Turchia, ogni Turchia, non solo quella sciovinista-islamista di Erdogan, nell’Unione europea. Quanto agli altri, a chi riesce a tenere insieme il valore della resistenza curda al terrore jihadista con la sua faticosa affermazione della libertà delle donne e dell’autogoverno, da tanto tempo hanno smesso di pronunciare la paroletta “Nato”. Era una dieta inevitabile, dopo averne fatto indigestione per mettere l’Italia fuori dalla Nato e la Nato fuori dall’Italia, ma sarebbe ora di rimasticarla. Per esempio, di dire qualcosa della ideuzza della signora AKK. Se non altro, per evitare che il ministro Guerini si senta troppo solo, e si rifugi nel silenzio sui problemi del mondo. Per giunta, non deve nemmeno preoccuparsi di gelosie del collega degli esteri, visto che l’Italia ha prudentemente abolito la figura del ministro degli Esteri.