Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

I curdi come mercenari in liquidazione. Trump tradisce, l'Europa squittisce

Adriano Sofri

Vicino oriente, ergastolo, ex Br a Parigi: tre piccole poste

Ci sono giorni in cui si vorrebbe scriverne tre o quattro di piccole poste, e nemmeno tanto piccole.

 

1. Scrivo nel giorno in cui si annuncia che gli americani danno via libera alla vendetta di Erdogan contro i curdi che in territorio siriano hanno debellato l’Isis, la stessa Isis cui il regime turco aveva dato via libera nei primi tempi della sua alluvione. Si può obiettare che il tradimento – di questo si tratta, nel senso più antico e pregnante del nome – di Trump era largamente annunciato, e che le combattenti e i combattenti curdi erano i primi a sapere che non avrebbero potuto contare sugli americani, che su loro avevano contato. I curdi, diversissimi come sono fra loro e non di rado mutuamente nemici, in questo sono uniti, nella coscienza di non poter confidare in nessuno. Lezione che non riduce di un millimetro l’infamia ogni volta rinnovata di chi li abbandona calpestando la propria parola. La parola dei potenti oggi può tutt’al più valere una dilazione: quando dicono “sempre” è di settimane che si tratta, tutt’al più di mesi. Vedremo a Hong Kong quanto sopravvivrà la ribellione, passata la festa. Anche la trasparenza gioca per l’inganno, oggi: Erdogan e Trump si sono telefonati, l’affare si è concluso ed è stato sbandierato. Erdogan chiama “zona di sicurezza” la fascia oltre il proprio confine dalla quale vuole estirpare i curdi e che vuole inondare di arabi siriani scampati, a milioni, in Turchia. Erdogan combatte la sua guerra paranoica contro i curdi, contro l’idea che esistano. Trump è uomo d’affari: twitta, papale papale, “i curdi hanno combattuto per noi, ma li abbiamo pagati un mucchio di soldi”. Erano i nostri stivali sul terreno, sono i mercenari in liquidazione. L’Europa squittisce che non è d’accordo, l’Europa è come un film americano, Obiezione Vostro Onore, Respinta! Si può immaginare lo scempio che colorerà di rosso l’Eufrate: rosso di curdi, di turchi, di arabi siriani e di avventori attirati dall’odore. L’odore sedurrà e sparpaglierà anche i terroristi di ogni sigla. I tweet di Trump sembrano voler dare anche un altro annuncio: che fra le “guerre ridicole e tribali” che i suoi Stati Uniti intendono disertare c’è anche quella con l’Iran, di cui a giorni alterni si fa roboante propugnatore, e quella con l’Iraq, dove sono le piazze a fare guerra a un regime insieme corrotto e diviso. Il Vicino Oriente è in palio. Ed è vicino.

 

 

2. Scrivo anche nel giorno in cui la Corte europea dei Diritti umani si pronuncia sull’ergastolo detto ostativo. Quando si ammise che l’ergastolo è una pena disumana, si trovò il modo di dare alla disumanità un aggettivo nuovo, il più vuotamente burocratico. Niente, nella pena cui sia riconosciuta la possibilità di un riscatto – quella cui inequivocabilmente richiama la Costituzione – impedisce di negarlo quando ci sia una fondata preoccupazione che il condannato torni a nuocere alla società e ai suoi membri. Non c’è niente di automatico nelle pene che non buttino via la chiave. C’è una nostalgia di sentimenti e comportamenti automatici, di intransigenze di cui i giudici stessi diventino ostaggi, nella difesa a oltranza dell’ergastolo senza scampo, del gesto della chiave buttata via. Del marcire in galera. Con l’aggravante di addebitare a chi difende la possibilità ultima del riscatto – Aldo Moro, per fare un nome – un’indifferenza se non una complicità con la criminalità organizzata, con le mafie. Fortunosamente, o deliberatamente, il caso della richiesta di una pena diversa da parte di Giovanni Brusca si è posto nello stesso giorno. Con lui, la condizione capestro della “collaborazione” è clamorosamente esaudita, in proporzione alla mole e qualità dei delitti di cui fu autore, ma la discussione pubblica e anche quella tecnica sembrano fermarsi sul “ravvedimento”, sulla sincerità del “pentimento”. Vale la pena di ricordare che il fondo del pentimento non si lascia raschiare, e misure diverse di pena, a uno che sta in galera da 23 anni, qualunque cosa abbia fatto, riguardano solo la previsione di una sua attuale pericolosità. Se Brusca minacci di commettere crimini da una galera domestica, non lo si ammetta, altrimenti sì. Lasciando ad altri ambiti commozione e disgusto.

 

Infine, ma solo perché lo spazio finisce, registro un’informazione da quella famosa Parigi. “E’ morto sabato Enrico Villimburgo, uno dei 15 fuggiti dall’Italia degli anni 70-80 e accolti in Francia. Si è buttato giù da una finestra. Già membro delle Brigate Rosse, condannato all’ergastolo, era molto malato da tempo”. Se non ci fosse altra ragione per annotarlo, valga almeno a depennare di uno l’elenco dei minacciosi terroristi italiani di quaranta o cinquanta anni fa.

Di più su questi argomenti: