Un carro armato turco si dirige verso la frontiera siriana (foto LaPresse)

Grande assist allo Stato islamico in Siria

Daniele Raineri

Comincia l’invasione turca dopo il via libera di Trump, che già si pente

Roma. Oggi pomeriggio la Turchia ha cominciato l’operazione “Fonte di pace” nel nord della Siria contro i curdi – che combattono sotto la sigla Sdf (Forze siriane democratiche) – meno di tre giorni dopo il via libera ottenuto dal presidente americano Donald Trump e meno di sei mesi dopo la fine della guerra tra le Forze siriane democratiche e lo Stato islamico territoriale.

 

Aerei F-16 e artiglieria turchi hanno bombardato una serie di postazioni curde lungo il confine – inclusa Kobane città simbolo della resistenza allo Stato islamico – nei luoghi che molto probabilmente saranno attraversati dalle colonne dell’esercito per entrare nel paese. Assieme ai soldati ci sono anche gruppi di ex ribelli siriani che negli ultimi tre anni sono stati addomesticati dalla Turchia, agiscono come milizie paramilitari al servizio del comando turco e hanno già combattuto contro i curdi. Il presidente della Turchia, Recep Tayyep Erdogan, ha annunciato l’inizio dell’operazione con un tweet in cui spiega che l’obiettivo dei soldati è sradicare dal nord della Siria “i terroristi del Pkk/Ypg e di Daesh”, che sarebbe lo Stato islamico. Può darsi che riesca a cacciare i curdi, ma di fatto questa operazione militare della Turchia è un’ottima notizia per lo Stato islamico in Siria, come non ne arrivavano da molto tempo. Il gruppo terrorista non è scomparso dopo la sconfitta di marzo ma si è spezzettato in tante bande che continuano a fare attentati e scorribande aggressive contro le postazioni militari che vedono deboli. Soltanto oggi hanno annunciato l’uccisione di diciassette soldati dell’esercito siriano vicino a Palmira, nella regione centrale del paese, e anche l’uccisione di venticinque curdi delle Sdf in due attacchi, uno dei quali contro un comando dell’intelligence curda nella città di Raqqa.

 

In questi sei mesi i curdi hanno tenuto il piede sulla gola dello Stato islamico nella Siria orientale per impedire che si rialzasse: hanno fatto centinaia di arresti, hanno smantellato cellule segrete, hanno sequestrato tonnellate di armi nascoste, hanno gestito le prigioni dove sono chiusi migliaia di uomini del gruppo e i campi dove sono tenute le loro famiglie. Ma adesso la resistenza contro l’operazione militare della Turchia assorbirà le loro risorse. Già sono in svantaggio perché non possono reggere in campo aperto l’onda d’urto di una guerra convenzionale senza l’aiuto degli aerei americani, non avrebbe senso sperare che si occupino anche di tenere a bada lo Stato islamico – che nel frattempo in questa situazione di anarchia e scontri troverà il suo habitat ideale. Le fanatiche dello Stato islamico nel campo di al Hol alla notizia della guerra hanno dato fuoco a molte tende e hanno attaccato le guardie, come se sentissero che ora sono passate in vantaggio.

 

Trump per difendere il via libera a Erdogan aveva scritto: “The stupid endless wars, for us, are ending!”, le guerre stupide e senza fine per noi stanno finendo. Non è detto però che il successore di Trump non dovrà mandare di nuovo soldati americani in Siria, come capitò a Obama: dopo avere ordinato il ritiro totale dall’Iraq nel 2011 dovette rispedire laggiù un contingente militare nel 2014 perché lo Stato islamico era diventato un problema enorme e una minaccia internazionale. E in serata Trump ha tentato per la seconda volta in due giorni di correggere la Storia a suo favore: “Questa mattina la Turchia, un membro della Nato, ha invaso la Siria. Gli Stati Uniti non endorsano questo attacco e hanno detto chiaramente alla Turchia che questa operazione è una cattiva idea”. Ma il via libera a Erdogan è in un suo comunicato che risale ad appena tre giorni fa. A questo punto, di solito, la Difesa americana comincia con discrezione a trovare qualche rimedio agli ordini impulsivi del commander in chief.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)