(foto Unsplash)

Il canale di Erdogan

Rolla Scolari

Il leader turco vuole un secondo Bosforo. E no, il commercio non è la ragione principale del megaprogetto

Milano. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non ha mai nascosto come i suoi sogni di grandeur passino anche attraverso mega-progetti: negli ultimi anni ha inaugurato un tunnel sotto il Bosforo e un terzo ponte sopra il Bosforo, un nuovo aeroporto e la moschea più grande della Turchia, dalla capienza di uno stadio di calcio. Il progetto che divide in queste settimane la politica turca è ancor più colossale: è la creazione di un secondo canale del Bosforo.

 

La stampa internazionale che lo definiva un riformatore, oggi chiama Erdogan il nuovo sultano, per la deriva autoritaria che ha preso la sua politica, ma anche per la ricerca di una grandezza ostentata. Nulla di nuovo nella regione: il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha promesso di costruire una nuova Cairo; il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman immagina città iper-tecnologiche nel deserto. Le proporzioni del progetto turco vanno oltre, e ricordano i lavori per la costruzione della diga di Assuan, voluta dall’ex rais egiziano Gamal Abdel Nasser, o quelli per la realizzazione del Grande fiume artificiale del colonnello Muammar Gheddafi, immane opera idraulica.

 

Il sogno di Erdogan apre e anticipa battaglie politiche. Durante la campagna elettorale del 2018, il presidente ha promesso la creazione di una serie di grandi opere per la celebrazione del centenario della Repubblica turca del 2023. L’idea era però nata più lontano: nel 2011, quando era ancora primo ministro, il leader turco aveva infatti parlato di un “progetto folle”: 45 chilometri di canale artificiale parallelo al Bosforo per collegare il Mar di Marmara al Mar Nero. L’obiettivo, a detta del governo, è quello di alleggerire il traffico marittimo dell’intasato stretto nel cuore di Istanbul, diminuire l’inquinamento e il rischio di incidenti navali. Il progetto ha sollevato critiche e opposizioni. Per alcuni economisti è un'opera che, con un costo stimato di oltre 12 miliardi di dollari, andrebbe a impoverire un’economia già in difficoltà. Per gli ambientalisti, altererebbe ecosistemi delicati presenti sul tracciato dell’ipotetico canale e prosciugherebbe le riserve acquifere della città di Istanbul, provenienti da bacini idrici della zona. Per molti scienziati, a rischio ci sarebbero i delicati equilibri che garantiscono la vita nel Mar di Marmara e nel Mar Nero, bacini di acqua diversi, a partire dalla loro salinità. Il progetto del governo è però stato approvato dal ministero dell’Ambiente, e un sito multimediale racconta già ai cittadini i contorni di un’impresa colossale. Quello che non racconta è la battaglia politica che si intensifica attorno al progetto. L’opposizione è guidata dal sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, che con la sua elezione l’anno scorso ha strappato al partito del presidente, l’Akp, la supremazia sulla città. E che in molti vedono come una delle figure capaci di minacciare i suoi 17 anni di regno. Il politico non si era ancora esposto in uno scontro diretto con il rais, mentre ora ha fatto partire un procedimento legale contro la mega-opera. Il futuro del canale è dunque il primo scontro aperto e il sindaco sembra intenzionato a mobilitare la popolazione della sua città, sempre più sensibile ai temi dell’ambientalismo e della sostenibilità.

 

Lo scontro politico, inoltre, rischia di andare oltre i confini della Turchia. Il presidente Erdogan ha detto che la navigazione nel futuro canale – che aprirebbe una seconda rotta tra Mar Mediterraneo e Mar Nero – non sarebbe regolata dalla Convenzione di Montreux, patto del 1936 che garantisce libero passaggio attraverso il Bosforo alle navi commerciali, e impone limiti sui numeri e sulla taglia delle imbarcazioni da guerra in entrata nel Mar Nero (non appartenenti ai paesi rivieraschi). Si tratta di un’eventualità che creerebbe più che fastidio alla Russia, che affaccia sulle coste del Mar Nero e intende mantenere su quelle acque supremazia militare. In Siria, dove Russia e Turchia combattono su fronti opposti, le tensioni tra i due governi sono già profonde: nelle scorse settimane, 13 militari turchi sono rimasti uccisi in bombardamenti delle forze di Damasco, sostenute da Mosca.

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