Il migliore amico

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il compleanno della Nato, gli orfani di sinistra, una pioggia di rubli e le folli parodie che più le ripeti più diventano vere

"La guerra non è inevitabile. Non pensiamo affatto che ci siano maree cieche della storia che spazzano via gli uomini in una direzione o in un'altra. Abbiamo visto uomini coraggiosi superare ostacoli che sembravano insormontabili e forze che sembravano imbattibili. Gli uomini che hanno coraggio e visione possono ancora determinare il loro destino. Possono scegliere la schiavitù o la libertà, la guerra o la pace. Non ho dubbi su quale sarà la loro scelta".

Henry Truman, presidente degli Stati Uniti

il 4 aprile 1949, alla firma del Trattato nordatlantico (Nato)

28 marzo 2019

Il 4 aprile i paesi membri dell'Alleanza atlantica si riuniranno a Washington per festeggiare i 70 anni dalla firma del Trattato che, nell'Auditorium del ministero degli Esteri americano, diede vita alla Nato.

Qui ci sono i discorsi che furono pronunciati quel giorno, ma il nostro contributo preferito risale a un anno prima, alla Camera dei Comuni britannici, dove l'allora ministro degli Esteri Ernest Bevin spiegò al suo paese l'importanza di un'alleanza militare atlantica. Bevin era un laburista, un leader sindacalista, unico ad aver studiato in famiglia – leggeva i giornali ad alta voce a sua madre (non ha mai saputo chi fosse suo padre) e alle sue sorelle – ministro del Lavoro durante la Seconda guerra mondiale e poi ministro degli Esteri dopo la vittoria delle forze alleate.

Anticomunista, Bevin aveva un rapporto complicato con gli americani: allineato sulla difesa comune dei valori occidentali, spesso litigava con Washington su metodi e tempi della cooperazione. Non lo faceva per difendere l'istinto imperialista britannico – anzi, contribuì al ritiro inglese dall'India – ma perché voleva che l'Europa conquistasse un ruolo paritario nella dialettica transatlantica.

Un inglese che aveva a cuore la forza europea: e noi qui con la Brexit.

Bevin insistette sulla necessità di un'assemblea della comunità internazionale – le Nazioni Unite – di un piano di ricostruzione europea (il Piano Marshall), di un'entità militare comune (la Nato) con un dovere solidale di difesa reciproca (l'articolo 5 del Trattato della Nato). Fu molto contestato dal suo partito, il Labour, che non vedeva la differenza tra lui e gli esponenti conservatori, e un gruppo di parlamentari laburisti decise di dissociarsi, lanciando il manifesto "Keep left" contro Bevin, per una politica estera più "di sinistra", indipendente dall'America e dall'Unione sovietica.

Un laburista che difende l'atlantismo e la deterrenza militare, e noi qui con Jeremy Corbyn.

A inizio marzo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato a cosa è servita la Nato, la sua grande forza di attrazione (speculare a quella dell'Unione europea), e il paradosso di oggi: "Nonostante siamo diventati sempre più grandi, nonostante molti paesi abbiano aderito alla Nato, nonostante siamo l'alleanza militare più di successo della storia, molti continuano a mettere in dubbio la potenza e la rilevanza del nostro legame transatlantico, sia in Europa sia negli Stati Uniti".

 

Oggi vogliamo occuparci di questo paradosso: c'è una festa di compleanno, 70 anni (la festa dei dieci anni della Nato furono raccontati dalla Rai con questo documentario, nel 1959), assieme al nostro migliore amico che tutt'a un tratto è diventato capriccioso, distratto, poco presente.

La morale è: ci manchi, America.

Preparandosi alla festa di compleanno, la Nato sta pubblicando pillole sulla propria storia, con l'hashtag #WeAreNato.

Il punto di svolta nella storia della Nato è stato il crollo del Muro di Berlino, la fine della Guerra fredda. Se prima del 1989 la Nato era considerata uno strumento imprescindibile, dopo sono cominciati i dubbi: a che serve la Nato senza l'Unione sovietica?

L'Atlantic Council ha pubblicato un paper su quel che ha fatto l'Alleanza negli ultimi trent'anni, che è la risposta più esaustiva a questa domanda.

 

Eppure non basta.

I paesi fondatori della Nato stanno facendo spiegazioni dettagliate sul senso di questa alleanza.

Eppure non basta.

O almeno non basta a Donald Trump.

Al vertice della Nato del luglio dello scorso anno, Trump scandì in conferenza stampa tutte le sue rimostranze all'Alleanza atlantica: è obsoleta, è un cimelio della Guerra fredda, la Germania ci deve dei soldi, l'America spende una fortuna nella difesa dell'Europa e non riceve nulla in cambio, gli europei ci dicono che hanno paura della Russia e poi fanno affari con la Russia mentre noi cretini paghiamo per loro. Insomma, le solite cose.

Come sappiamo, nemmeno Barack Obama, amatissimo in Europa, era stato da meno: ci diede degli scrocconi.

 

Allora, li stiamo pagando i nostri conti? Pare di sì: da quattro anni, i contributi dei paesi europei della Nato sono in continua crescita. Nel 2018 le nazioni-modello sono state: Polonia, Lettonia, Lituania (l'Italia è ancora lontana dal 2 per cento del pil, il minimo richiesto dall'America per contribuire alle spese della Nato).

 

Eppure non basta.

Il 69 per cento delle spese dell'Alleanza sono ancora a carico degli Stati Uniti.

Per sistemare i conti con il nostro migliore amico ci vorrà molto, molto tempo.

 

Ma questa amicizia non è soltanto una questione di soldi, senò che amicizia sarebbe?

Ecco. Gli americani accusano l'Europa di tradimento. Avete un nuovo amico, ci dicono. E parlano del progetto di difesa comune europeo, il famoso "esercito europeo" che è lontanissimo dall'essere un'alternativa alla Nato e che comunque non è un'alternativa alla Nato. Ma nasce, questo sì, perché l'America non si fida più dell'Europa, e l'Europa non vuole più dare per scontata la fiducia nell'America.

 

Il disequilibrio è evidente.

E poi c'è la Russia.

Pochi giorni dopo il vertice della Nato a Bruxelles, lo scorso luglio, Trump incontrò il presidente russo, Vladimir Putin, a Helsinki. Non ce la dimenticheremo mai, quella conferenza stampa.

Due giorni prima Trump dice che gli europei sono inaffidabili, due giorni dopo crede a tutto quello che gli dice Vladimir Putin.

E la Nato sta lì, nel mezzo.

Preoccupata, ma non ferma: le esercitazioni congiunte in Georgia hanno fatto infuriare la Russia. Anche perché Stoltenberg ha detto: "Tbilisi entrerà nella Nato, e Mosca non può farci niente".

E' quindi possibile che la festa dei 70 anni non vada benissimo.

Per evitare disastri:

  • cerchiamo di non parlare troppo di soldi: l'Alleanza atlantica è molto altro, è "l'unione di valori umani e politici", come spiega questa carrellata sulla nostra amicizia atlantica (andrebbe proiettata in diapositive alla festa)
     
  • dissipiamo tutte le voci di tradimento: se l'Esercito europeo è visto male dall'America, si possono trovare altre vie che rispecchino l'autonomia dell'Europa senza sminuire la forza della Nato. L'European Intervention Initiative introdotta da Emmanuel Macron lo scorso anno è un primo passo. L'Economist ha spiegato meravigliosamente questa terza via della difesa atlantica, la Europe Upgraded
     
  • un po' di fiducia in se stessi non guasta. Il pil totale dei membri europei della Nato è dieci volte quello della Russia, che ha un'economia grande come quella della Spagna. I membri europei della Nato spendono tre volte e mezzo in difesa quel che spende la Russia, che ha dovuto fare dei tagli non indifferenti, nonostante si presenti molto aggressiva nel mondo. Certo, Mosca ha tredici volte le testate nucleari dei paesi europei della Nato, ma un po' di deterrenza anche Francia e Regno Unito riusciranno a esercitarla, no?

Comunque, buon compleanno. Siamo belli insieme.

E’ una caratteristica dei sovranisti lasciare che le potenze straniere facciano affari sul loro territorio. Come dimostra il caso della Repubblica ceca, con il sovranistissimo presidente Milos Zeman che ha firmato accordi con la Cina convinto di avere un forte ritorno economico, ma ci sono stati più danni che altro.

 

Dopo aver passato una settimana a parlare di Pechino, di investimenti e di Via della Seta, per un po’ abbiamo smesso di parlare della Russia che, seppur nel suo piccolo, cerca di insinuarsi nelle economie di vari paesi. Mosca non è ricca, ma ha molte risorse naturali, e ogni tanto si affaccia nell’economia di qualche paese europeo per fare affari.

Il caso ungherese

L’Ungheria ha di recente deciso che ospiterà sul suo territorio la Banca internazionale russa per gli investimenti, la IIB, facendo allarmare i diplomatici occidentali che vedono Budapest sempre più ben disposta nei confronti del Cremlino.

Girano anche storie sull’amministratore delegato dell’istituto, Nikolai Kossov, figlio di spie.

Gli investimenti riguardano anche il settore energetico. La Rosatom, società gestita dal Cremlino, sta costruendo due reattori in Ungheria, per un valore di 12,5 miliardi di euro.

Attualmente le IIB sono nove in tutto il mondo e si trovano oltre che in Ungheria e in Russia, in Bulgaria, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Cuba, Mongolia e Vietnam.

Il caso francese

Il Front national francese ha preso in prestito 9,4 milioni di euro da banche di proprietà russa nel 2014. Marine Le Pen aveva bisogno di denaro, diverse banche francesi si rifiutarono di prestare soldi a un partito che si dichiarava di ultradestra con tendenze xenofobe e si fece avanti la First Czech Russian Bank. La banca ora non esiste più, ma esiste ancora il prestito che il tesoriere del partito sta ripagando a una sconosciuta.

Banche

La Russia ha spinto le sue banche e le compagnie energetiche a impegnarsi sempre di più in Europa, il primo a pensare a un piano di espansione fu Sergei Razov, ministro degli Esteri nel 2002. Le due maggiori banche della Russia, la Sberbank e la VTB Bank, hanno acquisito oltre una dozzina di banche più piccole dalla Gran Bretagna al Caucaso.

 

Energia

La vera forza la esercitano le risorse energetiche russe, in Russia si trovano cinque dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo e i paesi europei sono tra i più grandi consumatori.

Il Partito socialista e democratico europeo ha organizzato "una settimana per la democrazia" con l'obiettivo di "non lasciare l'Europa a populisti ed estremisti". Incontri, chiacchiere, una marcia, domenica scorsa.

 

L'Alleanza dei socialisti e dei democratici (S&D) oggi ha 189 seggi al Parlamento europeo, ma al voto del 26 maggio, potrebbe perderne parecchi: 56, secondo i sondaggi, il crollo più grande tra tutti i partiti.

 

Abbiamo discusso molto delle fratture ideologiche dentro ai conservatori del Ppe, ma anche a sinistra ci sono molte ferite: sanguinano di più da qualche tempo, e a esemplificarle è quel che sta accadendo in Francia.

 

Raphaël Gluksmann ha lanciato un nuovo partito, che si chiama Place Publique. Macroniano della prima ora, Glucksmann si è disamorato in fretta del presidente francese: qui c'è il racconto di questo allontanamento e del perché Glucksmann, intellettuale ed ex direttore del Nouveau Magazine littéraire che ha lasciato proprio in polemica con Macron, ha fondato un suo movimento, nel novembre scorso. Qualche giorno fa ha unito le forze con il Partito socialista, che come si sa è diventato piccino piccino, per andare insieme alle Europee (Glucksmann è capolista).

La decisione del sodalizio è stata presa dal segretario del Ps, Olivier Faure (che ha una compagna ganzissima), che ha fatto la sua prima uscita elettorale con Glucksmann lunedì, dove pare ci fossero più giornalisti che elettori: andavano cercando gli orfani della sinistra.

Il problema è che buona parte del Partito socialista non è affatto contento di questa alleanza: lasciare a Glucksmann la rifondazione della sinistra francese è, dicono, un errore.

Benoît Hamon, che era il candidato dei socialisti alle tremendissime presidenziali del 2017 e ora ha un suo partito che si chiama Génération.s, ha detto che un voto a questi due è un voto perduto a sinistra, tanto vale votare i macroniani allora.

Ségolène Royal è infastidita dalla caricatura della sinistra che fa Glucksmann.

Anche altri socialisti sono poco convinti.

Ma poiché a sinistra il guaio grosso è il fuoco amico, l'accusa più pesante a Glucksmann è arrivata da Farid Benlagha, che ha partecipato alla fondazione di Place Publique.

Benlagha accusa Glucksmann e i suoi adepti di essere tutti "bobò parigini, ben istruiti e bianchi", di essere centristi e non di sinistra, di rappresentare tutto ciò che non va nella società e nella politica francese, "il disprezzo per le classi sociali, la miopia, l'assenza di conoscenza del paese, la sconnessione totale con il popolo francese". C'è anche un affondo personale: "Glucksmann ha manipolato tutti, voleva soltanto un posto per sé" (di attacchi personali a Glucksmann ce ne sono tanti, anche alla sua fidanzata, Lea Salamé).

Place Publique ha risposto per le rime, ma la querelle ha riaperto il dibattito identitario a sinistra, e su qual è la formula giusta per combattere estremismi e populismi.

E i sondaggi non è che migliorino (Place Publique e Ps sono quelli rosa chiaro)

Il Pse non ha le idee chiare, a sua volta (non ce le ha nessuno, basta vedere cosa accade tra i democratici americani, a parte che tutti esultano per il socialismo millennial).

C'è chi vuole creare una grande compagine di sinistra, da Macron ad Alexis Tsipras, premier greco (che a dirla tutta starebbe più vicino a Macron che ai socialisti francesi), chi invece vuole eliminare il centro e stare più a sinistra, chi si adatterebbe volentieri alle circostanze, a urne chiuse e conteggi fatti.

 

Intanto, si litiga.

Marlène Schiappa è la ministra francese per le Pari Opportunità (di recente ha parlato al Foglio su gilet gialli e dispute franco-italiane). Nel mondo dei gilet gialli si è detto di tutto su di lei.

 

Sabato scorso un account Twitter che si chiama @JournalElysee – che ha scritto nel suo logo di essere una parodia e che dice nella bio "TRÈS parodique" – ha tuittato una frase della Schiappa in cui diceva che "contestare la parola del capo di stato è già fare un passo verso il terrorismo".

Il tweet è stato commentato ("folle", "bestiale") e ripreso da molte parti.

Poi Sputnik News, media legato al Cremlino, ha fatto un articolo prendendo la frase per vera e da quel momento la frase è diventata vera.

Sputnik News si è scusata, ha rettificato, ma ha deciso di lasciare comunque l'articolo online, consultabile, per essere "totalmente trasparenti" con i nostri lettori.

Così chiunque può pensare che sia vera.

La Schiappa se l'è presa con il Journal de l'Elysée Parodique e con tutta la twittersfera francese: non vi vergognate?

Intervistato dal Monde, il gestore dell'account della parodia (che vuole restare anonimo) ha detto: mi dispiace, ma più che scrivere da ogni parte che è una parodia non so cosa fare.

Il Monde ha preso l'occasione per dire che questo è soltanto un caso tra altri: il fenomeno si chiama "blanchiment", imbiancamento.

  • Sarete contenti che non abbiamo parlato di Brexit. Lo siamo anche noi. Solo una cosa: grazie e ancora grazie a @ByDonkeys che riesce sempre a farci ridere mentre Theresa May ci ruba i nostri anni migliori. Alastair Campbell, che qualche giorno fa ci ha parlato e instagrammato, vuole dare un premio ai geni di Led By Donkeys (Campbell ha anche intervistato l'ex cancelliere dello Scacchiere George Osborne: meraviglia).

Una cosina ancora.

Avete mai fatto brexiting? Noi sì. Secondo l'Urban Dictionary il termine indica la situazione in cui andiamo a una festa, ci annoiamo, diciamo che ce ne stiamo per andare via ma continuiamo a rimanere ripetendo che ce ne stiamo per andare via.

  • Si è votato sulla direttiva del Copyright. Ne abbiamo parlato qui e qui e qui, per dire che la divisione non è tra internet libero e internet censurato (la questione non si pone nemmeno), ma tra chi accetta che perfino online valga un principio di responsabilità e chi no. Volendo approfondire tutto, potete leggere l'ultimo libro di Christian Rocca che ha sempre avuto un debole per i titoli e gli articoli del tipo "La fine di..." e che questa volta è stato ancora più spiccio: "Chiudete Internet".
  • A proposito di libri: oggi arriva in libreria questo.
  • Schams El Ghoneimi è stato consigliere al Parlamento europeo, ha la madre francese e il padre egiziano, è innamorato dell'Europa e per non lasciare che la Francia scivoli nelle mani dei populismi ha intrapreso un viaggio in novanta dibattiti. Ci ha raccontato tutto qui.
  • In Spagna si vota il 28 aprile. Abbiamo pubblicato un longread molto bello sulla "Spagna vuota", le regioni attorno a Madrid che potrebbero essere decisive alle elezioni. Sergio De Molino, che ha coniato la definizione, spiega così la Spagna vuota: “C’è una Spagna che non viaggia in Tav. Una Spagna senza bambini, né cinema, né teatri. Una Spagna senza squadre di calcio in Primera División e senza banda larga per vedere le serie americane (…). E' una Spagna senza medici né scuole, o con medici e scuole che stanno molto lontani, a volte a cento chilometri. Una Spagna senza imprese né banche né investitori. (…) E’ una Spagna di cui il resto del Paese si accorge soltanto nei periodi di vacanze o durante i conteggi elettorali, perché le si attribuisce la colpa di essere conservatrice e di essere un ostacolo per il progresso, per il fatto che il voto di un abitante di Soria equivale a quello di quattro madrileni, più o meno. (…) Io l’ho chiamata ‘Spagna vuota’, un’espressione che ormai non mi appartiene più e che non dissimula il paradosso che in essa si nasconde: in questa Spagna vuota c’è gente”. Poi ci sono anche i vegani che vogliono eleggere almeno un europarlamentare.
  • Come avevamo detto qui in fondo, la missione navale Sophia nel Mediterraneo è ormai inutile.
  • I sovranisti sembra abbiano deciso di arrivare alle europee con una grande alleanza. Lo ha detto Harald Vilimsky, vicepresidente dell'Europa delle nazioni e delle libertà. L'unione potrebbe essere formalizzata a Roma, durante la grande riunione sovranista voluta da Matteo Salvini in aprile, ma rimangono dei dubbi. L'alleanza dovrebbe tenere assieme Enf, Efdd e i conservatori e riformisti dai quali però arriva una smentita. Abbiamo chiesto un commento a un eurodeputato del PiS che ci ha detto: "Noi rimaniamo dove siamo, per il momento".
  • Si vota in Ucraina e poi anche in Turchia. La prima sogna ancora l'Europa, la seconda forse no, e un po' forse è colpa nostra.
  • Assumere la presidenza del Consiglio europeo è un esercizio costoso, ha detto il premier ceco Andrej Babiš, soprattutto a causa dei rinfreschi.

Anche noi rimaniamo qui, e torniamo a fissare le panche verdi di Westminster, sperando che alla festa con il miglior amico ci si diverta un po'. L'avrete capito che abbiamo un debole per gli anglosassoni.

Alla prossima settimana.

 

I nostri trascorsi:

il primo appuntamento

i matrimoni di convenienza

una leggera cotta

la prima volta

il divorzio del secolo

ti presento i miei

 

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