Greta Thunberg (foto LaPresse)

C'è una “rinascita verde” in Europa? I dati elettorali dicono di no

Il traino alle elezioni dell’Ue sarà fatto dai Verdi tedeschi (occhio anche a Francia e Olanda). La piazza e la bolla

Questo testo è stato pubblicato nella newsletter europea del Foglio, EuPorn – Il lato sexy dell’Europa, a cura di Paola Peduzzi e Micol Flammini, il 28 febbraio scorso (potete iscrivervi qui). Questa è una versione adattata e aggiornata.

 


 

Greta Thunberg ha sedici anni ma sembra molto più piccola, ha la sindrome di Asperger e alle spalle una depressione – aveva 11 anni – che ha condizionato ulteriormente la sua crescita. Ha un mutismo selettivo, parla soltanto quando è strettamente necessario, e tendenzialmente parla soltanto del cambiamento climatico, del fatto che non ha senso andare a scuola, studiare, progettare, innamorarsi, sognare se tanto il pianeta sta per distruggersi, se “presto il nostro futuro non ci sarà più”.

 

Nell’agosto dello scorso anno, ha iniziato una protesta contro i negazionisti del cambiamento climatico fuori dalla sua scuola, a Stoccolma. Era venerdì, e lei era da sola: “Sciopero perché voi adulti state cagando sul mio futuro”.

 

Ben presto lo sciopero del venerdì è diventato contagioso, l’hashtag è #FridaysforFuture, anche in Italia ci sono studenti-attivisti che rischiano di essere bocciati per le troppe assenze ma non hanno intenzione di fermarsi (uno degli slogan più ripetuti è: “Noi ci metteremo a fare i compiti quando voi vi metterete a fare i vostri”). Greta è andata in Polonia al vertice sul clima, al Forum di Davos e a Bruxelles: in ogni occasione ha denunciato gli adulti e la loro “irresponsabilità da ragazzini”, come fanno i grandi a non sentire l’urgenza di salvare il pianeta?

 

In Belgio, la questione è diventata politica. All’inizio di febbraio, la ministra fiamminga dell’Ambiente, Joke Schauvliege, si è dimessa (in lacrime) dal suo incarico: aveva detto che le proteste degli studenti erano eterodirette da “poteri” esterni. La Schauvliege sosteneva di avere prove fornite dall’intelligence, ma l’intelligence l’ha subito smentita.

 

Lo sciopero del venerdì è ormai una costante in tutto il mondo, e oggi è il gran giorno di uno sciopero globale. In America si discute animatamente del “Green New Deal” presentato dalla inarrestabile deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che non parla più di negazionisti, ma di “quelli che vogliono ritardare” una presa di coscienza collettiva del pericolo globale: non ci sono più i “deniers”, ora ci sono i “delayers”, la condanna è la stessa.

 

Greta dice che è sempre stata “la bambina invisibile”, che nessuno notava. Oggi anima un dibattito che nessuno può ignorare. L'ambientalismo è la “new thing” dell’occidente? E se sì, che effetto ha sulle dinamiche politiche europee? Abbiamo cercato di capirci qualcosa di più, avventurandoci in quella che è definita “la rinascita verde” dell’Europa, che non è più invisibile, come non lo è Greta, anche se non è come sembra.

 

La domanda è: il “surge” dei partiti ambientalisti, i Verdi, che abbiamo visto, l’anno scorso, in Baviera, in Belgio e in Lussemburgo è replicabile a livello europeo?

 


Oggi lo sciopero globale degli studenti contro “gli adulti” che ignorano la causa ambientalista. La sedicenne svedese Greta ha iniziato la protesta lo scorso agosto. Ha un mutismo selettivo, parla solo se è necessario e dice che non ha senso andare a scuola, sognare, innamorarsi se “presto il nostro futuro non ci sarà più”


  

Intanto vediamo chi fa parte del gruppo Verdi/Alleanza libera europea, che al momento ha 51 seggi sui 751 del Parlamento europeo: è un gruppo molto eterogeneo, che comprende: membri del partito transnazionale Verdi europei; alcuni partiti regionalisti considerati progressisti, che fanno parte dell’Alleanza libera europea; altri partiti che non hanno affiliazioni con partiti europei, come l’Unione dei contadini della Lituania e il Partito dei pirati tedesco.

 

Una premessa: che cosa cambia se si formano nuove alleanze e coalizioni prima del voto del 26 maggio? Il gruppo dei Verdi/Ale non dovrebbe subire alterazioni. Quando sembrava che il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe creato una nuova alleanza “en marche”, si era parlato di un’eventuale unificazione del gruppo socialdemocratico, dei liberali e dei verdi con un’aggregazione anche di fuoriusciti dal Partito popolare europeo, ma al momento Macron ha rinunciato al progetto. Ci sarebbero state comunque molte reticenze da parte di questo gruppo tanto variegato.

 

Anche se il principio dello spitzenkandidaten è stato molto criticato e potrebbe non essere applicato, il gruppo Verdi/Ale ne ha ben due, di candidati alla presidenza della Commissione europea: Ska Keller e Bas Eickhout. Mai sentiti nominare? Già.

 

Ska Keller è tedesca, è stata eletta all’Europarlamento per la prima volta nel 2009, quando aveva 27 anni. Alle europee del 2014, era la frontrunner dei Verdi. E’ nata a Guben, città di frontiera con la Polonia, e ricorda spesso che, finché la Polonia non è entrata in Schenghen, quella frontiera definiva la vita stessa della città. Diventata Verde per caso (prima organizzava manifestazioni contro i neonazi), oggi la causa ambientalista è roba di famiglia: è sposata con Markus Drake, segretario generale finlandese della Federazione dei giovani verdi europei. E’ a favore dell’Europa e del cambiamento dell’Europa.

 

Bas Eickhout è olandese, europarlamentare dal 2009 e coautore del documento dell’Ipcc sul cambiamento climatico che ottenne il Nobel per la Pace assieme ad Al Gore nel 2007. Ricorda che la motivazione per entrare in politica gli venne quando Pim Fortuyn fu assassinato ad Amsterdam, nel 2002, da un estremista ambientalista. Eickhout cerca una terza via tra chi vuole distruggere l’Europa e chi vuole mantenerla così com’è, “colorando di verde l’economia e rendendo l’Europa più attenta alle questioni sociali”.

 

Secondo le proiezioni, il gruppo dei Verdi/Ale aumenterà dell’1 per cento rispetto al 2014. Quindi non c’è nessun surge. Perché allora se ne parla tanto? Tobias Gerhard Schminke, fondatore di Europe Elects, spiega al Foglio cinque cose. Uno: la rinascita dei Verdi riguarda soltanto l’Europa nord-occidentale e anzi a est questi partiti perdono consensi, in particolare in Austria e Ungheria. Due: i numeri sembrano in crescita perché c’era stato un calo. Nel 2014, i Verdi/Ale avevano preso 52 seggi, ma nei sondaggi del 2017 erano dati al massimo con 23 seggi. Ora stanno recuperando, ma si assestano ancora attorno ai 50 seggi. Tre: il risultato dei Verdi tedeschi, Bündnis 90/Die Grünen, determinerà successo o insuccesso di tutto il gruppo europeo. Da guardare anche: Olanda (dove il partito ha appena aderito alla campagna di boicottaggio di Israele) e Francia, che rappresentano il 10 per cento del totale dei voti. Quattro: anche nella questione verde, si conferma la spaccatura ovest-est. A est il voto per i Verdi è molto basso. Cinque: soltanto il 16 per cento degli europei, secondo l'Eurobarometro, cita il cambiamento climatico tra le prime due preoccupazioni. Il dato è in crescita: nel 2014, era sotto al 10 per cento.

 

L’elettorato verde è: giovane, urbano e più istruito della media. Anche questo spiega perché il “surge Verde” è molto dibattuto sui social, ma nella realtà (quasi) non esiste. Schminke conclude: “Le iscrizioni ai partiti ambientalisti sono in costante aumento, quindi il ‘trend verde’ è destinato a durare. Per ora la preoccupazione è sempre rivolta a sicurezza/terrorismo, immigrazione ed economia, ma il cambiamento climatico e la protezione ambientale sono sempre più citati e i Verdi sono considerati molto competenti quando si tratta di comprendere meglio di che cosa bisogna davvero avere paura”.