Il primo appuntamento con l'Europa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L'intervista a Simon Kuper, il report della conferenza di Monaco, pillole di sondaggi per le elezioni europee e quella connessione tra libertà di movimento e amore

 

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"Negli anni abbiamo dimenticato molte cose dell'Unione europea. Un giorno alle manifestazioni europeiste abbiamo chiesto: 'Chi di voi si è innamorato in un altro paese dell'Ue?'. Avreste dovuto vedere in quanti hanno alzato la mano”.

New Yorker, dalla piazza di Pulse Europe

 

 

14 febbraio 2019

Non esiste una connessione diretta tra libertà di movimento e amore, né ci sono studi recenti sui matrimoni tra cittadini europei: abbiamo sviscerato ogni aspetto dell'Unione europea ma abbiamo tralasciato il fattore innamoramento, sbadati che siamo.

 

Spulciando tra le statistiche continentali abbiamo però scoperto due cose: dal 1990 alla prima decade degli anni Duemila, la “ever closer union”, il processo di integrazione comunitario, è stato più evidente a livello matrimoniale che a livello politico; una ricerca del 2014 sui ragazzi del programma Erasmus dice che il 33 per cento di loro s'è innamorato di uno straniero (tendenzialmente di nazionalità europea) e che dal 1987 le coppie nate durante l'Erasmus hanno messo al mondo un milione di bambini.

  

Forse l'amore c'entra, allora, se si vuole costruire l'identità europea, se si ha a cuore il popolo europeo. Proveremo a capirlo in questo nostro viaggio elettorale che inizia oggi e ci porterà fino all'Election day, il 26 maggio (qui un piccolo manuale sulle elezioni europee, per cominciare).

Mettetevi comodi, come si dice, perché per il primo appuntamento abbiamo scelto la strada lunga.

Buon San Valentino intanto, innamorati europei(sti).

 

  

Il cosiddetto "angolo dell'esperto" non si porta molto di questi tempi, ma a noi gli esperti piacciono. In pillole ancora di più.

 

Simon Kuper è editorialista del Financial Times, è nato in Uganda da genitori sudafricani, è cresciuto in Olanda, è naturalizzato inglese e ora vive a Parigi. Adora il calcio e scrive di calcio, ma ha un occhio molto originale anche su tutto il resto: forse avete visto le sue foto recenti scattate durante un reportage ad Amsterdam, durante il quale dice di aver imparato molte cose, una fondamentale:

Sulle elezioni europee, Kuper dice:

  • le cose più importanti da seguire sono mobilitazione e affluenza: "Queste elezioni sono come una partita di calcio, ci sarà molta più attenzione"
  • il confronto come lo raccontiamo noi (noi dei giornali, noi esperti, noi élite), "Macron vs Salvini" per intenderci, è un po' distorto, "l'euroscetticismo è cambiato molto negli ultimi due anni, soprattutto a causa della Brexit, del disastro della Brexit. Oggi l'euroscetticismo è un po' quel che fa Salvini: vado in Europa, faccio confusione e blocco ogni azione collettiva. Però continuo a prendere i sussidi europei e a stare nel mercato comune". Sintesi: "Nella vita reale, la sfida europea è sempre meno esistenziale"
  • i paesi più grandi soffriranno parecchio, "Italia, Francia e Germania avranno voti molto diversi rispetto a quelli che hanno avuto nel 2014"
  • "non si parla abbastanza della rinascita Verde" e invece è la storia di questa stagione
  • il progetto europeo "si è bloccato", e ci vorrà tempo per farlo di nuovo respirare: ogni previsione, anche a due anni, rischia di essere sbagliata
  • un posto speciale all'inferno a chi lo riserviamo? "Sono completamente d'accordo con Donald Tusk". Fa naturalmente riferimento a questo:

 

 

 

Domani si apre la Munich Security Conference, che chiamiamo semplicemente conferenza di Monaco e che ricordiamo soprattutto perché, nel 2007, nel suo intervento Vladimir Putin disse che il mondo unipolare non è soltanto "inaccettabile" ma anche "impossibile". Iniziava la cosiddetta svolta della Russia nei confronti dell'occidente, ma ancora oggi, 12 anni dopo, c'è chi non l'ha capita.

In ogni caso, oltre ai molti pettegolezzi sull'assenza di Emmanuel Macron, il tema di quest'anno è: "The Great Puzzle: Who Will Pick Up the Pieces?". Cioè: chi vorrà, potrà, riuscirà a mantenere l'ordine liberale globale così come lo conosciamo da settant'anni? Cercasi un salvatore, insomma.

  

Nel report, che va comunque letto perché ci sono grafici e studi molto interessanti (alcuni anche agghiaccianti), si dice che:

  • dato per assodato che Cina e Russia rappresentano delle minacce perché non c'è più collaborazione tra superpotenze bensì "competizione", il dato principale è questo: il passaggio "dalla pace alla croce americana: è finita l'egemonia gentile dell'America" (nel report qui c'è un punto interrogativo, ma non serve)
  • gli altri paesi occidentali potranno compensare "l'instabilità della leadership americana"? La conclusione non è molto rassicurante: "Alcuni candidati a diventare guardiani dell'ordine liberale sono volenterosi ma incapaci; altri sono almeno capaci ma non volenterosi"
  • in questo interregno – come definito da Gramsci, "il vecchio sta morendo ma il nuovo non riesce a nascere" – può accadere ogni cosa: "Non si sa che nuovo ordine emergerà, se i valori principali del vecchio ordine si salveranno, se vivremo in un mondo in cui diversi ordini competono tra loro, e se questo processo sarà pacifico"
  • il senso di responsabilità dei leader globali diventa dirimente.

Avessero scritto "siamo spacciati", questi della conferenza di Monaco, saremmo stati più allegri. Per fortuna però, sappiamo di cosa c'è bisogno: "Una strategia per prevenire la perdita di capacità di forgiare gli affari mondiali", che in tedesco si dice così: "Weltpolitikfähigkeitsverlustvermeidungsstrategie".

 

 

"La Nato garantisce la sicurezza a quasi un miliardo di persone tra l'Europa e l'America del nord e con voi, che vi siete appena uniti all'Alleanza atlantica, saranno trenta le nazioni impegnate a proteggersi l'un l'altra. Il vostro ingresso porterà più stabilità nei Balcani occidentali, e questo è un bene per la regione e per la sicurezza euro-atlantica”.

 

Con queste parole il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha accolto la Repubblica della Macedonia del Nord nell'Alleanza atlantica: ora ogni paese membro dovrà ratificare l'ingresso.

  

La Macedonia ha appena cambiato nome con un referendum, ha rischiato di far cadere il governo greco per questo nome, ma è riuscita ad arrivare al suo obiettivo: entrare a far parte della Nato e in futuro dell'Unione europea.

  

Il vicepremier macedone, Bujar Osmani, ha spiegato agli americani, di recente, perché per il suo paese è tanto importante stare nella Nato e nell'Ue:

  • Abbiamo preso l'ultimo treno. La regione e il mondo intero stanno diventando dinamici dal punto di vista geopolitico. E penso che questa sia stata l'ultima occasione per noi per definire la geopolitica della regione, una regione che appartiene alla Nato, che appartiene alla famiglia euro-atlantica e ai suoi valori"
  • "Ogni giorno che passa è un giorno prima della ratifica dell'ingresso nella Nato è un giorno regalato a chi vuole compromettere l'intero processo"
  • Ma la frase più bella è: "L'idea europea è ancora viva. E' potente. Può trasformare regioni e società".

 

Se l'ingresso della Macedonia del Nord nella Nato fosse una storia d’amore la Russia sarebbe la matrigna cattiva, della Macedonia ovviamente. Per impedire che Skopje entrasse a far parte dell’Alleanza atlantica Mosca ha spiato, si è infiltrata, ha cercato di interferire in modo disordinato e distratto. L’entrata di Skopje nella Nato ha fatto arrabbiare il Cremlino per diversi fattori:

  • I precedenti: Slovenia, Croazia e Albania sono state le prime a sfilarsi dall’asse filo orientale. Ma è stato il Montenegro a far infuriare la Russia quando nel 2017, era il 28 aprile, firmò il trattato con la Nato;
  • I legami: la lingua, i rapporti culturali ed economici della Macedonia erano più frequenti con la Russia che con altri paesi occidentali. Oggi la sua influenza è molto ridotta;
  • Le ambizioni: ormai a Mosca è rimasta soltanto la Serbia nei Balcani, quella regione così vicina al Mediterraneo sulla quale la Russia aveva sempre avuto grandi aspirazioni.

  

  

Jeremy Cliffe è un giornalista dell'Economist che da qualche tempo scrive la rubrica settimanale sull'Europa, Charlemagne (prima era il corrispondente a Berlino). E' appena stato in Abkhazia e ha pubblicato una serie di tweet molto interessanti.

 

L'Abkhazia era una delle mete turistiche più ambite dai dirigenti sovietici, con il suo clima temperato, le spiagge sul mar Nero e una natura rigogliosa. Con la caduta del Muro, è diventata il teatro – uno dei teatri: il Caucaso è un po' tutto così – di una guerra con la Georgia, di cui fa ufficialmente parte, che è andata avanti a più riprese, sanguinose. L'ultima volta che ne abbiamo sentito parlare parecchio risale all'agosto del 2008, quando ci fu uno scontro tra la Georgia e la Russia proprio per lo status dell'Abkhazia e dell'Ossezia del sud: è considerata la prima guerra europea del XXI secolo, e ancora oggi le truppe russe occupano queste due regioni.

 

I tweet di Cliffe sono un minireportage, a partire da questo ponte:

  

 

"Le scuole in Abkhazia non insegnano più il georgiano (né la lingua locale collegata, il mingreliano) e per avere documenti abkazi, gli abitanti di etnia georgiana devono rinunciare alla cittadinanza georgiana. L'accesso alle scuole e al welfare è limitato e gli standard di vita sono molto bassi".

 

"Ogni giorno gli abitanti dell'Abkhazia (soprattutto di etnia georgiana) attraversano il ponte sul fiume Enguri che li divide dal distretto di Zugdidi controllato dalla Georgia, dove possono avere accesso ai servizi. Sotto la bandiera georgiana ed europea vanno a scuola, ritirano la pensione e si fanno fare le ricette mediche".

 

"Le autorità de facto dell'Abkhazia hanno chiuso il 'confine' l'11 gennaio, citando come causa il pericolo di contagio della febbre suina dalla zona sotto il controllo georgiano. L'hanno riaperto la scorsa settimana (inizio febbraio,ndr)".

 

"Le torri di controllo presidiano la linea di demarcazione tra Abkhazia e zone controllate dai georgiani. Nella guerra del 2008, i russi oltrepassarono questa linea. Oggi Mosca avverte Tbilisi (capitale della Georgia, ndr) che entrare a far parte della Nato – cosa che la Georgia vuole moltissimo, assieme alla membership europea – scatenerebbe un 'conflitto terribile'".

 

"Questo è un posto che fa molto riflettere. Visti con gli occhi dell'Europa occidentale, i checkpoint e i conflitti congelati sembrano un retaggio del XX secolo. Ma la Georgia vive con uno stato secessionista nel suo territorio e con una minaccia continua di intervento esterno (la Crimea è giusto a nord sulla stessa costa).

Il XX secolo continua a sopravvivere".

 

 

In Polonia si stanno risvegliando i media. Non che stessero proprio dormendo, ma dopo le elezioni del 2015, quando il partito nazionalista PiS vinse con quasi il 40 per cento dei voti, erano rimasti un po' sconvolti. Hanno usato questi quattro anni per riorganizzarsi e stanno portando avanti un programma di opposizione duro e costante. Qualche tempo fa Jan Gross, professore di Princeton di origini polacche, ci aveva detto che se l’opposizione politica in Parlamento non riesce a imporsi, c’è una forte società civile che manifesta, protesta, scrive e si difende.

I giornalisti hanno trovato il punto debole del governo del PiS. Jaroslaw Kaczynski, leader morale del partito, ha costruito tutta la sua carriera politica sulla sua reputazione di uomo onesto e lavoratore senza eccessi. Ma il mito dell'onestà ora è un po' appannato, a causa di due inchieste:

  • Gazeta Wyborcza, quotidiano di stampo liberale, ha pubblicato alcune intercettazioni inedite, “i nastri di Kaczynski”, che riguardano il colloquio tra il leader del PiS e un imprenditore austriaco che aveva presentato su richiesta di Kaczynski un progetto di costruzione a Varsavia di due grattacieli gemelli. Per gli edifici c’era già il nome “torri K”, in onore dei due fratelli Kaczynski, Jaroslaw e suo fratello Lech morto in un incidente aereo quando era presidente. Ma gli ostacoli erano due: uno economico e uno burocratico. Per aggirare il primo, Kaczynski aveva chiesto alla Pekao, la banca nazionalizzata dal PiS, un prestito di 300 milioni di euro; per il secondo, che riguardava l’ottenimento di un nullaosta per costruire su un terreno di interesse storico, bisognava vincere le elezioni locali, che il PiS non ha vinto. Kaczynski avrebbe bloccato tutto, senza mai pagare i progetti all’imprenditore Gerald Brigfellner. In più stava negoziando per conto della Srebrna, società di proprietà della fondazione Kaczynski.
  • TVN è un’emittente televisiva, da non confondere con TVP, detta anche TVPiS, la televisione statale oggetto di molte polemiche per la sua trasformazione in organo di propaganda del governo. TVN ha rivelato che Adam Andruszkiewicz, controverso viceministro degli Affari digitali vicino ai gruppi di estrema destra, ha falsificato dei documenti importanti riguardanti le elezioni locali. TVN ha scoperto che il partito sapeva e che pure Kaczynski era la corrente.

Il PiS rimane ancora molto forte, mentre il Po, il maggior partito d'opposizione, si indebolisce. La causa è la creazione di un nuovo partito, Wiosna, Primavera, movimento di sinistra determinato a rosicchiare voti al Po.

 

 

  

 

Saremo rapide, promesso. Anche perché la Brexit, da quando è stato siglato l'accordo con l'Ue alla fine di novembre, è sempre uguale a se stessa. C'è un piano per l'uscita dall'Ue – il miglior piano possibile, sulla base delle linee rosse europee e britanniche – che non piace alla Camera dei Comuni di Londra, ma che senza l'approvazione della Camera dei Comuni di Londra non può essere applicato. La premier, Theresa May, sta cercando di farlo passare, e ormai il suo è diventato un esercizio retorico. L'ultimo slogan? "Hold your nerve", guys.

Oggi si votano nuovi emendamenti: l'ultima volta, un paio di settimane fa, è andata così, e sono tornate le solite fantasie sul divorzio facile, meglio conosciuto come "Unicorn Brexit". La prossima giornata importante è prevista per il 27 febbraio, un altro Brexit day.

Come potrebbe andare? Forse come dice Olly Robbins, il caponegoziatore di Londra: in realtà non voleva farsi sentire, ma un giornalista di Itv, Angus Walker, ha origliato.

 

Nell'attesa, avendo rinunciato a fare previsioni, seguiamo i consigli di Alexandria Ocasio-Cortez, che ne ha per tutti e su tutto:

 

 

 

In diretta dalla bolla bruxellese, David Carretta (@davcarretta) ci scrive:

"La nomina di Martin Selmayr a segretario generale della Commissione europea ha violato le regole dell'Unione europea e dello stesso esecutivo comunitario. Lo ha stabilito il mediatore europeo, Emily O'Reilly, nel suo rapporto finale sulla promozione lampo dell'onnipotente ex capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker. O'Reilly è andata a guardare documenti ed email e ha scoperto che tutta la procedura è stata un “fake”: uso improprio del processo di nomina, creazione di costrizioni temporali artificiali, conflitti di interesse. Anche l'Europarlamento era giunto alla stessa conclusione. Ma la riposta della Commissione è sempre la stessa: circolare, non c'è niente da vedere sulle nostre nomine interne. Solo che gli antieuropei – dai brexiteers oltremanica ai pentastellati nostrani – si sono impossessati del caso Selmayr per dire: l'Ue impone regole, ma non le rispetta. Restando al suo posto, Selmayr non sta facendo un favore all'Ue e all'istituzione che guida con pugno di ferro".

 

 

Quel che abbiamo letto e commentato in questi giorni:

  • Il report che fa preoccupare gli europeisti è stato appena pubblicato dall'European Council on Foreign Relations: parla di paralisi permanente nell'Europa che verrà dopo il 26 maggio (ma per fortuna fornisce anche alcune indicazioni per evitarla, questa paralisi).

 

 

  • Una guida di Politico Europe sulle tante tribù che compongono i gilet gialli, che è anche il motivo per cui a Lione, domenica scorsa, due gruppi di gilet hanno fatto una rissa.
  • Da dove nasce la teoria del complotto contro Soros? Il sito Atlatszo ha fatto una ricostruzione molto bella, con le date più importanti di questo complotto internazionale e chi lo ha utilizzato a proprio vantaggio. Atlatszo è una ong che fa inchieste giornalistiche indipendenti: in ungherese, atlatszo significa "trasparente”. Alla radio della Bbc, un commentatore ha detto che stiamo vivendo "l'età dell'oro" delle teorie del complotto, fortunati che siamo. Si può sentire qui.
  • Populismo /1 Che cosa tiene insieme i movimenti populisti internazionali. Non è la xenofobia, scrive sul Washington Post Anne Applebaum, è "l'ipocrisia".
  • Populismo /2 Secondo Joseph Nye, passato alla storia per aver coniato il termine "soft power", il populismo è sempre esistito, è per gli americani "come la torta di mele". Il liberismo e la globalizzazione c'entrano ma fino a un certo punto: è sulle radici culturali del populismo che bisogna riflettere e lavorare. Anche perché, come ha scritto Gideon Rachman sul Financial Times, potremmo averne per i prossimi trent'anni.
  • Il 31 marzo si vota in Ucraina: ne riparleremo, ma intanto possiamo farci un'idea di chi sono i candidati. Stiamo pur sempre parlando di un paese che per entrare in Europa ha fatto la rivoluzione e si è trovata invasa dagli omini verdi (che non arrivano dallo spazio, ma dalla Russia) e con una regione di meno, alla faccia del sovranismo. A proposito: la versione di Google Maps della questione della Crimea ai russi non è piaciuta per niente.
  • Di questi tempi la geopolitica assomiglia molto alla serie tv "The Affair", che racconta le stesse scene viste con gli occhi di lui e viste con gli occhi di lei: sono sempre molto diverse. Donald Trump e Beto O'Rourke a El Paso, all'inizio della settimana, sembravano i protagonisti di "The Affair", solo che non si parlava di amore o di baci rubati in spiaggia, ma del solito muro a sud dell'America. Il trailer è della Cbs.

Per il nostro primo appuntamento, questo è tutto. Alla prossima settimana.

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