Ponte Dell'occhio Di Skopje (foto Nikolovskii via Flickr)

La Macedonia o con Mosca o con Bruxelles

Micol Flammini

Skopje voterà per l’accordo sul nome e la disinformacija russa è già iniziata

Roma. Tutto ruota attorno a un sì, o a un no. Se la Macedonia intende diventare un paese membro dell’Unione europea e un componente della Nato, quel sì renderà possibile il lento viaggio verso ovest per il paese balcanico. Il no, al contrario, lascerà la Macedonia lì dove sta da anni. Incastonata tra l’oriente e l’occidente, ferma con i suoi conflitti interni ed esterni. Continuerà a chiamarsi Macedonia ma solo per i macedoni e Fyrom, Former yugoslav republic of Macedonia, per tutti gli altri, anche se all’Onu già qualcuno la riconosce come Repubblica di Macedonia. Oggi, 30 settembre, i cittadini dovranno esprimersi riguardo all’accordo sul nome raggiunto dopo decenni di scontri, morti ai confini e fatiche diplomatiche tra il governo greco e quello macedone che a luglio hanno stabilito che il paese potrà chiamarsi Macedonia del nord. La soluzione che ha messo d’accordo Atene e Skopje non è detto che piaccia ai cittadini macedoni, soprattutto se contro il sì al referendum è iniziata una battaglia che ormai non sorprende più, dopo le presidenziali americane, la Brexit e le altre elezioni europee, che ha a che vedere con la Russia.

   

Il copione è sempre lo stesso: mentre la Macedonia si prepara a un voto storico, sono nati centinaia di siti che chiamano i macedoni al boicottaggio, post su Facebook che diffondono notizie sulle catastrofiche conseguenze di un’eventuale vittoria del sì, tra queste si annovera la diceria che il prossimo passo, se il paese acconsentirà a cambiare nome, sarà una strana rappresaglia da parte di Google, pronto a eliminare la sua versione in macedone.

 

Se Skopje votasse a favore del referendum, in realtà avrebbe soltanto dei benefici: crescita economica e sicurezza. La Grecia finora si è opposta al suo ingresso nell’Ue e nella Nato per la questione del nome ed eliminato il veto greco, per il paese balcanico, la strada sarebbe soltanto in discesa. Ma la Russia che nel 2016 in quell’area ha già perso il Montenegro, non può permettersi di lasciare andare anche la Macedonia. I Balcani sono sempre stati sotto la sua influenza e ora che di quel suo antico regno indirettamente governato sta perdendo un pezzettino alla volta, è disposta a tutto.

       

La disinformazione è già partita da tempo, funzionari macedoni, europei e americani stanno monitorando i social e gruppi sostenuti da Mosca stanno cercando di alimentare paure, di fomentare i sentimenti nazionalisti al fine di ridurre l’affluenza. Ma la questione è: ora o mai più. Alla Macedonia non si presenterà un’altra occasione, o decide il 30 settembre di abbandonare la sfera di influenza russa cambiando il nome, o resterà per sempre in quello stato di incertezza mentre i suoi vicini – Albania, Kosovo, Bulgaria e ovviamente Grecia – sono già passati dall’altra parte. Rimane la Serbia a flirtare con Mosca. Ora o mai più. La Russia lo sa e tra i due vuole il mai più.

  

Ostacolare il referendum, come ha detto il premier macedone Zoran Zaev, porterebbe il paese in uno stato di incertezza e di instabilità, un affare per il Cremlino, un pericolo per l’Ue, un disastro per la Macedonia. Anche gli Stati Uniti sperano che vinca il sì, e Jim Mattis, segretario della Difesa, ieri era a Skopje per sostenere la vittoria del referendum. Sia la Macedonia sia l’occidente stanno cercando il modo di bloccare la campagna di disinformazione, ma non è facile, domenica durante le proteste contro il referendum i manifestanti sventolavano bandiere russe, l’ambasciatore russo a Skopje è un ex compagno di classe di Sergei Lavrov – secondo Politico l’ambasciata è un covo di spie – e per il Pentagono la Russia, oltre a sostenere organizzazioni vicine al Cremlino, sarebbe disposta a pagare i singoli elettori affinché si astengano dal voto. Macedonia unita è tra i partiti più agguerriti e a marzo ha invitato Alexander Dugin, il filosofo russo legato a tutti i movimenti di estrema destra, a tenere una conferenza a Skopje. Alla domanda che cosa farebbe se venisse chiesto alla Russia di cambiare nome, Dugin ha risposto: “Ucciderei”.

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