La statua di Alessandro Magno a Salonicco in Grecia. Foto LaPresse

La Macedonia ha ora un nome gradito ai greci, ma l'accordo di palazzo non basta

Guido De Franceschi

Una disputa durata 27 anni, un patto, molti capelli dritti. Ratificare il patto tra Alexis Tsipras e il collega macedone Zoran Zaev non sarà semplice 

Milano. Si è trovato un accordo sul nome della Macedonia, una disputa che da 27 anni oppone la Macedonia, appunto, e la Grecia. Atene non ha mai accettato che uno stato non greco utilizzasse la denominazione “Macedonia”, perché “la Macedonia è soltanto greca!”. Skopje non vuole invece rinunciare a quel nome, perché la piccola nazione balcanica – che ha pochi abitanti, è etnicamente ultracomposita, ha poche risorse e ha una tradizione di indipendenza ancora minuscola – non ha molto altro, oltre a quel nome, a cui ancorare la propria identità statuale. Di qui il pluridecennale dissidio. La Grecia ha ottenuto che la Macedonia fosse finora riconosciuta internazionalmente con l’orrendo acronimo FYROM (che sta per “Ex Repubblica jugoslava di Macedonia”). Ora invece Atene si accontenterebbe di un meno punitivo “Repubblica della Macedonia del nord”. L’accordo tra il premier greco Alexis Tsipras e il collega macedone Zoran Zaev va ancora ratificato nei due paesi. E non sarà un percorso agevole.

   

Le questioni onomastiche tra Atene e Skopje hanno avuto anche risvolti folkloristici. Celebre, ad esempio, la catena di dispetti “aeroportuali: i macedoni, una decina di anni fa, causarono profondo sdegno in Grecia cambiando nome all’aeroporto della capitale e dedicandolo al greco Alessandro Magno (in un gesto di buona volontà Skopje ha rinunciato nel febbraio scorso a questa intestazione). Ma anche la Grecia, all’indomani dell’indipendenza macedone, aveva provocatoriamente cambiato nome all’aerostazione di Salonicco, chiamandola proprio “Macedonia”. Ma queste esibizioni di forza, con cui spesso i due governi non sono riusciti a volare molto più alto del “cicca cicca” e del “tiè”, hanno avuto anche conseguenze rilevanti. Per esempio, a causa dei veti ellenici determinati proprio dai litigi sul nome, la Macedonia è rimasta fuori sia dalla Nato sia da tutti i negoziati sull’allargamento dell’Unione europea.

   

I nazionalismi che hanno acceso la disputa onomastica nel 1991, e le hanno fornito combustibile per quasi tre decenni, rimangono il più grande ostacolo per una definitiva ratifica dell’accordo tra Tsipras e Zaev. A sud della frontiera il sentimento secondo cui la Macedonia è soltanto greca è molto vivo. Eppure, a suo tempo, cioè all’inizio del V secolo a.C., la grecità dei macedoni era contestata. Quando Alessandro I, il quadrisnonno di Alessandro il Grande, volle partecipare ai Giochi di Olimpia, riservati ad atleti ellenici, “i greci che avrebbero dovuto essere suoi avversari nella corsa tentarono di farlo escludere, sostenendo che la gara non fosse per partecipanti barbari ma per greci”. Così racconta Erodoto. Dovettero intervenire gli ellanodici, i magistrati preposti all’organizzazione dei Giochi, che sancirono l’origine argiva di Alessandro e dunque la sua grecità. Fu forse allora che nelle curve ultrà di Olimpia il coro “non esistono macedoni greci” fu sostituito dallo slogan “la Macedonia è soltanto greca”.

   

D’altra parte, agli ultranazionalisti ellenici non andrebbe bene per il paese vicino neanche una denominazione come “La Macedonia non greca fa schifo”, perché comunque un nome siffatto postulerebbe l’esistenza di una Macedonia non greca e consentirebbe l’uso da parte di Skopje del sostantivo “Macedonia”. E quindi amen. Ma la contrarietà all’accordo Tsipras-Zaev va ben oltre i circoli degli hardliner greci che vogliono incriminare il premier per alto tradimento: non accettano la definizione “Repubblica della Macedonia del nord” né il partito di destra Greci Indipendenti, che è alleato di governo di Tsipras, né il grande partito del centrodestra greco, Nuova Democrazia, che è primo, tra l’altro, nei sondaggi elettorali. Per la necessaria ratifica dell’accordo in Parlamento, Tsipras dovrà quindi trovare una difficile maggioranza, sommando ai voti del suo partito Syriza quelli di qualche deputato dell’opposizione (Pasok e dintorni).

   

La partita è complicata anche in Macedonia: Zaev dovrà vincere un referendum sul nuovo nome, previsto in autunno, e trovare una difficilissima maggioranza in Parlamento per emendare la Costituzione. Il premier si gioca tutto e lo aspettano al varco i nazionalisti di destra, che nei loro lunghi anni di governo hanno spinto sull’“antikvizatzija” e cioè proprio su una provocatoria sottrazione di porzioni di eredità culturale greca, per sostenere i loro progetti identitari “antichizzanti”.

Però, si dice, è impossibile che si rinunci ora all’accordo, già festeggiato dalla comunità internazionale. Sarebbe assurdo. Ma, d’altronde, neppure il litigare per 27 anni su un nome è stato un gran segno di lucidità.

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