Un incontro sulla cooperazione tra l'Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali. Nella foto i ministri degli Esteri dei paesi con alcuni rappresentati dell'Ue (Foto LaPresse)

Altro che Russia, nei Balcani c'è l'opa della Cina. Il caso Montenegro

Micol Flammini

Gli investimenti di Pechino mettono a rischio l'allargamento a est dell'Unione europea

Roma. C’è un’autostrada in costruzione in Montenegro che è un sogno antico, un progetto nato già quando la piccola nazione era Yugoslavia. La strada dovrebbe collegare il porto di Bar a Belgrado, per realizzarla bisogna scavare le montagne e il Montenegro non ha mai avuto denaro sufficiente per farlo. Fino a quando non è intervenuta la Cina a finanziare grandi infrastrutture. Il governo montenegrino si è indebitato con Pechino per circa 1,3 miliardi di euro, cifra che ha fatto aumentare il debito del paese dal 63 per cento del pil a quasi l’80 in sette anni. Secondo le clausole del contratto, se il Montenegro dovesse fallire, i prestiti darebbero ai cinesi il diritto di avere libero accesso al territorio della nazione come garanzia e i montenegrini iniziano a fare i calcoli e ad avere paura dei rischi. “Questo investimento cinese – ha spiegato al Financial Times Milka Tadic Mijovic, direttore del Centro per i rapporti investigativi di Podgorica – potrebbe essere davvero pericoloso”.

 

Ieri a Dubrovnik, in Croazia, al summit 16 + 1, durante il quale il premier cinese Li Keqiang ha incontrato i leader delle nazioni orientali dell’Europa orientale e dei Balcani, c’era anche il Montenegro. Il sogno dell’autostrada ha indebitato la nazione e, secondo il Fmi, se l’autostrada non fosse stata costruita, il suo rapporto debito/pil sarebbe sceso al 59 per cento entro il 2019, anziché aumentare al 78. Queste cifre sono state dolorose per i montenegrini, che per la prima volta si trovano in una situazione di disavanzo superiore agli standard dell’Ue e il Montenegro è in fila per diventare un paese membro.

 

Con lui vorrebbero entrare anche le altre nazioni dei Balcani: Serbia, Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo, Macedonia del nord, tutti stati che ieri erano presenti al summit a Dubrovnik. Bruxelles ha sempre pensato che fosse la Russia il suo rivale nei Balcani, – Mosca ha un’egemonia ideologica, è storicamente legata all’area sud orientale dell’Europa – ma ha poco denaro e la sua influenza è stata assorbita dalla Cina. Anche Aleksandar Vucic, il presidente serbo molto amico di Vladimir Putin, ha chiesto aiuto alla Cina, gli investimenti sono iniziati dalle miniere di rame e lo scorso anno le aziende cinesi hanno investito nel settore tecnologico.

 

C’è un senso di gratitudine in Serbia nei confronti di Pechino, alcune fabbriche risollevate dai suoi investimenti espongono anche la bandiera rossa cinese. Così anche in Bosnia, dove la Cina sta finanziando l’espansione delle centrali a carbone e questo mese Sarajevo ha approvato una garanzia statale per un prestito bancario cinese di 614 milioni di euro proprio per l’ammodernamento della centrale di Tuzla. La decisione ha fatto spazientire anche Johannes Hahn, commissario europeo per le Politiche di allargamento, che in un tweet ha avvertito che “le valutazioni di impatto ambientale, gli aiuti di stato e le procedure di appalto pubblico saranno esaminati con attenzione” per valutare l’adesione all’Ue.

 

 

Nei Balcani, l’Ue sta già erogando finanziamenti diretti da diversi anni, sono oltre il 70 per cento, ma non riesce a risultare attraente. Per la Nuova via della seta, l’iniziativa strategica di Pechino per aprire la strada alle sue esportazioni verso l’Europa, i Balcani sono essenziali e dopo aver conquistato l’Italia, che con la firma del Memorandum a fine marzo è ormai di fatto entrata a far parte dell’orbita orientale dell’Ue (assomiglia sempre meno ai suoi vicini e sempre di più all’est), Pechino è a buon punto e il summit 16 + 1 di ieri a Dubrovnik e l’entusiasmo di molti leader per l’incontro con il premier Li Keqiang lo hanno dimostrato.

 

Ora rimane aperta una questione importante per l’Unione che per il 2025 sta pensando di accogliere nel novero dei paesi membri anche gli altri stati balcanici. Bruxelles dovrà decidere se competere con Pechino, cercare di allontanare l’influenza cinese e lasciare entrare Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia e Bosnia Erzegovina o se considerare l’allargamento a est per ora una partita persa.

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