Il premier macedone Zoran Zaev accanto al greco Alexis Tsipras (Foto LaPresse)

Rifiutando di allargarsi l'Ue tradisce la Macedonia, Tsipras e i suoi valori

Micol Flammini

Atene e Skopje hanno trovato un compromesso sul cambio del nome della Macedonia per fare contenta l'Europa. Ma Bruxelles è venuta meno alle sue promesse

Roma. Nonostante Prespa, nonostante i governi in bilico, nonostante ogni sforzo. Era stato detto alla Macedonia, quando ancora non si chiamava Macedonia ma Fyrom, che per entrare nell’Ue e nella Nato avrebbe dovuto trovare un accordo con la Grecia che, assieme agli altri stati europei, contesta allo stato balcanico di essersi appropriato del nome della provincia greca. Skopje da parte sua si è sempre rifiutata di farsi chiamare Fyrom, ci sono voluti anni, prove, accordi, scontri ai confini, un referendum e alla fine Atene a Skopje hanno trovato un compromesso. Tutto per l’Unione europea, tutto per la Nato. Il quesito con cui il premier macedone Zoran Zaev ha chiesto ai suoi cittadini se fossero d’accordo con il cambio del nome era un inno all’euroatlantismo e chiedeva loro se fossero “favorevoli a un’adesione all’Ue e alla Nato attraverso l’accettazione dell’accordo tra Macedonia e Grecia”. Il referendum non raggiunse il quorum, era consultivo e in Parlamento dopo nottate, liti, sedie saltate, Zaev è riuscito a far approvare l’accordo per il quale la nazione si sarebbe dovuto chiamare Macedonia del nord.

  

 

Anche in Grecia non è stato facile, Alexis Tsipras non aveva alcun interesse diretto, lottare per quell’accordo è stato una scelta: la volontà di dare un’opportunità a un'altra nazione. Molti esponenti di Syriza sono stati minacciati, al nord del paese le loro case venivano presidiate dai manifestanti che erano contrari. Tsipras alla fine ha vinto la sua battaglia, è riuscito a dare un’opportunità allo stato balcanico e il giorno della ratifica dell’accordo ha detto: “Oggi scriviamo un nuovo capitolo nella storia dei Balcani. L’odio nazionalista, le dispute e gli scontri sono ora sostituiti dall’amicizia”. Tsipras nel frattempo ha perso il suo governo, dopo le elezioni europee ha convocato le elezioni anticipate, il tutto per rispetto e un forte credo nei valori europei. È stata una trattativa estenuante solo per concedere a uno stato di diventare membro dell’Unione europea e poi scoprire che invece gli altri paesi non sono affatto d’accordo e che per la Macedonia del nord, anche per l’Albania, le cose andranno un po’ diversamente.

 

Lunedì scorso durante un primo e lungo incontro tra gli ambasciatori Ue è venuto fuori che non tutti sono d’accordo con questo allargamento, Francia e Olanda hanno detto che i Balcani non sono pronti e che per Macedonia e Albania c’è ancora da attendere. Altri hanno tentato di far capire che, soprattutto nel caso della Macedonia, si trattava quasi di una promessa, un impegno. “È questione di credibilità”, ha detto Federica Mogherini, alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza dell’Ue che sull’allargamento a est ha puntato gran parte del suo mandato. Dello stesso avviso è Johannes Hahn, commissario per l’Allargamento, che ha ricordato che non è soltanto una questione di negoziati, ma anche e soprattutto di promesse. Per Skopje non si trattava soltanto di aggiustare i parametri europei, è stata una lotta di valori. L’opposizione ha già chiesto a Zoran Zaev di dimettersi, aveva detto che avrebbe avuto la conferma dell’avvio dei negoziati con l’Ue entro luglio, mentre anche da Angela Merkel ha ottenuto un no, la Germania per ora aspetta a prendere posizioni, ha fatto sapere che scioglierà le riserve a settembre. Anche la Danimarca non è convinta. Si pensa a Visegrád, si pensa al nazionalismo e si pensa anche alle casse europee. A est, i paesi che erano entrati in preda al fervore europeista, sono stati i primi a farsi prendere dall’euroscetticismo, il timore dei diplomatici è che nei Balcani possa accadere la stessa cosa.

 

Se ne è parlato lunedì e i capi di stato e di governo ne parleranno di nuovo questa settimana. La Macedonia sta tentando tutte le strade per fare in modo che i negoziati non vengano chiusi: la scorsa settimana Stevo Pendarovski, eletto lo scorso mese presidente, è andato a Bruxelles per tentare di convincere i paesi membri e anche se una fonte brussellese ci dice che nei confronti di Skopje gli europei sono più ben disposti che nei confronti di Tirana, rifiutando ai macedoni la possibilità di portare avanti i negoziati, gli europei verrebbero meno a una promessa che ha dei pesanti rischi sulle politiche nazionali. Uno su tutti: il passo indietro della Grecia. Atene voterà il 7 luglio e il partito favorito è Nuova democrazia, che sull’accordo potrebbe anche decidere di ripensarci.

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