Zoran Zaev (foto LaPresse)

Zaev, un ostinato europeista che non vuole ascoltare i macedoni

Micol Flammini

Il primo ministro della Macedonia europea vuole far passare un accordo che nessuno approva e i partiti di opposizione hanno già iniziato a parlare di elezioni anticipate

Roma. Lo slogan del referendum era “per una Macedonia europea” e lui, Zoran Zaev, il primo ministro della nazione, dopo il risultato elettorale di domenica, è diventato il primo ministro della Macedonia europea, di quel 35 per cento che è andato a votare per dire “sì” all’adesione all’Ue e alla Nato “attraverso l’accettazione dell’accordo tra Macedonia e Grecia”. Poi ci sono i “no”, quelli votati nell’urna, e i “no” lasciati intendere, espressi con il boicottaggio. Zaev nel suo curriculum non vanta studi in università straniere, non si è cresciuto in ambienti internazionali. Ma ha un forte amore per l’Europa al quale sta dedicando il suo mandato, iniziato nel 2017. Aveva conquistato la fiducia dell’Ue già qualche anno prima, quando era ancora leader dell’opposizione e venne convocato assieme all’allora premier Nikola Gruevski dal commissario europeo per l’allargamento a est, Johannes Hahn, per formare un governo provvisorio e superare una crisi politica legata alla riforma del sistema giudiziario. Era il 2015 e il partito VMRO-DPMNE lo accusò di voler rovesciare l’esecutivo con i servizi segreti stranieri. Durante le elezioni del 2016, Zaev diventa il simbolo di una Macedonia – nazione che per sua natura, anche onomastica, porta in sé il concetto di frammentazione – divisa a metà. Da una parte gli europeisti e atlantisti, dall’altra i nazionalisti.

   

  

Se si vuole entrare in una comunità come quella europea, bisogna essere pronti al compromesso. E così Zaev ha cercato di fare sin dall’inizio del suo mandato, portando avanti due negoziati importanti per ottenere quello che, secondo lui, era il meglio per il suo paese: l’ingresso nell’Unione.

 

I problemi con la Bulgaria, che pure insieme alla Grecia osteggiava l’ingresso di Skopje nella Nato e nell’Ue, sono stati risolti poco dopo l’inizio del mandato di Zaev che ha ratificato insieme con il premier bulgaro Borissov un trattato di amicizia all’inizio di quest’anno.

 

Con la Grecia i problemi vanno avanti da almeno 27 anni. Dopo l’accordo sul nome raggiunto a giugno con il primo ministro greco Tsipras, che prevedeva lo stato diventasse la “ Repubblica della Macedonia del nord”, Zaev pensava di essere a un passo dalla storica ratifica anche di quell’accordo. Aveva deciso che il referendum, dal valore consultivo, dovesse avere un quesito molto europeista, per far comprendere ai macedoni che avrebbero rinunciato al nome della loro nazione per qualcosa di molto più grande, come l’ingresso nell’Europa e nella Nato. Ma non ha compreso che i macedoni non erano pronti a una decisione così storicamente complessa.

 

Il referendum di domenica è stato un fallimento che non ha tanto a che vedere con l’europeismo in crisi, ma più con la giovane democrazia del paese. Ora dovrà decidere il Parlamento e, per far approvare l’accordo, Zaev ha bisogno dei due terzi dell’Aula. Cerca il sostegno delle opposizioni che già gli hanno risposto che non tradiranno il voto, o il non-voto, dei cittadini. Zaev, che ha promesso di rispettare le volontà della “Macedonia europea”, insiste e con lui l’Europa – Hahn ha scritto su Twitter che si aspetta che i politici portino avanti la volontà dei cittadini –, ma considerano il 91 per cento del 37 per cento degli elettori che ha votato. Il premier vuole far passare un accordo che nessuno approva e i partiti di opposizione hanno già iniziato a parlare di elezioni anticipate.

 

Il prossimo passo potrebbe spettare alla Grecia, dove Tsipras, che ha faticato quanto Zaev per convincere i suoi della necessità di un accordo con Skopje, governa con i nazionalisti che non vogliono cedere, più di quanto non abbiano ceduto finora, alle richieste della Macedonia. Senza un accordo con Atene, Skopje non entrerà né in Europa, né nella Nato. I macedoni continueranno a chiamarsi macedoni, ma la loro nazione continuerà a essere la Fyrom, ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Un acronimo, che più che celebrare un futuro europeista, come avrebbe voluto Zaev, continua a ricordare l’appartenenza a uno stato che non esiste più.

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