Una leggera cotta

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Un viaggio tutto Verde assieme al fondatore di Europe Elects, la storia di un'europeista convintissima, di una biondina ostinata e di elezioni iperdigitalizzate

"Gli adulti continuano a dire: 'E' un nostro dovere dare ai giovani speranza, glielo dobbiamo'. Ma io non voglio la vostra speranza. Non voglio che stiate lì, speranzosi. Vi voglio vedere nel panico”.

Greta Thunberg

 

28 febbraio 2019

Greta Thunberg ha sedici anni ma sembra molto più piccola, ha la sindrome di Asperger e alle spalle una depressione – aveva 11 anni – che ha condizionato ulteriormente la sua crescita. Ha un mutismo selettivo, parla soltanto quando è strettamente necessario, e tendenzialmente parla soltanto del cambiamento climatico, del fatto che non ha senso andare a scuola, studiare, progettare, innamorarsi, sognare se tanto il pianeta sta per distruggersi, se "presto il nostro futuro non ci sarà più".

Nell'agosto dello scorso anno, ha iniziato una protesta contro i negazionisti del cambiamento climatico fuori dalla sua scuola, a Stoccolma. Era venerdì, e lei era da sola: "Sciopero perché voi adulti state cagando sul mio futuro".

Da quel momento lo sciopero del venerdì è diventato contagioso(@dormouseroared, su Twitter, tiene conto degli scioperi, l'hashtag è #FridaysforFuture), anche in Italia ci sono studenti-attivisti che rischiano di essere bocciati per le troppe assenze ma non hanno intenzione di fermarsi (uno degli slogan più ripetuti è: "Ci metteremo a fare i compiti quando voi vi metterete a fare i vostri").

Greta è andata in Polonia al vertice sul clima, a Davos e a Bruxelles: in ogni occasione ha denunciato gli adulti e la loro "irresponsabilità da ragazzini", come fanno i grandi a non sentire l'urgenza di salvare il pianeta?

 

In Belgio, la questione è diventata politica. All'inizio di febbraio, la ministra fiamminga dell'Ambiente, Joke Schauvliege, si è dimessa (in lacrime) dal suo incarico: aveva detto che le proteste degli studenti erano eterodirette da "poteri" esterni. La Schauvliege sosteneva di avere prove fornite dall'intelligence, ma l'intelligence ha smentito.

 

Lo sciopero del venerdì è ormai una costante in tutto il mondo, per il 15 marzo è prevista una manifestazione ancora più grande. In America si discute animatamente del "Green New Deal" presentato dalla inarrestabile deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che non parla più di negazionisti, ma di "quelli che vogliono ritardare" una presa di coscienza collettiva del pericolo globale.

 

Greta dice che è sempre stata "la bambina invisibile", che nessuno notava. Ora anima un dibattito che nessuno può ignorare. L'ambientalismo è la "new thing" dell'occidente? E se sì, che effetto ha sulle dinamiche politiche europee?

Cercheremo di capirci qualcosa di più, avventurandoci in quella che è definita "la rinascita verde" dell'Europa, che non è più invisibile, come non lo è Greta, eppure non è come sembra.

 

Il "surge" dei Verdi che abbiamo visto, l'anno scorso, in Baviera, in Belgio e in Lussemburgo è replicabile a livello europeo?

 

Intanto vediamo chi fa parte del gruppo Verdi/Alleanza libera europea, che al momento ha 51 seggi sui 751 del Parlamento europeo: è un gruppo molto eterogeneo, che comprende: membri del partito transnazionale Verdi Europei; alcuni partiti regionalisti considerati progressisti, che fanno parte dell'Alleanza libera europea; altri partiti che non hanno affiliazioni con partiti europei, come l'Unione dei contadini della Lituania e il Partito dei pirati tedesco.

 

Un paio di premesse:

  • Cosa cambia se gli inglesi parteciperanno alle elezioni europee? Niente. Tutto dipende dall'eventuale slittamento della deadline prevista dall'articolo 50, ma nel caso dei Verdi la presenza dei britannici non dovrebbe influire sui risultati: il gruppo Verdi/Ale dovrebbe prendere il 6/7 per cento dei consensi, e i Green inglesi sono in linea con la media europea;
     
  • Cosa cambia se si formano nuove alleanze e coalizioni prima del voto del 26 maggio? Il gruppo dei Verdi/Ale non dovrebbe subire alterazioni.Quando sembrava che il presidente francese Macron avrebbe creato una nuova alleanza "en marche", si è parlato di un'eventuale unificazione del gruppo socialdemocratico, liberale, verde con un'aggregazione anche di fuoriusciti dal Partito popolare europeo, ma al momento Macron ha rinunciato al progetto. Ci sarebbero state comunque molte reticenze da parte di questo gruppo tanto variegato.

Anche se il principio dello spitzenkandidaten è stato molto criticato e potrebbe non essere applicato, il gruppo Verdi/Ale ne ha ben due, di candidati alla presidenza della Commissione europea: Ska Keller e Bas Eickhout. Mai sentiti nominare? Già.

Qui c'è un video per conoscerli meglio, ma intanto un paio di cose:

  • Ska Keller è tedesca, è stata eletta all'Europarlamento per la prima volta nel 2009, quando aveva 27 anni. Alle europee del 2014, era la frontrunner dei Verdi. E' nata a Guben, città di frontiera con la Polonia, e ricorda spesso che, finché la Polonia non è entrata in Schenghen, quella frontiera definiva la vita stessa della città. Diventata Verde per caso (prima organizzava manifestazioni contro i neonazi), oggi la causa ambientalista è roba di famiglia: è sposata con Markus Drake, segretario generale finlandese della Federazione dei Giovani Verdi europei. E' a favore dell'Europa e del cambiamento dell'Europa
     
  • Bas Eickhout è olandese, europarlamentare dal 2009 e coautore del documento dell'Ipcc sul cambiamento climatico che ottenne il Nobel per la Pace assieme ad Al Gore nel 2007. Ricorda che la motivazione per entrare in politica gli venne quando Pim Fortuyn fu assassinato ad Amsterdam, nel 2002, da un estremista ambientalista. Eickhout cerca una terza via tra chi vuole distruggere l'Europa e chi vuole mantenerla così com'è, "colorando di verde l'economia e rendendo l'Europa più attenta alle questioni sociali"

I dati. Secondo le proiezioni, il gruppo dei Verdi/Ale aumenterà dell'1 per cento rispetto al 2014. Quindi non c'è nessun surge.

Perché allora se ne parla tanto? Ci siamo fatte condurre tra sondaggi e proiezioni da Tobias Gerhard Schminke, fondatore di Europe Elects, che spiega cinque cose:

  • La rinascita dei Verdi riguarda soltanto l'Europa nord-occidentale e anzi a est questi partiti perdono consensi, in particolare in Austria e Ungheria

  • I numeri sembrano in crescita perché c'era stato un calo. Nel 2014, i Verdi/Ale avevano preso 52 seggi, ma nei sondaggi del 2017 erano dati al massimo con 23 seggi. Ora stanno recuperando, ma si assestano ancora attorno ai 50 seggi
  • Il risultato dei Verdi tedeschi, Bündnis 90/Die Grünen, determinerà successo o insuccesso di tutto il gruppo europeo. Da guardare anche: Olanda (dove il partito ha appena aderito alla campagna di boicottaggio di Israele) e Francia, che rappresentano il 10 per cento del totale dei voti
  • Anche nella questione verde, si conferma la spaccatura ovest-est. A est il voto per i Verdi è molto basso
  • Soltanto il 16 per cento degli europei, secondo l'Eurobarometro, cita il cambiamento climatico tra le prime due preoccupazioni. Il dato è in crescita: nel 2014, era sotto al 10 per cento.


 

Quindi.

L'elettorato verde è: giovane, urbano e più istruito della media.

Anche questo spiega perché il "surge Verde" è molto dibattuto sui social, ma nella realtà (quasi) non esiste.

@TobiasSchminke conclude: "Le iscrizioni ai partiti ambientalisti sono in costante aumento, quindi questo 'trend verde' è destinato a durare. Per ora la preoccupazione è sempre rivolta a sicurezza/terrorismo, immigrazione ed economia, ma il cambiamento climatico e la protezione ambientale sono sempre più citati e i Verdi sono considerati molto competenti quando si tratta di comprendere meglio di che cosa bisogna davvero avere paura".

O si ama o non si ama questa Europa. E più da dentro c’è chi spinge per distruggerla, più da fuori arriva gente per ricompattarla. E’ il caso di un’elegante signora georgiana, capelli neri e occhi azzurri, unghie laccate e un velo di rossetto sui toni del rosa che da alcuni mesi è diventata presidente.

 

 

Salome Zurabishvili ama l'Europa senza condizioni: se potesse costruirebbe un ponte per collegare la sua nazione, la Georgia, a Bruxelles. Visto che questo non è possibile, per questioni geografiche, economiche e storiche, allora la Zurabishvilifa di tutto per portare l’Ue a Tbilisi. Contraria alle rivoluzioni, nel 2009 ha pubblicato il libro “La Tragédie géorgienne” in cui ha raccontato come il suo paese, abbagliato dalla rivoluzione delle rose e dalla figura carismatica dell’ex presidente Saakashvili, fosse poi scivolato nelle mani di una forma autocratica di potere, con morti sospette, sparizioni e corruzione. Da questo ha tratto una lezione: sfilarsi da Mosca può essere possibile, ma bisogna farlo in silenzio, senza provocare.

 

La scorsa settimana l’Economist aveva parlato dell’enorme porto che i georgiani stanno costruendo sul Mar Nero: vogliono attrarre gli europei, convincerli a commerciare con la Cina passando dalla città portuale di Anaklia. La strategia georgiana è complessa e articolata, vuole entrare nella Nato, trasformarsi in un partner per l’Unione europea, e tutti i sogni passano per la diplomazia, l’arte di Salome Zurabishvili, ex diplomatica nata a Parigi da genitori georgiani.

 

Eletta presidente il 28 novembre scorso, sta portando avanti un corteggiamento testardo e gentile nei confronti dell’Ue. La scorsa settimana è stata in Francia per strappare a Macron una promessa: convincere l’Unione a impegnarsi di più nell’operazione di monitoraggio lungo il confine tra Georgia e Russia. Ha anche incontrato Angela Merkel, ma è dai salotti parigini che spera di ottenere di più. Nella sua settimana nella capitale francese, la Zurabishvili ha passato molto tempo nei club esclusivi, nelle fondazioni, tra i dirigenti di azienda, ministri e editori cercando di mettere giù un piano di cooperazione che inizi dalla cultura e arrivi alla difesa. Macron si è dimostrato entusiasta ma qualsiasi decisione l’Europa prenderà riguardo alla Georgia fa parte di un piano più ampio che ha a che vedere con la Russia.

 

 

Domenica si vota in Estonia, due cose: la digitalizzazione e il cannibalismo politico nel centrodestra (poi c'è l'influenza russa, ma questa la si conosce bene e la si combatte anche bene).

 
Ieri sera si è concluso il voto online, di cui gli estoni vanno molto fieri. I datori di lavoro hanno lasciato dieci minuti di tempo ai dipendenti per votare: ci si mette 30 secondi, ma si "determina il nostro futuro", quindi votate.

L'I-voting è cominciato il 21 febbraio e sembra che sia stato un successo.

I partiti principali dell'Estonia sono il Partito di centro, che è sostenuto storicamente dagli estoni russofoni, e il Partito riformista, liberale: entrambi fanno parte della famiglia dei Liberali europei, l'Alde. Queste elezioni sono le prime dal 1999 in cui il Partito riformista non è al governo: ha perso un voto di fiducia nel 2016, dopo aver vinto le elezioni nel 2015: l'attuale premier, Jüri Ratas, è un esponente del Partito di centro.

 

I due partiti hanno trascorsi molto litigiosi: secondo i sondaggi però un governo senza almeno uno dei due partiti è virtualmente impossibile. Bisogna vedere se riusciranno a mettersi d'accordo per fare una coalizione.

 

Il terzo incomodo è l'Ekre, il partito nazional-conservatore, definito populista e probabilmente decisivo per la formazione del governo. Mart Helme, storico, diplomatico, contadino e cantante, è il leader del partito dal 2013 e: difende i valori conservatori della famiglia contro i liberali che "promuovono una agenda omosessuale nella società e nelle scuole"; sposa la retorica anti immigrazione che noi conosciamo bene, dicendo che è una minaccia per l'identità nazionale e culturale dell'Estonia; attacca l'Unione europea e la sua integrazione politica: "I politici estoni devono ammettere con onestà che la nostra scelta è tra stare con chi vuole creare gli Stati Uniti d'Europa e chi aspira a un'Europa di stati nazionali. Il mio partito non vede alcun posto per l'Estonia dentro agli Stati Uniti d'Europa". In particolare, Helme ha difeso Marine Le Pen e i leader nazionalisti ostracizzati dall'élite liberale dell'Ue paragonandoli ai dissidenti sovietici.

 

La situazione è, come ormai dappertutto, frammentata:

Tra le priorità degli elettori ci sono: le tasse al primo posto, l'armonizzazione linguistica tra russo ed estone al quarto posto e al secondo un elemento molto importante a livello europeo. Per il 20 per cento degli estoni, a condizionare il voto sarà "il confronto tra valori liberali e valori conservatori".

 

Il 24 febbraio era la festa nazionale dell'Estonia, la Commissione europea l'ha festeggiata con un video che celebra  questo "vivace e creativo membro della famiglia europea".

 

A proposito di confini: si è votato in Moldavia.

Il paese è a metà, a metà tra l’occidente e l’oriente, tra la Russia e l’ovest. Il Partito socialista del presidente Igor Dodon ha ottenuto il 31 per cento dei voti, seguito da Acum con il 27 per cento e inaspettatamente al terzo posto è finito l’oligarca Vlad Plahotniuc del Partito democratico. Rispetto agli anni precedenti sembra che non cambierà molto, Dondon e Plahotniuc probabilmente si uniranno per formare un governo e la forza europeista Acum, sostenuta dai leader europei che ha ottenuto voti soprattutto nella capitale Chisinau, andrà all’opposizione. L’affluenza è stata scarsa, di poco sopra al 49 per cento e questo dato non è mai una buona notizia.

  

La Moldavia è lo stato più povero del continente europeo, con un livello di corruzione molto alto e un indice di natalità molto basso. Più che pensare alla geopolitica, alla Russia o alla Nato, i moldavi sono preoccupati di questo.

 

 

Quel che abbiamo letto e commentato in questi giorni:

  • Vi abbiamo risparmiato dettagli sulla Brexit, anche se in questi giorni sono successe due cose importanti: il Labour ha detto di essere d'accordo per un secondo voto (è la prima volta!) e il governo May ha aperto alla possibilità di allungare l'articolo 50 oltre il 29 marzo (è la prima volta!). L'ultimo voto disponibile per l'accordo è previsto per il 12 marzo. Abbiamo deciso che a quel giorno ci arriveremo cantando, con la playlist redatta dai Brexitologi stremati (canteremo anche altro)

 

  • Se vi state chiedendo perché continuate a vedere in giro foto di tigrotti è perché in Inghilterra è nato un nuovo movimento che si chiama The Independent Group, cioè TIG, e i suoi fondatori, sostenitori, fan si definiscono TIGers. Han fatto più questi tigrotti in una settimana che tutti i partiti d'opposizione inglesi messi insieme in due anni

  • Dev'essere il post elettorale sardo, o la primavera, o "Shallow" agli Oscar, insomma: vogliamo rinnamorarci ancora di un'idea. Qui c'è tutto l'elenco dei partiti europeisti e moderati nati negli ultimi anni, tenuti insieme da un po' di ottimismo. Qui c'è il discorso di Tony Blair a un think tank americano, piccino ma combattivo, il Niskanen Center, in cui dice: basta con la ricerca delle colpe e dei colpevoli, cerchiamo una via per dirci di nuovo, un pochino più vecchi ma sempre convincenti: andrà tutto bene
  • Abbiamo pubblicato sul Foglio alcuni articoli che vanno letti, se ve li siete persi: @davcarretta ha intervistato Margrethe Vestager, che forse vuole fare la presidente della Commissione europea; @lucianabig è andata nella tana del lupo, che è una villa, dal luogotenente di Steve Bannon in Europa (a proposito: vogliamo ringraziarla, Luciana, ché se abbiamo osato con il nostro "Porn" lo dobbiamo anche a lei); @cristimarconi ha fatto un'intervista molto bella e molto europea alla scrittrice Kate Connolly, che tra le altre cose spiega perché gli inglesi non sanno nemmeno mandare indietro un piatto immangiabile, figurarsi se possono cambiare idea sulla Brexit
  • Il partito populista tedesco, l'Alternative für Deutschland, dovrebbe andare bene alle Europee. La Zeit ha raccontato che prende piede nei posti in cui c'è meno immigrazione dal 2015, mettendo in discussione l'assunto: l'immigrazione causa il populismo. Uno dei leader dell'Afd, Alexander Gauland, è tra i meno carismatici d'Europa, eppure è citatissimo come un guru dell'estrema destra: qui si cerca di spiegare perché. Circola spesso la voce che in realtà Gauland si stia ritirando, perché dentro al partito c'è uno scontro tra moderati e radicali. Cas Mudde, esperto del tema, dice che questo scontro fa molto 2014, ora si parla di radicali contro estremisti
  • Iniziano le classifiche a Bruxelles e Europe Decides ha fatto dei sondaggi per capire quali sono i Commissari più popolari. Alcuni nomi non ci hanno sorprese affatto, altri ci hanno fatto sbarrare gli occhi
    Per gli europei ancora indecisi sulla questione venezuelana, ecco cosa accade alle donne sul confine tra Venezuela e Colombia, per dirne una
  • Ma ora che la Macedonia ha cambiato nome, come dobbiamo chiamarli, i macedoni? Skopje risponde
  • Chi è la più bella del reame? In Polonia TVP, la televisione di stato accusata di essere un organo di propaganda del partito populista che governa il paese, il PiS, ha mandato in onda un servizio per vantarsi di aver inviato alla notte degli Oscar la giornalista polacca più bella: "C'erano anche le giornaliste di Tvn e di Polsat, ma la nostra Zuzanna era la più bella, tutti hanno fatto la fila per intervistarla". Eccola:

 

 

Con la principessa bionda siamo arrivati alla fine del terzo appuntamento:

forse è amore.

Ci si iscrive qui.  

Alla prossima settimana.