Xi Jinping e Donald Trump (foto LaPresse)

Toglieteci tutto, ma non l'atlantismo

Paola Peduzzi

L’Europa si trova schiacciata nel mezzo, da una parte l’“amicizia” cinese, dall’altra gli spintoni di Trump. Così rischia di trasformarsi nel “parco giochi” delle grandi potenze. Per evitarlo: meno tappeti rossi a Xi, meno picconate transatlantiche

L’Europa si trova così, schiacciata nel mezzo, da un parte Xi Jinping che arriva con il suo carico di “amicizia” – il mantra dell’articolo che il presidente cinese ha pubblicato ieri sul Corriere della Sera – e dall’altra l’America di Donald Trump, che ridisegna alleanze e tiene tutti in sospeso: dice agli europei di non sottomettersi all’istinto predatorio cinese, e intanto lavora a un accordo con Pechino, sempre in bilico perché dei cinesi non ci si può fidare, ma poi chissà come va a finire, chissà se a rimanere tagliata fuori sarà proprio l’Europa. Il nostro continente “rischia di diventare il parco giochi” delle due superpotenze, dice un esperto al Wall Street Journal, e quel termine, “playground”, è uno schiaffo a noi europei che non vogliamo assistere ai giochi degli altri: vogliamo giocare da superpotenza. Certo, le divisioni di questi giorni, con i tappeti rossi che l’Italia srotola al presidente cinese e ai suoi progetti espansivi, non aiutano l’Europa: le divisioni tra i paesi dell’Ue sono, queste sì, un parco giochi perfetto per gli altri grandi paesi. Abbiamo già visto tutto con la Russia, che approfittando delle debolezze europee si è mangiata un pezzo d’Ucraina (guardate i festeggiamenti del quinto anniversario dell’annessione della Crimea, altro che parco giochi), non abbiamo bisogno di altre prove.

 

Alle ataviche divisioni europee però si è aggiunta una variabile imprevista: Trump. Il presidente americano ha stravolto il sistema di alleanze precedente al suo arrivo, e ora quando deve stilare l’elenco delle minacce all’America noi europei “scrocconi” siamo in cima alla lista, ce la giochiamo alla pari con i cinesi predatori e finanche con il bluff nordcoreano. Molti esperti americani di politica estera, anche quelli non trumpiani (non esistono esperti trumpiani: è un ossimoro), dicono che non tutte le critiche all’Unione europea sono un affronto, non bisogna esagerare con le lagne: da sempre gli Stati Uniti cercano di rendere autonoma l’Europa. Ma con Trump queste spintarelle – il mitico “nudge” degli economisti comportamentalisti – sono diventate spintoni, ed è così che ci siamo ritrovati schiacciati, pressioni esterne, pressioni interne, hai voglia a parlare di unità quando si procede per scossoni.

 

Le tensioni tra America, Cina ed Europa sono un assaggio della sfida che noi europei abbiamo davanti per i prossimi anni: promuovere l’ordine mondiale che c’è dalla Seconda guerra mondiale, contenendo le manie dei grandi paesi di mostrare i muscoli. L’Europa è diventata custode e garante di quell’ordine, ma il suo compito potrebbe trasformarsi in una condanna se si approfondisce quella frattura transatlantica che già si è formata in questi ultimi anni e che ritorna ormai in ogni incontro e discorso tra americani ed europei.

 

L’Europa oggi conta di meno agli occhi dell’America. Ci sono motivazioni che vanno oltre la politica attuale. 

Come ha scritto l’Economist, un secolo fa, l’80 per cento della popolazione americana nata all’estero era europea, oggi questa percentuale è pari a 10. Ci sono tante altre distrazioni al mondo, a est soprattutto – il pivot asiatico di Barack Obama è un esempio – ma l’alleanza transatlantica ha garantito stabilità e sicurezza, oltre che commerci che non hanno pari al mondo: il flusso commerciale tra America ed Europa vale 3 miliardi di dollari al giorno. A inizio aprile, quando si festeggeranno i 70 anni della Nato, avremo modo di ricordare quanto l’Alleanza atlantica ci abbia tenuto al riparo dalle minacce esterne, e sia invece stata veicolo di libertà interne. Con la nostalgia non si va da nessuna parte, è vero: ma un sano realismo dice che mai come adesso, con questa charme offensive cinese sempre più ingombrante e con le politiche esplicite di destabilizzazione della Russia, Europa e America devono trovare il modo di andare d’accordo. Gli europei hanno le maniche rimboccate, come dice Angela Merkel, perché l’autonomia serve prima di tutto a noi. Ma l’America non può applicare in Europa quella strategia del “vuoto” che già ha disseminato in medio oriente: lì l’assenza americana è stata riempita da jihadisti sunniti e sciiti e dalla Russia. In Europa incombono i paesi orientali, e lo sappiamo già che al parco giochi finirebbero per divertirsi soltanto loro.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi