Il pasticcio cinese
Serve una visione strategica, altrimenti la Via della Seta è solo un favore che facciamo a Pechino
Il dibattito sulla Via della Seta sta mettendo a nudo, una volta di più, un’azione di governo confusa e contraddittoria. Il problema è che tale atteggiamento non è senza costi per il paese. Proviamo a mettere in ordine i diversi aspetti della questione anche alla luce della bozza di Memorandum (MoU) che è circolata.
Innanzitutto va da sé che un paese come l’Italia non può non avere una politica nei confronti di un paese come la Cina e che, per la natura stessa dell’interlocutore, tale politica dovrebbe essere di respiro ampio e con chiare priorità strategiche. In secondo luogo tale politica dovrebbe per quanto possibile essere concordata a livello europeo se non chiaramente gestita dalle istituzioni europee (come nel caso della politica commerciale). In terzo luogo una tale politica deve tenere conto che, in molti casi, le relazioni bilaterali tra Cina e paesi membri dell’Unione europea sono più sviluppate di quelle dell’Italia, per esempio nel caso della presenza di investimenti cinesi sul territorio nazionale. In quarto luogo, eventuali controversie con altri partner, per esempio con i paesi membri del G7 su quale politica adottare, devono essere discusse nelle sedi opportune, senza timori reverenziali. Tanto per essere chiari, occorre chiedersi se la scelta di allinearsi con gli Stati Uniti in tema di politiche commerciali vada effettivamente a sostegno degli interessi del paese. Dovrebbe essere chiaro che per un’economia basata sulle esportazioni come la nostra le misure protezionistiche messe in campo da Trump sono decisamente una fonte di danno.
Detto questo, il giudizio sulla linea seguita dal governo, almeno da come emerge nel testo del MoU deve essere espresso tenendo conto dei contenuti specifici del possibile accordo. Non ce ne sono molti, vista la natura generale del documento. Ma alcuni punti sono indicativi. Si parla molto di reciprocità, trasparenza, inclusione, dialogo continuo. Ma le aree di policy menzionate nel documento sembrano riguardare unicamente le strategie per permettere alla Cina di penetrare nel mercato europeo. Nulla emerge su come l’accordo possa facilitare la penetrazione nel mercato cinese.
Grande ruolo giocano le infrastrutture. E’ inevitabile a questo proposito che il pensiero vada alla Tav. Eppure l’impatto di un sistema infrastrutturale complesso, che deve rafforzare i rapporti tra due gigantesche economie continentali, non potrà non essere influenzato dal legame che si stabilisce con i diversi segmenti della rete. E le scelte dovrebbero essere conseguenti. In altri termini, non si capisce perché sostenere uno sviluppo (a patto che sia equilibrato e paritario) delle reti infrastrutturali tra i due paesi e volere bloccare la Tav.
Un altro tema riguarda il ruolo della Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali, che dovrebbe essere centrale. Ricordo che l’Italia è stata tra i paesi che hanno sostenuto la nascita e lo sviluppo della Baii e ha favorito una rappresentanza unica dell’Eurozona nel board della Banca. L’Italia ora dovrebbe porre con forza al governo cinese la questione di una rappresentanza adeguata dell’Italia all’interno della Banca. Sarebbe un piccolo esempio di reciprocità e un segnale della reale volontà del governo cinese di andare incontro agli altri paesi.
Una osservazione infine sulla collaborazione finanziaria. Nell’MoU si menziona l’istituzione di un dialogo finanziario tra i due ministri delle Finanze per sostenere la cooperazione finanziaria a livello bilaterale e multilaterale. Viene spontaneo chiedersi se questo non sia strumentale alla richiesta, più o meno esplicita, di un finanziamento cinese al debito italiano. Se così fosse ci troveremmo, in questo caso sì, di fronte a un indebolimento della nostra sovranità nazionale. Un conto, infatti, è il finanziamento del debito sovrano da parte dei mercati e a condizioni di mercato. Un conto è un finanziamento offerto, magari a condizioni generose, in cambio di concessioni politiche e diplomatiche. E’ chiaro che il potere di condizionamento nei confronti dell’Italia in questo secondo caso è molto più elevato e pericoloso, soprattutto in un contesto in cui, grazie alle politiche del governo, il debito rischia di tornare a crescere.
Come sempre avviene in questi casi la prova del budino sta nel mangiarlo. Ci sono tanti modi in cui il Memorandum potrà essere tradotto in pratica. Saranno i passi concreti a dire se l’inevitabile rapporto con la Cina servirà gli interessi del nostro paese o solo quelli della Cina. Non servirà invece un atteggiamento preconcetto e ideologico, a favore o contro, che fa schierare da una parte o dall’altra i due partiti della maggioranza. Sempre più divisi su tutto. E questa divisione, che porta all’inazione, frena il paese, e continua a danneggiarlo.