I leader dei paesi Nato durante il vertice di Bruxelles del 2017 (Foto LaPresse)

Atlantismo a denti stretti

Micol Flammini

Perché i paesi europei più vicini alla Russia sono molto più festosi degli altri alle celebrazioni per i 70 anni della Nato

Roma. Quando Ryszard Kapuscinski scrisse Imperium, il suo reportage lungo i confini dell’Unione sovietica, viaggiò dal Baltico al Pacifico, vide quel che rimaneva dei gulag siberiani, le montagne georgiane e i monasteri armeni, vide quel che rimaneva di un mondo che si stava lasciando andare, ogni tanto provava a rialzarsi con violenza per far vedere che era ancora vivo, ma il cuore, che è sempre stato a Mosca, non batteva più e quell’enorme creatura che era l’Unione sovietica iniziava già a chiamarsi Federazione russa. Con rabbia da parte dei russi, smarrimento da parte di molte popolazioni soprattutto caucasiche ma con gioia, tanta gioia, da parte delle repubbliche baltiche che per prime avevano iniziato a scalciare. Mosca le aveva costrette a dipendere dall’est, e finalmente si sentivano libere di cercare amici e alleati dove volevano e loro volevano guardare a ovest per allontanarsi dalla Russia. Così anche la Polonia, che sentiva l’Unione sovietica premere lungo i suoi confini, di fretta ma con successo fece tutto il necessario per entrare a far parte prima della Nato, nel 1999, poi dell’Unione europea, nel 2004. Lituania, Lettonia ed Estonia raggiunsero dopo l’Alleanza atlantica e l’Ue, ma fu una festa, un sospiro di sollievo che dura tuttora. Alla base c’è l’idea di confine, la consapevolezza di doverlo difendere, di dover vivere con gli occhi fissi verso la frontiera dalla quale potrebbe arrivare qualcuno di ostile e le nazioni che fanno parte dell’Alleanza atlantica e che vivono ancora con l’ansia del confine, sentono di poter festeggiare con più forza questo compleanno, i cui festeggiamenti a Washington forse non saranno un successo.

 

Varsavia e le repubbliche baltiche festeggiano perché sentono la pressione di Mosca. Vladimir Putin arriva in Italia a giugno

La Nato compie settant’anni oggi e la Polonia l’ha festeggiata due volte: la prima il 12 marzo scorso quando ha celebrato i suoi vent’anni nell’Alleanza, la seconda oggi. A dire il vero Varsavia la celebra tutti gli anni, non perde occasione per dimostrare il suo atlantismo e prima che arrivasse la bandiera europea, sul palazzo presidenziale sventolava già quella della Nato. Oggi sul balcone del presidente Andrzej Duda sventolano tutte e tre insieme, la bandiera polacca, quella europea e quella della Nato, e in più di un’occasione alcuni politici polacchi, soprattutto appartenenti al partito che governa la nazione, il PiS, hanno sottolineato di essere dei fieri atlantisti, mentre riservavano all’Unione europea parole scontrose. L’Atlantic council ci sta provando da tempo e con lui anche i paesi fondatori, a far capire che la Nato serve, ha settant’anni, ha ancora molti nemici, ma serve. Forse anche per questo, per dimostrare cosa ha fatto e cosa fa l’Alleanza atlantica che, per festeggiarla, Varsavia si riempie di dimostrazioni, carri armati, armi. I soldati mostrano ai cittadini le loro armi, i bambini vengono aiutati a montare sopra ai carri armati, a guardare il mondo da lì sopra e da lì dentro. Si canta l’inno, ci si raduna, si organizzano palchi, tutto con un’aria, una convinzione di sicurezza e anche di riconoscenza. La Polonia sa che alla Nato deve molto, il suo aiuto lo vorrebbe ancora di più, quando il presidente polacco ha incontrato Donald Trump lo scorso settembre gli ha chiesto di aumentare il contingente atlantico presente in Polonia e di costruire una base permanente che avrebbe voluto chiamare Fort Trump.

 

Per la Lituania, la Lettonia e l’Estonia la paura della frontiera è maggiore, la Russia è lì, le nazioni baltiche sono ancora abitate da molti russofoni, in Estonia c’è una città, Varna, in cui non solo si parla russo, ma ci si sente russi, si vive come in Russia e nelle ultime elezioni parlamentari chi ha votato a Varna sulla scheda elettorale, un po’ per celia un po’ per dimostrazione, ha scritto Vladimir Putin anziché barrare uno dei nomi dei candidati. In queste repubbliche dove ai confini ci sono filo spinato, pagato dall’Unione europea, e i contingenti della Nato, l’Alleanza non è mai messa in discussione. Come Varsavia, anche Vilnius, Riga e Tallin destinano il 2 per cento del pil alla difesa, vedono gli Stati Uniti come gli unici in grado di proteggerli da un pericolo che sentono ancora alle porte. La paura della Russia è tra le motivazioni che secondo i sondaggi dello European council of foreign relations guiderà gli elettori dell’est nelle scelte del 26 maggio e questo i partiti, anche gli euroscettici, lo sanno. Flirtare con la Russia non conviene.

  

Un esercito europeo non è l’alternativa alla Nato, ma serve a promuovere una cultura strategica comune a tutta l’Ue

Mentre Donald Trump si dilegua e cresce il sentore di festeggiamenti sotto tono, liti per soldi, rimproveri, musi e scaramucce a Washington – ai festeggiamenti il grande assente sarà il ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt che dice di essere troppo occupato con la Brexit, ma il forfait di un inglese a un incontro atlantico non è un buon segno –, i paesi dell’est europeo rimangono convinti che la Nato non sia importante, ma essenziale e che abbia a che fare con la loro stessa sopravvivenza. Che il presidente americano non veda più nell’Europa il suo partner prediletto ormai è chiaro, lo ha fatto capire in tutti modi e tra i motivi della sua rabbia c’è anche la proposta di Emmanuel Macron di creare un esercito europeo. Secondo Trump è un tentativo di sminuire la Nato, secondo Macron e anche Angela Merkel è una terza via che però i paesi dell’est non condividono.

  

La Polonia e i baltici temono che i negoziati per la creazione di una forza europea potrebbero allontanare definitivamente gli americani, che Trump potrebbe decidere di chiudere l’ombrello della Nato, e già ci sta pensando nonostante Jens Stoltenberg abbia avvertito il Congresso americano che l’Alleanza non sia mai servita quanto ora, “la Russia è sempre più aggressiva”, ha detto ieri . Il primo passo per un esercito europeo è stato fatto ad Aquisgrana, quando nel trattato firmato da Merkel e Macron è stato inserito un un impegno di mutua sicurezza simile all’articolo 5 della Nato. Più volte la cancelliera e il presidente francese hanno ribadito che questo esercito, ancora immaginario, non ha intenzione di sostituirsi all’Alleanza ma, con gli Stati Uniti sempre più assenti, a Bruxelles c’è chi inizia a interrogarsi su cosa accadrebbe se Trump dovesse decidere di lasciare la Nato. L’Economist immagina che uno stratega di Marte arrivi sulla terra e si domandi perché gli europei dubitino tanto della loro capacità di difendersi dalla Russia senza l’aiuto americano, quando la Russia ha il pil della Spagna mentre il pil totale dei membri europei della Nato è dieci volte quello di Mosca, che senza dubbio ha molte più testate nucleari degli europei. L’obiettivo di quella che Macron ha chiamato European Intervention Initiative non vuole essere accantonare l’Alleanza, ma promuovere una cultura strategica comune che aiuti l’Europa a rispondere più facilmente alle crisi nel suo vicinato senza dover chiedere l’aiuto americano. Questa sarà un’altra battaglia europea che divide est e ovest da rimandare al domani, sicuramente a dopo le elezioni europee. Intanto oggi a Washington, Varsavia, Vilnius, Riga e Tallinn si festeggia.