100 giorni d'Europa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Quindici appuntamenti, un viaggio tra paesi, città e volti di un progetto politico unico al mondo. Ecco a cosa bisogna badare per capire come ci stiamo trasformando e cosa saremo dopo il voto. La regola è una: mai distrarsi

Pubblichiamo alcuni estratti (adattati e aggiornati) delle quindici puntate della nostra newsletter europea, “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”, inviata da metà febbraio ogni giovedì agli iscritti, fino al 23 maggio. Qui trovate tutte le puntate, dal “primo appuntamento” fino al “sorriso perfetto” (ne abbiamo scoperto il segreto).

  


  

Ventotto i paesi, quasi 400 milioni di persone, per un Parlamento europeo da riempire – l’unica istituzione europea eletta direttamente – con 751 rappresentanti di otto gruppi parlamentari. Da giovedì si è cominciato a votare per le none elezioni della storia dell’Unione – si cominciò nel 1979 – e per lunedì sapremo come è andata a finire (una piccola nota: cosa fa il Parlamento europeo? Passa le leggi europee, supervisiona la commissione europea e il budget annuale europeo di 145 miliardi di euro). I primi paesi a votare sono stati Olanda e Gran Bretagna, venerdì invece è stato il turno di Irlanda e Repubblica ceca. Nella prima ci sono state anche le elezioni locali e un referendum sul divorzio. Ma per le europee si è parlato soprattutto di Brexit e di quel confine con la Gran Bretagna che rischia di farli sentire sempre più distanti da Bruxelles. Gli irlandesi sono il secondo popolo più europeista, dopo il Lussemburgo, e di sentirsi esclusi non hanno voglia. La Repubblica ceca è l’unico paese in cui si voterà per due giorni, manderà 21 eurodeputati in Parlamento e dopo una campagna elettorale un po’ tardiva e molto confusa, secondo i sondaggi vincerà Ano ( vuol dire Si), il partito del primo ministro Andrej Babis. Presentatosi alle politiche del 2017 con aria da euroscettico, Babis poi non si è mai unito al coro dei nazionalisti, con grande dispiacere del presidente Milos Zeman che per averlo al governo ha fatto di tutto. Il suo partito fa parte dell’Alde che in realtà ha spesso pensato di espellerlo per i suoi guai con la giustizia. In Repubblica ceca i partiti antiestablishment, o presunti tali, vanno bene, ma per gli euroscettici non c’è molto spazio: Libertà e democrazia diretta, alleato di Matteo Salvini, manderà a Strasburgo un paio di eurodeputati. Gli altri paesi andranno tutti insieme al voto domenica.

    

 

Le ultime proiezioni dicono che: le due grandi famiglie europee, il Partito popolare e il Partito socialista europei sono entrambi in calo. Secondo il calcolo di Europe Elects (a pagina due trovate l’intervista al direttore di questo sito di aggregazione dei sondaggi), i popolari perdono 48 seggi (da 221 a 173) i socialisti 39 (da 191 a 152). Non avranno quindi la maggioranza – da 25 anni il Parlamento europeo si regge sostanzialmente su una grande coalizione destra-sinistra – e dovranno avvalersi dei voti liberali dell’Alde e della République En Marche (il partito del presidente francese Emmanuel Macron) che sono confluiti nello stesso gruppo, Renaissance, che passerà da 67 a 109 seggi (+42) e/o dai Verdi, che potrebbero ottenere quattro seggi in più (da 50 a 54). In totale, queste forze europeiste avrebbero 488 seggi. Gli altri, cioè i sovranisti-nazionalisti, contano sugli 82 seggi dati all’alleanza costruita dal vicepremier italiano Matteo Salvini (il gruppo guadagnerebbe 45 seggi rispetto a quelli attuali); sui conservatori nazionalisti in calo (da 70 a 59); sul Brexit Party di Nigel Farage in Inghilterra che dovrebbe conquistare 28 seggi. In tutto sono 168 seggi. Per raggiungere il numero totale mancano: le sinistre con 52 seggi, i Cinque Stelle e i suoi alleati con 25 e altri 18 seggi tra Pirati e nazionalsocialisti.

 


“Se facessimo una newsletter europea per le elezioni?”.
“Va bene”.
“EuPorn – Il lato sexy dell’Europa” è nata così, in un attimo (che in seguito ci è capitato di maledire), con una precisa idea di quel che volevamo raccontare, con un paio di modelli cui ispirarci e con un discreto analfabetismo tecnico. Ogni settimana, dal 14 febbraio, abbiamo imparato qualcosa, di Europa e di tecnologia, e abbiamo parlato molto: tra di noi, con i nostri collaboratori, con tanti interlocutori europei. Avevamo l’ambizione di creare un piccolo popolo europeo in formato EuPorn, e insieme avventurarci nei palazzi del potere e negli stati dell’Ue per raccontarne le aspettative, le criticità, le promesse e gli obiettivi raggiunti. Un po’ di quel che abbiamo scoperto lo trovate in queste pagine. Un indizio: vivere l’Europa è più facile e più utile che parlarne. Il suo segreto è tutto qui: vista da vicino, è più bella (e grazie a Makkox per averci accompagnate).


  

A che cosa bisogna badare allora una volta che saranno chiuse le urne? A sette aspetti.

  

1. La Francia, Macron vs Le Pen. Come abbiamo spesso detto, siamo a una riedizione del secondo turno delle presidenziali del 2017. La novità di questa ultima fase della campagna elettorale, con l’avanzata della Le Pen, è che Macron ha deciso di metterci la faccia, rischiando in proprio. C’è chi dice che si tratta della solita ingerenza personalistica del presidente (narcisista!, gli ha detto il capolista dei gollisti, François-Xavier Bellamy) e chi invece pensa che soltanto così si possono invertire i fattori. Perché i fattori si sono invertiti e nelle ultime rilevazioni Marine Le Pen con il suo Rassemblement national è davanti: 24 per cento contro il 23 della République En Marche, secondo un sondaggio Ifop-Fiducial di questa settimana. Per Macron perdere in casa sarebbe molto brutto, anche perché ha fatto molta fatica a creare un’alleanza coesa e coerente per il suo gruppo europeo, Renaissance: mettere insieme le forze progressiste, anche a questo giro, è stata un’impresa difficile e un po’ fallita. Di questa difficoltà delle forze europeiste di stare unite e di parlare di Europa si discuterà molto dopo il voto: però attenzione, i numeri sono ballerini, e non è vero che Macron finora ha preso soltanto batoste.

 



 

2. A proposito di unione delle forze progressiste. In Polonia questa coalizione c’è, e va anche bene: supera di un soffio il partito al governo, il PiS (dati Kantar). Complici anche gli scandali sessuali dentro alla chiesa polacca e l’uscita di un documentario su YouTube, il PiS, accusato di voler coprire i preti coinvolti in casi di pedofilia, in questi ultimi mesi ha perso diversi punti. Nemmeno gli allevatori – il voto del partito di Jaroslaw Kaczynski è essenzialmente rurale – sono più disposti a sostenerlo. La coalizione europeista che è nata in Polonia a febbraio è una forza elettorale, un fenomeno tutto polacco che racconta la voglia di dimostrare che Varsavia non è euroscettica: la coalizione (Ke) è formata da Po, il partito del presidente uscente del Consiglio europeo Donald Tusk, i popolari del Psl, Nowoczesna, l’Alleanza di sinistra democratica (Sld) e i Verdi, che esistono anche in Polonia anche se prenderanno pochissimo. Ha un unico obiettivo: portare Varsavia fuori dai guai con Bruxelles in cui il PiS l’ha trascinata. C’è anche un altro partito da tenere d’occhio, sempre europeista, ma che non ha voluto partecipare alla coalizione: si chiama Wiosna, Primaverań, e alla coalizione potrebbe portare via non pochi voti.

  

3. I Verdi in Germania. Ci eravamo occupate della cosiddetta “onda verde” nella puntata “Una leggera cotta” del 28 maggio, e siamo andate a ricontrollare. L’effetto complessivo di una campagna elettorale in cui la questione ambientale ha avuto grande clamore mediatico si riduce a 4/5 seggi in più. Che però potrebbero diventare decisivi: poiché i popolari e i socialisti non hanno la maggioranza al Parlamento europeo, potranno aver bisogno di Renaissance e anche dei Verdi (che sono corteggiati anche dalle forze di sinistra). In particolare, bisogna vedere come vanno i Verdi tedeschi, i Grünen, che trainano tutti gli altri e che hanno registrato una grande crescita rispetto a cinque anni fa. Già da qualche tempo, hanno consolidato il loro vantaggio nei confronti dei socialdemocratici tedeschi, ma lo scarto non è grosso: secondo un sondaggio Forsa della settimana scorsa, sono al 19 per cento contro il 16 dell’Spd. Anche i Verdi britannici contano su un buon risultato così come i liberaldemocratici (Lib-dems) che con il loro slogan indicibile – “Bollocks to Brexit” – sono riusciti ad attirare l’attenzione degli europeisti, a discapito del Labour in particolare: in questo modo gli inglesi potrebbero contribuire alle alleanze europeiste (aspettando la Brexit o nuove elezioni, o tutto insieme).

  

 

4. Gli exit poll olandesi e il premier Rutte. Giovedì si è votato nei Paesi Bassi, e secondo le previsioni avrebbe dovuto essere una gara a due: il premier Mark Rutte contro il Forum voor Democratie (FvD), il partito euroscettico e Nexit-oriented (l’uscita dell’Olanda dall’Ue) di Thierry Baudet, che è andato molto bene alle recenti amministrative (Baudet, il nuovo volto della estrema destra olandese, ha 36 anni, ama suonare il piano in ufficio, postare foto nudo, e fare citazioni in latino in Parlamento). Baudet ha drenato consensi soprattutto all’altro partito euroscettico, quello di Geert Wilders, alleato di Matteo Salvini: cannibalismo interno. Secondo gli exit poll, Baudet invece è arrivato quarto, superato dai laburisti (al primo posto: forse c’entra che lo Spitzenkandidat della sinistra europea è l’olandese Frans Timmermans), dai conservatori di Rutte e dai liberali. Aspettando i risultati finali, il nome del premier olandese circola parecchio a Bruxelles come leader di qualche istituzione europea.

 

5. Visto che siamo in tema di populisti, togliamoci il dente. Sull’alleanza di Matteo Salvini non potete che sapere ogni cosa: più copertura mediatica di così era difficile. Due dettagli: quel che accade in Austria, dopo che il cancelliere, Sebastian Kurz, ha rotto l’alleanza di governo con l’Fpö, l’estrema destra. Lunedì ci sarà il voto di fiducia su Kurz, che ha sostituito i ministri dell’Fpö e che però senza l’appoggio dei socialdemocratici dell’Spö in Parlamento potrebbe non farcela a guidare il governo fino alle elezioni anticipate di settembre. Intanto i sondaggi, prima e dopo lo scandalo vedono un miglioramento dell’Övp di Kurz, dell’Spö e una flessione dell’Fpö, che però continua a mantenere consenso, a dimostrazione del fatto – Trump docet – che l’elettorato populista è spesso indifferente agli scandali dei suoi leader.

  

Il secondo dettaglio: la Danimarca. Il 5 giugno si voterà alle elezioni anticipate, intanto alle europee c’è un calo del partito populista (alleato di Matteo Salvini) che ha dato sostegno esterno alla coalizione di destra al governo. Le priorità per i danesi oggi sono diverse, e non hanno a che fare con quelle dei sovranisti. In più il voto populista si è frammentato (a volte capita anche a loro) e l’offerta si è radicalizzata.

 

6. Dalle parti dei Cinque stelle. Abbiamo iniziato a parlare delle chiacchieratissime alleanze grilline da un po’. Luigi Di Maio ha radunato alleati fragili che a malapena riusciranno a eleggere un paio di deputati. Il gruppo in cui l’M5s siede al Parlamento europeo, Europa della libertà e della democrazia diretta, rischia di spopolarsi. Nigel Farage ha portato via dall’Ukip molti eurodeputati trascinandoli nel suo Brexit Party e, anche se ancora non è certo, sta pensando di unirsi all’Alleanza dei popoli e delle libertà di Salvini. Gli alleati che i Cinque stelle vorrebbero portare nel gruppo sono: i polacchi di Kukiz’15, gruppo di estrema destra un tempo alleato del PiS con a capo un ex cantante punk, i croati di Živi zid, Barriera vivente, i finlandesi di Liike Nyt e i greci di Akkel. Un gruppo di estremisti di destra e di sinistra che faticheranno a raggiungere la soglia di sbarramento, Kukiz’15 che è quello che prenderà più voti forse riuscirà a ottenere 3 seggi, Živi zid uno, gli altri nessuno. Per formare un gruppo in Parlamento bisogna avere almeno 25 deputati e rappresentare almeno quattro stati membri.

 

7. L’affluenza, senza illusioni. L’affluenza alle europee è in calo da quando sono state introdotte le elezioni. Ci sono state tantissime iniziative in Europa per la mobilitazione – soprattutto per i più giovani, che nel 2014 furono pochini a votare (il 28 per cento). Gregorio Sorgi, un redattore del Foglio, ci ha segnalato due iniziative più curiose: nel Regno Unito, un nonno ha ceduto il voto alla nipotina minorenne, creando una moda; in Italia la squadra di basket Verga Palermo (appena promossa in Serie A1, complimenti!) si allena con le magliette di #Stavoltavoto (la campagna di sensibilizzazione del Parlamento europeo), e ha allestito dei punti informativi prima di ogni partita per invogliare la gente a votare.

 

 

Giusto se siete interessati: in alcuni paesi il voto delle europee coincide con altre consultazioni. Si è iniziato venerdì in Irlanda con le elezioni locali. In Lituania ci sarà il ballottaggio per eleggere il nuovo presidente. Il presidente uscente tanto amato, Dalia Grybauskaitė, non è più eleggibile perché ha superato i due mandati e forse la attende un impegno in Europa. In Spagna ci saranno regionali e municipali, un appuntamento importante per il primo ministro socialista Pedro Sánchez. Possono essere una sanzione o un premio, ma il suo obiettivo è raddoppiare il successo alle elezioni di un mese fa. Anche in Belgio ci saranno un po’ di voti: federali, regionali ed europee (che avranno anche a che vedere con i futuri volti che popoleranno le strade brussellesi). Il Belgio è un microcosmo, è ciò che accade in Europa ma in piccolo. Anche lì sarà difficile capire le alleanze possibili, anche lì c’è un gruppo nazionalista, soprattutto nella parte fiamminga del paese. Charles Michel, il premier uscente, ha detto che la soluzione migliore sarebbe un’ampia coalizione liberale. In Grecia e Romania si voterà per le elezioni locali, un piccolissimo segnale o un sonoro avvertimento per i successivi appuntamenti elettorali.

    

Per approfondire leggi le puntate di "EuPorn":  


Il primo appuntamento con l'Europa
L'intervista a Simon Kuper, il report della conferenza di Monaco, pillole di sondaggi per le elezioni europee e quella connessione tra libertà di movimento e amore

Matrimoni di convenienza
L’intervista a Steve Erlanger, i divorzi che non ci saranno, le liti di una vita, una gita a Lione e per finire: i cuori

Una leggera cotta
Un viaggio tutto Verde assieme al fondatore di Europe Elects, la storia di un'europeista convintissima, di una biondina ostinata e di elezioni iperdigitalizzate

La prima volta
Il popolo europeo ancora da costruire e l'Unione che vuole imparare a parlare con una voce sola. Gli abbracci, un molo che ha cambiato nome e una signora che piace tanto a Bruxelles

Il divorzio del secolo
Quanto è difficile lasciare l’Europa. Alberto Nardelli e Ben Judah ci spiegano dove si va dopo la Brexit. Lo Spitzenkandidat rock dei sovranisti e una statua al confine

Ti presento i miei
Le riunioni di famiglia, il tempo perso e quello conquistato, l'intervista ad Ágnes Heller, e un gatto di nome Brexit

Il migliore amico
Il compleanno della Nato, gli orfani di sinistra, una pioggia di rubli e le folli parodie che più le ripeti più diventano vere

Ha bussato qualcuno. Apri tu?
I migranti, i foreign fighters, chi arriva, chi torna, chi va. Le cinque variabili che cambieranno il voto europeo e una città, quella della memoria in cui tutto accade prima

L'amante spagnolo
L'Italia è uscita dal gruppo e tra le sue tante elezioni (regionali, locali, europee) Madrid lotta per contare di più nell'Ue. Storie di famiglia, di luci rosse e una signora che dice: "Order! Order!"

Come eravamo
In questi cinque anni è cambiato tutto, tra le novità arrivate e quelle che stiamo ancora aspettando. L'Europa prima della Grexit, della Brexit e prima di Trump. Una gita a teatro

Di Europiattismo e di altre bugie
A lezione dai fact checker per stanare i bugiardi e le fake news più popolari di queste elezioni. Una sinistra per due candidati, una città non francese in cui si parla francese e un bacio

Non fare quella faccia
Tra le candidature per le elezioni europee spuntano nomi, volti e dinastie. Una chat, i nostri primi quindici anni con l'est, nonne in rivolta contro l'estrema destra, simboli che vogliono dire altro, tantissime banane e ancora una volta un bacio

Chi porta i pantaloni
Ventuno nomi per tre nomine. I candidati e i "vorrei ma non (so se) posso" che potrebbero prendere il posto di Juncker, Tusk e Mogherini. Voglia di Eurovision, l'ultimo vertice, un malinteso e poi: sposiamoci in Danimarca

Un colpo al cuore
Nella coppia franco-tedesca c'è qualche divergenza, ma al di là degli incontri di wrestling tra Merkel e Macron non va così male. Una chat con Marion Van Renterghem e libri, tanti libri, in librerie dal profumo di Europa

Un sorriso perfetto
Il momento dei saluti è arrivato, cosa guardare, cosa aspettarsi dalle elezioni europee nella speranza di non ritrovarci, anche noi, impigliate in Purgatorio 

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