Non fare quella faccia

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Tra le candidature per le elezioni europee spuntano nomi, volti e dinastie. Una chat, i nostri primi quindici anni con l'est, nonne in rivolta contro l'estrema destra, simboli che vogliono dire altro, tantissime banane e ancora una volta un bacio

"Ma dopo averla vista quella mattina, tra forbici e sete, assorta nei preparativi per la serata, si sentiva incapace di distogliere il suo pensiero da lei; ella tornava sempre a cascargli addosso, come un viaggiatore addormentato sballottato dai sobbalzi del treno. E questo non significava essere innamorati, ma piuttosto pensare a lei, criticarla, ricominciare, dopo trent’anni, a cercare di spiegarla".

Virginia Woolf, "Mrs Dalloway"

2 maggio 2019

E' bello sentirsi a casa.

Ci è successo un paio di giorni fa, chiacchierando con i tipi di "The Europeans", il podcast settimanale che in mezz'ora riesce a farti entrare in Europa, ti tiene per mano così non ti perdi, e ti fa uscire con un sorriso.

Abbiamo un certo feeling con Katy Lee e Dominic Kraemer, lei giornalista britannica lui baritono: loro due sono amici da sempre, e si sente.

Chiacchierare di Europa si può: non è per forza noioso, inutile o roba da élite.

Con un po' di grazia, certo, come hanno spiegato in questa intervista:

"Più segui l'Unione europea più ti accorgi che spesso a Bruxelles e Strasburgo si dicono cose che non hanno senso. Prendi 'lo stato di diritto'. E' la classica espressione che senti ripetere migliaia di volte nei circoli bruxellesi, ma come cittadino normale non è che capisci esattamente cosa si intenda con 'stato di diritto'. Ne parli al pub? No. La gente pensa che i governi debbano rispettare le regole ed essere democratici? Sì. Nessuno però direbbe mai in una conversazione: 'Penso che lo stato di diritto sia importante'. La gente non parla così!"

Abbiamo chattato un po' con "The Europeans".

Come va il progetto "Make Europe Cool Again"?

L'episodio che meglio rappresenta la vostra idea di Europa?

Dite di essere, con grande sollievo, "Brexit free". Di cosa è meglio non parlare quando si parla di Europa?

 

Volendo mettere una faccia all'Europa, quale potrebbe essere? Questa che avete nel vostro logo, con il Macron furioso?

Ma voi siete contrari alla rabbia e alla paura, no?

Ultima domanda, la facciamo sempre. Parafrasando Donald Tusk, un posto speciale all'inferno a chi lo riservereste?

Quante volte sono finiti all'inferno, i brexiteers? Dovremmo contarle.

Non ora però, ora proviamo a raccontare qualche storia europea, che ci è cascata addosso. 

Siamo andate alla ricerca di qualche faccia che possa raccontare la campagna elettorale per le europee e soprattutto che cosa ci aspettiamo dall'Europa che verrà.

Il problema delle elezioni europee è proprio questo: le facce. Non le conosce nessuno, le liste dei candidati hanno qualche risonanza nei paesi d'origine, quando va bene, ma a livello europeo poca.

Così ci siamo immerse in questi elenchi di nomi, e abbiamo provato a tirare fuori qualche volto.

Non sono le solite facce, non sono facce di vincitori né di perdenti, sono semmai delle esperienze. Ambizioni passate, traguardi da raggiungere, idee.

In ordine sparso.

Anche l'Europa ha le sue dinastie, nomi che ritornano. Probabilmente questo non contribuisce a togliere alle istituzioni europee l'immagine élitaria che ha appiccicata addosso, ma tant'è.

 

1. In Polonia c'è Wałęsa junior. Jarosław a suo padre Lech non assomiglia per nulla, se non nella rotondità del volto e nelle passioni politiche. E' cresciuto di politica, si è nutrito di ideali e ha deciso di candidarsi con il Po, Piattaforma civica, il partito del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk (che, come sapete, adoriamo). In quel partito c'è l'europeismo e con quel partito Wałęsa tenterà l'impossibile: strappare al PiS la maggioranza assieme a una coalizione di partiti tutti europeisti. Jarosław è un politologo, il futuro dell'Unione e della sua Polonia dentro l'Unione gli sta molto a cuore: nel 2015 è stato nominato direttore dell'Instytut Obywatelski, il think tank del Po. Come suo padre è un grande tuittatore, e anche molto spiritoso. La foto ve la spieghiamo più in là.

2. In Belgio c'è il figlio di Michel Barnier, Nicolas. I Barnier sono francesi, e Nicolas, che ha trentatré anni, ha provato a candidarsi con La République en Marche, il partito di Emmanuel Macron. Compariva nelle liste ufficiali al quarto posto. Poi è scomparso ed è riapparso nel Mouvement réformateur che fa capo al primo ministro belga Charles Michel. Questa formazione ha attualmente tre eurodeputati, Nicolas Barnier è terzo in lista (e i sondaggi sono anche più ottimisti) e quindi potrebbe arrivare a Strasburgo. Starebbe nella famiglia dell'Alde, i liberal-democratici europei, dove potrebbero stare anche i macroniani (non è certo, ma ora il partito del presidente francese ha tante altre preoccupazioni: la prima è che la capolista Nathalie Loiseau non appare affatto convincente).

Barnier senior fa parte dei Républicains, e dice che non tradirà la sua famiglia politica. Sul proprio futuro invece non è molto deciso.

3. In Grecia, c'è Nikos Papandreou, sceneggiatore, figlio di Andreas e fratello di Giorgos, la famiglia che ha fondato e rappresenta il Pasok, il partito della sinistra greca. Il Pasok non c'è più, è stato annichilito dall'arrivo di Alexis Tsipras e di Syriza: ora si chiama Kinal (Movimento per il cambiamento), nelle proiezioni sta al 9 per cento, e non vuole fare parte dell'alleanza di sinistra che Tsipras sta cercando di creare. Ma come spesso accade, l'esito favorisce gli altri, la destra di Nuova Democrazia che è data vincitrice. Tsipras poi ha avuto molti problemi a fare le liste, ha dovuto candidare anche il ministro del Turismo Elena Kountoura, che fa parte degli indipendentisti greci, partner di coalizione ad Atene, e un deputato indipendente, Spyros Danellis, che era stato importante per salvare il governo nell'ultimo voto di fiducia. Tutti questi flirt fuori dalla "big tent" di sinistra hanno un po' spezzato la coesione che nel 2014 aveva consegnato a Tsipras la vittoria.

4. Poi c'è Rachel Johnson, in Inghilterra. E' la sorella dell'ex ministro degli Esteri, Boris Johnson, e dell'ex ministro dell'Istruzione, Jo Johnson, il primo brexitaro, il secondo dimessosi perché contro la Brexit. C'è anche un altro fratello, Leo. Vice aveva pubblicato un ritratto bellissimo di questa famiglia (con la mitica frase dell'ex premier David Cameron davanti a una sorellastra, Julia: "Oh no, un altro Johnson, ma quanti siete?"), che avevamo sintetizzato così:

"Non mi piace la politica, non sono biondo, non sono conservatore, non ho il gene dell’autopromozione, o certamente è un gene remissivo: quando salta fuori non interessa a nessuno. Leo Johnson ha imparato a disintossicarsi dalla sua famiglia – i temibili Johnson, due politici del Regno Unito, Boris e Jo, una scrittrice e commentatrice, Rachel: quattro fratelli scientificamente educati dal padre alla competizione – e si concede dei fine settimana “Johnson-free”, per respirare lontano dai suoi parenti. Vice ha dedicato un ritratto ai “chiassosi” Johnson, ripercorrendo le loro liti di ragazzi, il dito del piede rotto di Boris (aveva tirato un calcio al tavolo da ping pong perché stava perdendo contro Rachel) e la corsa in ospedale (Leo gli aveva sparato nella pancia con una pistola ad aria compressa), mentre il padre godeva di questa competizione assoluta e la madre si ammalava di depressione, rendendo i suoi figli d’un tratto litigiosi ma unitissimi. Le liti in famiglia, tra affetto e tentativi di schiacciarsi a vicenda, sono la metafora perfetta del Partito conservatore inglese di oggi, con i dissapori sulla Brexit e i tanti dubbi sulla tenuta, la coerenza anche, del capofamiglia"

Rachel aveva detto la sua, precisando che, "come con i topi", "a Londra non sei mai più lontano di un metro da almeno un paio di Johnson".

Ora è in lista per le europee con Change Uk, il nuovo partito anti Brexit, che con il Labour deciso a stare nella propria ambiguità un po' brexitara e un po' no potrebbe ora crescere un po'. Rachel si sta divertendo secondo voi?

Oltre ai soliti cognomi, altre facce.

 

Katarina Barley ha già disdetto l'affitto del suo appartamento a Berlino: la ministra della Giustizia tedesca, in quota Spd, ha un posto assicurato a Strasburgo (è capolista) e pensa già al suo prossimo lavoro nell'Europa che, dal punto di vista personale, rappresenta alla perfezione. Nei primi anni della sua vita, pur essendo nata a Colonia, ha avuto soltanto il passaporto britannico – suo padre era un giornalista inglese – quello tedesco è arrivato dopo: oggi lei si definisce “una donna della Renania”. Ex marito mezzo spagnolo mezzo olandese incontrato a Parigi, due figli, oggi la Barley è fidanzata con l'ex giocatore di basket olandese, ora allenatore Marco Van den Berg.  

L'Spd è da sempre uno dei capisaldi del Partito socialista europeo, ma le cose sono molto cambiate in Germania, l'Spd ha perso elezioni e consenso, e quando la Barley dice "vogliamo offrire una nuova unità e un nuovo contratto sociale", molti pensano che allora tanto vale votare i Verdi.

Però la Germania, come si sa, ha molto potere in Europa, tanto che la lotta per fare il capogruppo del Pse potrebbe essere una lotta tutta tedesca, tra la Barley e Udo Bullmann, secondo in lista. La Barley, che si dichiara europea "dalla testa ai piedi", ha un'arma dalla sua parte che pochi possono vantare: se il 45 per cento dei tedeschi non sa chi sono i candidati alle europee, lei è la più conosciuta di questi sconosciuti. Ed è anche un "falco tech", come si dice, molto critica verso la Silicon Valley, che di questi tempi si porta molto.

Srećko Horvat è croato. Vive a Vis, un’isola croata immersa nella meraviglia, e lui che è candidato con DiEM25 in Germania, di lasciare la sua isola per trasferirsi a Strasburgo non ha poi così tanta voglia. Ma da Vis si è costruito una rete fittissima di amicizie, alcune non proprio raccomandabili come quella con Julian Assange, alcune bizzarre come quella con Pamela Anderson, ma nella sua isola ha accolto anche Slavoj Žižek e il leader e fondatore del partito transnazionale DiEM25, Yanis Varoufakis. Di Varoufakis, Horvat è il braccio destro e la sua battaglia per l’Unione europea è una battaglia per la sua Vis, oppressa “dall’occupazione dei turisti”. Horvat è un filosofo e di recente ha scritto un libro “Poetry from the Future”, in cui insegna a vincere la visione apocalittica che abbiamo del mondo. Abbiamo bisogno di internazionalismo, dice il filosofo, di andare oltre i confini, oltre le identità nazionali, oltre il passato per creare il futuro. Tuttavia se il futuro a Vis ha portato turismo, e anche il set di “Mamma mia 2”, per Horvat da quel punto di vista è meglio fare un passo indietro.

Dicono di lei che abbia un carattere molto mutevole, che sia volubile e molto nervosa. Altri dicono che sia appassionata e battagliere. Claire Nouvian ha quarantacinque anni e assieme a Raphaël Glucksmann ha fondato Place Publique. Lui è abituato ai dibattiti, ai giornalisti, alla folla. Lei no, preferisce l’ambiente, soprattutto i fondali marini. E’ fondatrice e presidente di Bloom, l’associazione che nel 2016 ha vinto la battaglia per il divieto di pesca a strascico in Europa. Racconta di essersi innamorata delle acque in California, davanti a un acquario gigante. All’epoca scriveva documentari. Poi ha iniziato a darsi alla battaglia politica. Ogni tanto lei e Glucksmann litigano: lei gli rimprovera di essere troppo conflittuale, lui di esserlo troppo poco, la politica è lotta, è dibattito, è rabbia. Ma nonostante questo la coppia funziona bene, lei difficilmente arriverà a Strasburgo, il suo nome nelle liste per le elezioni europee è molto giù, verso il fondo. Ma combatte lo stesso e a sua figlia e a suo marito che fa il banchiere, prima di partire per la campagna elettorale al fianco di Glucksmann ha detto: “Ci rivedremo tra cinquanta giorni”.

Metà testa rasata, metà con i dread. Ivan Bartoš è il leader dei Pirati in Repubblica ceca e fa molta invidia ai politici cechi. I Pirati si sono sempre rifiutati di formare coalizioni, alle elezioni del 2017 sono arrivati al terzo posto e avrebbero facilmente potuto entrare a far parte del governo. Ma hanno rifiutato e ora il partito antiestablishment rischia di prendere molti voti, o almeno a sufficienza per fare pressioni per nuove elezioni. Infatti il governo a Praga è traballante già da un po’, è nato insicuro e scricchiolante con un primo ministro, Andrej Babiš, che oltre a essere politicamente debole è anche accusato di frode. Alle elezioni di maggio Ivan Bartoš, che di professione fa l’ingegnere informatico, aspira a mandare almeno cinque deputati all'Europarlamento e secondo i sondaggi non è lontano dal suo obiettivo. Il partito sta crescendo molto, Bartoš è un’icona, è giovane e crede che quando si fa politica non conta molto l'ideologia, non contano molto i colori, ha giurato che farebbe accordi con tutti – comunisti socialisti estreme destre incluse –, ma non con i corrotti. Ma la sua idea di Europa ancora non è chiara.

La scelta è stata difficile, ci siamo imbattute in molte altre facce e abbiamo avuto la tentazione di raccontarle tutte.

Poi per vostra fortuna ci siamo trattenute.

  • Il primo maggio era festa un po' in tutto il mondo, ma l'Unione europea festeggiava due volte: per i lavoratori e per l'allargamento di quindici anni fa, il più grande. Il primo maggio del 2004 diventavano paesi membri: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria. Più di cento milioni di nuovi cittadini europei. Per tutti è stato un successo, ma per ognuno questo ampliamento aveva un significato diverso. In questo video Donald Tusk spiega cosa significava per Varsavia diventare parte dell'Ue: "E non siamo mai stati delusi", dice.

  • In Austria c'è una rivolta ordinata e compatta ogni giovedì. A organizzarla è un gruppo di signore anziane che si fanno chiamare nonne, e scendono in strada per manifestare contro gli eccessi populisti e le virate a destra della politica austriaca, memori di quello che hanno trascorso le loro madri durante il nazismo. Per organizzarsi usano Facebook.
  • Il primo ministro polacco Mateusz Morzwiecki ha scritto un op-ed per Politico in cui ha tentato di spiegare la sua idea di Europa, lui, da euroscettico. Ha detto che l'Ue deve intervenire se vuole sanare il disamore dei suoi cittadini.
     
  • In Polonia sono spuntate banane ovunque, anche in mano a Jarosław Wałęsa, lo avete visto sopra. L'origine di tutto è questo video.

  • Il mese scorso Brad Parscale, uno dei responsabili della campagna elettorale di Donald Trump per le presidenziali del 2020, ha tenuto un discorso a pagamento in Romania. La notizia è venuta fuori con diverse settimane di ritardo e ha sollevato dubbi sui rapporti del presidente americano con funzionari stranieri. Gli analisti legali dicono che la visita di Parscale in Romania non ha infranto nessuna legge, ma gli esperti di etica fanno notare che qualsiasi scambio di denaro tra cittadini stranieri e funzionari della campagna elettorale potrebbe esser un rischio. E alla Romania la visita non deve essere costata poco.

  • E' arrivato un altro esponente nel gruppo dei sovranismi dell'est: l'Estonia. Noi all'inizio avevamo sperato che una politica bionda e iperpreparata potesse cambiare le cose, invece tutto è finito nelle mani di un padre e di un figlio molto vicini all'ultra destra americana, nominati ministri dell'Interno e dell'Economia, che davanti al Parlamento hanno fatto questo segno. E non volevano dire "ok".
     
  • Domenica la Spagna ha votato. Le elezioni le ha vinte Pedro Sánchez con il Psoe, ma trovare una maggioranza con cui governare non sarà facile. Vox, il partito di estrema destra, non ha sfondato e ma ha rubato voti al Pp. Di queste elezioni ci sono piaciute molte cose, abbiamo parlato molto di sinistra e dei due guapos.

Anche questo appuntamento finisce con un bacio.

Non è un caso.

 

Alla prossima settimana, vi aspettiamo.

 

I nostri trascorsi:

il primo appuntamento

i matrimoni di convenienza

una leggera cotta

la prima volta

il divorzio del secolo

ti presento i miei

il migliore amico

ha bussato qualcuno, apri tu?

l'amante spagnolo

com'eravamo

di Europiattismo e di altre bugie

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