Sanchez a un incontro del Psoe a Madrid il giorno dopo le elezioni (Foto LaPresse)

Sánchez balla da solo

Eugenio Cau
">a fare i conti. Il leader del Partito socialista, presidente del governo uscente e probabile nuovo presidente, è andato controcorrente rispetto a tutte le tendenze politiche europee (ascesa dei populismi, crisi del centrosinistra), ma si ritrova con un Parlamento mai tanto frammentato e con una maggioranza insufficiente (123 seggi contro i 176 necessari per la maggioranza assoluta). Oggi Carmen Calvo, vicepresidente del governo, ha detto che i socialisti proveranno a governare da soli con un esecutivo di minoranza, ma questo non eviterà a Sánchez lunghissimi negoziati, né gli eviterà di dover affrontare la questione dell’indipendentismo catalano. 

 

Formare un governo di minoranza significa: ai primi di giugno, Sánchez ottiene da re Felipe VI l’incarico di formare un esecutivo. Va in Parlamento e perde il primo voto di fiducia, che deve essere a maggioranza assoluta (Sánchez non ce l’ha). Entro 48 ore si fa il secondo voto di fiducia, e questa volta basta la maggioranza semplice: i socialisti sperano che, grazie a qualche astensione strategica, i favorevoli saranno più dei contrari, e che così sarà possibile formare un governo. Sarebbe il terzo esecutivo di minoranza in due anni.

 

Per ottenere questo risultato, anzitutto bisogna bussare alla porta di Podemos (denominazione elettorale: Unidos Podemos). Questa dovrebbe essere la parte meno difficile, perché i socialisti e Podemos sono stati alleati di fatto nella scorsa legislatura e lo sono stati anche in campagna elettorale. Ma proprio in virtù di questa alleanza, il leader podemita Pablo Iglesias si era dato un obiettivo a questa tornata elettorale: entrare nel governo. Non sarà contento di sapere che Sánchez lo vuole tenere fuori, a fare l’appoggio esterno, e che nonostante questo deve votare a favore di un governo da cui è escluso. Poi Sánchez deve andare dai partiti regionali. Ce n’è un’infinità, hanno espresso 45 deputati, e si dividono grosso modo in due gruppi: indipendentisti e non indipendentisti. I non indipendentisti (soprattutto i baschi) hanno sostenuto Sánchez già durante la scorsa legislatura, ed è probabile che lo faranno ancora. Ma anche così, tutto sarebbe inutile se gli indipendentisti decidessero di votare contro il governo assieme alle destre.

 

Sánchez potrebbe chiedere a Ciudadanos di astenersi, ma oggi la formazione ex centrista guidata da Albert Rivera ha ribadito la sua promessa elettorale per bocca di Inés Arrimadas, vice di Rivera: non sosterremo mai i socialisti. A questo punto, Sánchez deve andare a parlare con i catalani e chiedere loro quanto meno l’astensione. Domenica sono successe molte cose in Catalogna. Erc, partito indipendentista di centrosinistra (guidato da Oriol Junqueras, attualmente agli arresti per i fatti legati al referendum indipendentista del 2017) è passato da 9 a 15 deputati ed è diventato primo partito della regione. È la prima vittoria alle politiche per un partito apertamente secessionista. Al contrario JxCat, il partito indipendentista di centrodestra eterodiretto da Carles Puigdemont (si trova all’estero, sempre per i fatti del referendum; sarebbe in corsa alle elezioni europee, ma oggi il Tribunale elettorale ha respinto la sua candidatura) ha ottenuto soltanto sette deputati, e questo è un grosso cambiamento nei rapporti di forza intracatalani. Entrambi i partiti, Erc e JxCat, avevano sostenuto Sánchez quando, l’anno scorso, ha provocato la caduta del conservatore Mariano Rajoy, ma poi l’hanno tradito e gli hanno ritirato l’appoggio, hanno fatto cadere il governo e costretto Sánchez a indire le elezioni anticipate che si sono appena celebrate.

 

Inoltre, Sánchez sa che chiedere aiuto agli indipendentisti significa pagare prezzi salati. Erc ha già detto che sarebbe disposta a dare una mano, per “evitare un governo di estrema destra”, come aveva detto Junqueras qualche giorno prima del voto. Ma oggi Gabriel Rufián, candidato di Erc, ha detto che le condizioni per l’appoggio a Sánchez sono: aprire un tavolo di negoziati per un nuovo referendum e porre fine alle cause giudiziarie contro i leader indipendentisti. Mostrarsi debole con i secessionisti catalani a un mese dalle elezioni locali ed europee (saranno tutte lo stesso giorno, il 26 maggio) rischia di essere fatale per Sánchez, che già si immagina la campagna di tutte le forze di destra unite che fanno a gara a chi lo accusa più duramente di antispagnolismo, con Vox che aumenta a dismisura nei sondaggi. Questo significa che le difficoltà per Sánchez devono ancora cominciare. Proprio a causa della vicinanza con una nuova tornata elettorale, i socialisti hanno fatto sapere che non hanno intenzione di cominciare subito le negoziazioni. Godiamoci la vittoria, il nuovo Parlamento si riunisce il 21 maggio, c’è tempo per parlarne.

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