Kaja Kallas, leader dei riformatori, in un seggio a Tallinn (Foto LaPresse)

In Estonia, dove essere filorussi non paga, c'è una dama pronta a combattere la frammentazione

Micol Flammini

I populisti di Ekre hanno raddoppiato i voti rispetto al 2015, ma non ci sono partiti disposti a formare coalizioni con loro. Ora tutte le attenzioni sono su Kaja Kallas

Roma. E’ ancora tutto da disegnare il prossimo Parlamento estone, mentre si studiano le alleanze – per ora ce ne sono due possibili –, i nomi e i curricula dei futuri premier – al momento ce n’è soltanto uno – dopo le elezioni di domenica l’Estonia sembra molto simile a quella di prima, pende un po’ di più verso il centrodestra, ma anche qui l’onda populista è da posticipare. Ekre, il partito nazionalista di estrema destra, stranamente antirusso e fortemente atlantista, ha ottenuto il 17,8 per cento dei voti, il doppio rispetto al 2015, ma ancora troppo poco per poter parlare di Estxit, dell’uscita dell’Estonia dall’Unione europea, per la quale Ekre vorrebbe proporre un referendum. Ha vinto il Partito riformatore con il 28,8 per cento dei voti, che ha battuto il Partito di centro, al governo dal 2015, che a queste elezioni ha ottenuto il 23 per cento. Bisognerà formare delle alleanze in grado di andare oltre questa frammentazione, e ci proveranno per primi i riformatori che hanno due opzioni: o unirsi con i conservatori e i socialdemocratici, i veri sconfitti di queste elezioni; o formare un governo di larghissime intese con i centristi.

  

La fotografia è sempre la stessa, segno che l’Europa tutta, lungo i confini, a est e a ovest, è mossa dal ritorno ai due schieramenti storici, il centrodestra da una parte e il centrosinistra dall’altra. Il Partito riformatore e il Partito di centro si sono alternati alla guida dell’Estonia da quando la nazione è uscita dal blocco sovietico. Intercambiabile dal punto di vista dei sentimenti europeisti, sono sempre stati divisi sui rapporti con la Russia con la quale i centristi hanno sempre cercato di mantenere delle buone e costanti relazioni fino alla rottura nel 2016, quando l’attuale premier Juri Ratas ha iniziato ad allentare sempre di più i rapporti con il Cremlino. I russofoni, che in Estonia sono il 25 per cento della popolazione, elettori dei centristi per tradizione, non hanno gradito questo cambiamento nella politica estera del Partito di centro e a queste elezioni si sono ritrovati senza una formazione alla quale fare riferimento.

  

Ora sta a Kersti Kaljulaid, il presidente, il compito di nominare un primo ministro che riesca a superare la frammentarietà di questo voto, il rischio è che si ripeta l’esperienza della Svezia, rimasta quattro mesi senza un governo e a fare prove di coalizioni antipopuliste. Anche in Estonia sia il Partito riformatore sia i centristi hanno escluso che collaboreranno con Ekre. Ma ora a catturare tutte le attenzioni è Kaja Kallas, la leader dei riformatori, avvocato quarantenne che, dopo aver saputo l’esito delle elezioni, davanti ai suoi sostenitori ha confessato: “Sono sorpresa e devo ammettere che avevo già preparato due discorsi”, uno in caso di sconfitta e l’altro in caso di (inaspettata) vittoria. La Kallas è pronta a riformare, in economia propone un programma liberista, ha promesso che l’unica lingua di insegnamento nelle scuole sarà l’estone, a scapito del russo, e soprattutto vuole che l’Estonia diventi un paese moderno, tecnologico, in grado di attrarre imprese e aziende straniere. Lei, già figlia di un ex premier, Siim Kallas, è tornata a Tallin dopo aver trascorso anni nel Parlamento europeo. La sua missione era ricompattare il Partito riformatore e rimetterlo alla guida della nazione. Le trattative per formare un governo potrebbero durare un po’. Per ora riformatori e centristi sono riusciti a sconfiggere i populisti, i più temuti, la prossima sfida di Kaja Kallas sarà quella di sconfiggere la frammentazione, nuovo ostacolo delle elezioni in Europa.

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