Il giuramento di Vladimir Putin - foto GettyImages

quinto mandato

Putin e il giuramento-incoronazione, tra comparse, scomparsi e una nuova Costituzione

Micol Flammini

Il premier russo vota per la prima volta sulla nuova Carta, cambiata da lui stesso quattro anni fa. Gli ambasciatori dei paesi occidentali declinano l'invito. Obiettivo: proteggere la Russia 

oAl Cremlino, le porte della sala di Sant’Andrea, dorate e pesate, non hanno assistito a molte inaugurazioni di un mandato presidenziale, ma per la quinta volta in ventiquattro anni si sono aperte per far passare Vladimir Putin che a sguardo basso, come suo solito, e sorriso mezzo accennato si è diretto verso il libro rosso della Costituzione per giurare sul testo che quattro anni fa, nel 2020, durante la pandemia, ha fatto cambiare per poter ancora una volta diventare presidente della Federazione russa.

Questo mandato non era compreso secondo la Carta fondamentale che prevedeva soltanto due mandati consecutivi, ma se nel 2008 Putin non aveva osato apportare cambiamenti alla legge ed era rimasto al potere inscenando un cambio di scena con Dmitri Medvedev, riservandosi la carica di primo ministro, qualche anno dopo era arrivato alla conclusione che bastasse cambiare la Costituzione, senza troppe manovre, senza dover cercare un delfino o una comparsa. Ieri Putin ha giurato per la prima volta sulla nuova Costituzione, quella cambiata da lui, e mentre teneva la mano sulla copia unica rivestiva di pelle di varano  giurava che avrebbe sempre fatto di tutto per proteggere la Russia: “Continuerò a mettere gli interessi e la sicurezza del popolo russo sopra a ogni cosa, questa è l’essenza del mio lavoro”.

Chi era nella stanza gli ha creduto, chi era fuori continua, secondo i sondaggi, a fidarsi di lui, ma in un contesto in cui non esiste pluralismo, i dissidenti sono in prigione e rischiano la vita, la propaganda è un suono assordante che è riuscito a coltivare le menti dei russi. In sala c’era il putinismo riunito. C’era il dittatore ceceno Ramzan Kadyrov, che è arrivato a Mosca per dimostrare che le voci sulla sua malattia non sono vere; c’era la direttrice di Rt, Margarita Simonyan, che per anni si è occupata della diffusione in patria e all’estero della propaganda di Mosca; c’era il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, su cui da anni si affollano voci di ambizioni alla leadership di Russia Unita e c’era il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, che alcuni commentatori hanno trovato più defilato del solito, poco appariscente. Alla cerimonia erano invitati gli ambasciatori di venti paesi dell’Ue, di Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada e l’invito è stato declinato. Erano invece presenti alcuni militari che hanno combattuto in Ucraina, “voglio inchinarmi ai nostri eroi, ai partecipanti all’operazione militare speciale e a tutti coloro che combattono per la nostra patria”, ha detto Putin. Dopo la cerimonia, il capo del Cremlino ha incontrato il patriarca Kirill che lo ha paragonato ad Alexander Nevsky, il principe di Novgorod famoso per le sue imprese militari. “Dio stesso ti ha affidato il compito di servire la Russia”, ha detto il capo della chiesa ortodossa russa, che ha già benedetto la guerra contro l’Ucraina che la Russia combatte con ogni mezzo: ieri Kyiv ha arrestato due colonnelli del servizio di sicurezza Sbu, erano stati reclutati  da Mosca per uccidere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è la prima volta che il Cremlino riesce a coinvolgere ufficiali ucraini così alti in grado.

 
All’inaugurazione che è sembrata un’incoronazione c’erano tutti i simboli a cui Putin tiene, tutti stretti tra le porte d’oro della sala di Sant’Andrea. Quello che non c’era e che sta scrivendo la storia della Russia l’ha mostrato invece Yulia Navalnaya in un video dedicato a questo quinto mandato preso tra brogli e violenze: c’è il dolore dell’Ucraina, i soldati che muoiono per una guerra che serve a mantenere in vita il potere, un paese rinchiuso in se stesso. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.