La folla si è riunita a Praga per protestare contro il primo ministro Andrej Babis (Foto LaPresse)

Appunti dalla piazza di Praga

David Carretta

Che differenza c’è tra Babis e, per dire, Orbán? La protesta in Repubblica Ceca, i conflitti di interesse e le priorità dell’Ue

Bruxelles. Una grande manifestazione di 250 mila persone sulla spianata di Letna per chiedere le dimissioni di un primo ministro non è una nuova rivoluzione di velluto in Repubblica ceca. Semmai è la dimostrazione di una società civile viva, reattiva, pronta a chiedere conto ai governanti del loro operato al minimo segnale di allarme, cosa che manca disperatamente in altri paesi dell’est, come Polonia e Ungheria, ma anche in stati membri dell’Unione europea di più vecchia data come l’Italia a guida Lega-Movimento 5 stelle. In sostanza è questa la risposta che il premier ceco, Andrej Babis, ha dato dopo l’assembramento più grande che ci sia stato a Praga dalla caduta della Repubblica socialista cecoslovacca nel 1989. “Sono passati 30 anni dalla rivoluzione di velluto e il livello di democrazia nel nostro paese è molto alto”, ha spiegato Babis a Politico.eu: “Le manifestazioni sono parte del sistema democratico in Repubblica ceca. Le persone possono manifestare contro di me o il governo e rispetto il loro diritto di farlo”. Ma Babis non si dimetterà. La mozione di sfiducia in Parlamento è destinata a fallire. E il Million Moments for Democracy, che ha organizzato la manifestazione di domenica, ha già annunciato un altro appuntamento il 16 novembre per commemorare i 30 anni dalla rivoluzione di velluto. “Non stiamo facendo la rivoluzione, ma vogliamo riallacciarci al messaggio e ai valori del 1989”, ha spiegato Benjamin Roll, uno degli organizzatori. Del resto i parallelismi sono stati un po’ abusati. Il 25 novembre del 1989 erano stati in 800 mila a occupare la spianata di Letna sotto al castello di Praga per chiedere la fine del comunismo. La manifestazione di domenica non è stata preceduta da nessuna repressione. Mikulas Minar, uno dei leader del Million Moments for Democracy, non è Václav Havel. E Babis, malgrado molti difetti, non è una minaccia alla democrazia come i suoi colleghi di Varsavia e Budapest.

    

 

Oggi la Corte di giustizia dell’Ue ha certificato il tentativo di sovvertire lo stato di diritto da parte del partito al governo in Polonia. La normativa per abbassare l’età per il pensionamento dei giudici della Corte suprema – che il governo di Varsavia ha adottato per nominare i suoi fedelissimi – vìola il principio “dell’indipendenza della giustizia”, hanno detto i giudici di Lussemburgo. A maggio la Commissione di Venezia, organo del Consiglio d’Europa, ha contestato l’introduzione da parte del governo in Ungheria di nuovi tribunali amministrativi che permetterebbero al ministro della Giustizia di avere un ruolo preponderante nella nomina dei giudici incaricati di appalti pubblici e contenziosi elettorali. In questi anni Jaroslaw Kaczynski e Viktor Orbán hanno costantemente eroso le basi dello stato di diritto e di una democrazia funzionante: smantellamento dell’indipendenza della giustizia, controllo sui media pubblici e privati, criminalizzazione politica e penale delle organizzazioni non governative e della società civile critica. Niente di tutto questo è accaduto con Babis in Repubblica ceca. Il premier di Praga è accusato di conflitto di interessi in relazione al suo colosso agro-alimentare Agrofert e di aver nominato ministro della Giustizia un’esponente del suo partito (Marie Benesova) che ha votato contro la privazione della sua immunità per una presunta frode con i fondi europei per un agriturismo di lusso. L’unica cosa su cui la Commissione europea finora ha avuto da ridire in un audit interno è un possibile conflitto di interessi per le sovvenzioni agricole versate dal 2017 a due trust dove Babis ha trasferito gli attivi di Agrofert per evitare proprio i conflitti di interesse.

 

Miliardario, magnate dei media, entrato in politica fondando un partito antiestablishment, Babis è più una versione est-europea del Cav. che un nazional-populista stile Kaczynski e Orbán. Il suo partito Ano, arrivato in testa alle elezioni europee con oltre il 21 per cento dei voti, fa parte dei liberali di Renew Europe. Se è contrario a entrare rapidamente nell’euro, Babis nell’Ue si batte per preservare il mercato interno e i suoi princìpi liberali dagli assalti di Francia e Germania. Sull’immigrazione è per le frontiere chiuse, ma è stato Babis a spingere il V4 a versare più soldi per il Trust Fund per l’Africa. La Repubblica ceca è parte del gruppo di Visegrád, ma è stata capace di prenderne le distanze ogni volta che ci sono stati segnali di deriva autoritaria. A Praga in 250 mila gli tengono gli occhi puntati addosso. A Bruxelles e nelle altri capitali farebbero bene a puntarli su altri governi che stanno minando lo stato di diritto. 

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