Il primo ministro finlandese, Antti Rinne (foto LaPresse)

Il Consiglio dell'Ue alla prova della presidenza finlandese

Micol Flammini

È iniziato il semestre della Finlandia che vuole parlare di clima e di stato di diritto. Visegrád la guarda storto

Roma. C’è solo un punto chiaro in questa Unione europea a caccia di nomi e facce possibili: che da ieri la presidenza del Consiglio dell’Unione europea è passata nelle mani della Finlandia. La attendeva con voglia, quasi vorace, pronta a strapparla alla Romania quando sei mesi fa si apprestava ad assumere il suo ruolo. Tra i vari non siete pronti, scansatevi, datevi altri sei mesi di tempo, era dovuto intervenire Donald Tusk, che dell’Ue è ormai il pacificatore e lo stratega per dire a tutti, finlandesi famelici inclusi, che era il caso di lasciar stare Bucarest, di vederla lavorare, perché meritava la sua occasione. I sei mesi sono passati e la Romania, tra tutte le difficoltà, è riuscita a concludere un semestre dignitoso e in mezzo alla tormenta, tra budget da approvare, Brexit rimandata e le elezioni di maggio. La stagione del lupo romeno, questo era il logo, è ormai finita, è iniziata l’èra della Finlandia, la cui agenda ha fatto sussultare non poco gli altri paesi membri, soprattutto quelli dell’est, Visegrád e non Visegrád, perché ha deciso che dedicherà il suo lavoro alle politiche climatiche, contro le quali i paesi dell’Europa orientale, Polonia in testa, hanno votato contro. Il governo finlandese, pieno di verde, punta a ottenere l’azzeramento delle emissioni di carbonio entro il 2035. Non si tratta di una sfida semplice e, come ha osservato il Financial Times, il limite di questa presidenza sta nel vedere l’Unione europea tutta come una grande, grandissima Finlandia. Ma le scelte e le priorità degli elettori europei non rispecchiano quelle dell’elettorato finlandese, non ovunque almeno.

 

Krista Mikkonen, ministro dell’Ambiente, ha detto che non esiste nazione più indicata a guidare la “lotta contro il cambiamento climatico”, ma l’Ue è vasta, si sa, ogni nazione ha le sue necessità – questo a Bruxelles nelle ultime diciannove ore di ieri alla ricerca di nomine che piacessero a tutti si è visto bene – e le politiche ambientali non piacciono a tutti e non tutti le vedono in cima alla lista di priorità. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha detto che prima di approvare misure a favore del clima dovrà avere l’assicurazione che il suo paese abbia qualcosa in cambio, “un pacchetto di risarcimenti molto dettagliato”, ha detto, altrimenti la modernizzazione potrà attendere.

 

Ma Helsinki dovrà pensare al prossimo bilancio settennale, dovrà guidare il processo e le discussioni e ha già detto che sarà in grado di farlo entro la fine dell’anno. Gli scettici sono tanti, questa presidenza è iniziata con una grande dose di autostima, e il primo ministro Antti Rinne ha detto che entro la fine dell’anno la Finlandia mostrerà come un accordo sul clima sia possibile. “I tempi del ‘sì, ma’ sono finiti”, ha detto. Molto però dipenderà dal denaro, lo ha ammesso lo stesso Morawiecki: dateci fondi e saremo disposti a diventare moderni. E starà alla Finlandia risolvere anche questa questione e le soluzioni, per ora, non sembrano così facili da trovare.

 

Il ministro degli Affari europei, Tytti Tuppurainen, ha detto che c’è bisogno di regole e di chi queste regole le faccia rispettare, soprattutto in materia di stato di diritto, e nel gruppo dei paesi che non hanno voluto firmare l’intesa sul clima, ce ne sono due, Polonia e Ungheria, accusati di violare lo stato di diritto: “Lo stato di diritto sarà al centro della nostra presidenza”, ha detto il ministro promettendo che i metodi per sorvegliarlo e preservarlo saranno rafforzati, soprattutto quelli economici. Clima e regole, regole e clima, la presidenza finlandese si annuncia ortodossa, senza crepe, ma tortuosa e quasi tutta in salita. Poi ci sono gli insegnamenti, e anche in questo la Finlandia sa di potersi vantare. Dopo le ultime elezioni, in cui i socialdemocratici sono arrivati al primo posto seguiti dai Veri finlandesi, alleati di Matteo Salvini al Parlamento europeo nel partito Identità e democrazia, i sovranisti sono stati arginati, o meglio confinati ai margini da una coalizione europeista. Il leader socialdemocratico, Antti Rinne, ex sindacalista, ha cercato un’alleanza che fosse quanto più europeista possibile, con cinque partiti, pronti a fare fronte comune contro i populisti che avevano puntato su una campagna elettorale molto aggressiva. Talmente aggressiva che i toni xenofobi ed euroscettici hanno fatto perdere molti voti ai Veri finlandesi.

La Finlandia ha iniziato la sua presidenza ambiziosa, sicura e agguerrita, come logo non ha scelto un lupo, ma un fiore, pieno di petali colorati. Che avesse voglia di intestarsi questo semestre non ne aveva fatto mistero, ha anche creato molte aspettative, la difficoltà starà in questo: dimostrare che la sua presidenza sarà all’altezza del suo spin.

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