Ppe contro Merkel, Macron furioso. Che figuraccia questo stallo europeo
Diciannove ore di incontri e nessun accordo sulle nomine dell’Ue. Saltata l’intesa popolari-socialisti. I dispetti di troppo e i punti della Francia
Milano. Diciannove ore non sono bastate, la nuova Europa è già una storia di nottate insonni e di maniche arrotolate e di grandi nervosismi e di rinvii al giorno successivo quando ormai tutti dicevano: ci siamo, dobbiamo esserci. La seduta del Consiglio europeo dedicato alle nomine dei nuovi leader dell’Unione europea è stata aggiornata a martedì, ore 11. La prima sconfitta – nessun accordo – è stata vissuta con malanimo da parte di tutti: vogliamo cambiare ogni cosa e ci ritroviamo uguali a ieri, come siamo sempre stati, divisi, arroccati, incapaci di “bouger”, come ha detto il presidente francese Emmanuel Macron. Gli ottimisti dicono che la rivoluzione non si fa in una notte, gli altri abbassano gli occhi: gli impantanati non fanno mai una bella figura. In questo ulteriore momento di attesa, chat incandescenti e telefoni che squillano, l’unico che può avere qualche consolazione è proprio Macron, che pure non fa che parlare di “sconfitta”, perché se due giorni e una notte intera di negoziati non portano a nulla vuol dire che nemmeno il senso di urgenza che fa capo al presidente francese ha avuto la meglio. Ma il “Rinascimento europeo”, come lo chiama Macron, nasce da una nuova impostazione dei rapporti di forza dentro all’Ue, e questa un pochino si sta realizzando (senza virtuosismi per ora). Il candidato predestinato – lo Spitzenkandidat del partito che ha preso più voti alle elezioni europee – è stato azzoppato, come voleva Macron che ha sempre detestato questa procedura: Manfred Weber, candidato del Partito popolare europeo, non sarà il presidente della Commissione, se gli va bene sarà il presidente dell’Europarlamento.
Questa consapevolezza ha fatto infuriare il Ppe, che comunque è il primo partito, non soltanto contro Macron, ma anche – e questa è a suo modo un’altra conquista del presidente francese – contro Angela Merkel, cancelliera cristianodemocratica tedesca. Non ci ha difesi abbastanza, dicono i popolari europei rivolti alla Merkel, non tiene abbastanza al Ppe, non ha voluto Weber perché ha occhi soltanto per la Banca centrale europea – il candidato tedesco è Jens Weidmann – ma non si è nemmeno battuta per avere un popolare alla guida della Commissione. Continua a circolare l’ipotesi di Michel Barnier, il francese che ora guida i negoziati con la Brexit che è in asse con i macroniani ma è un popolare: la sua eventuale nomina oggi sarebbe in ogni caso una piccola vittoria per la Francia più che una conquista del Ppe. E comunque la Merkel non ha impedito, anzi ha agevolato, l’ascesa – temporanea per ora, ma poi si vedrà – dello Spitzenkandidat del Partito socialista europeo (Pse), l’olandese Frans Timmermans, riservando la presidenza del Parlamento europeo a Weber: era questo il nocciolo dell’accordo tra Merkel e Macron già discusso a margine del G20 a Osaka. E’ stata proprio questa strategia a scatenare il Ppe contro la cancelliera tedesca: non c’è posto più importante per i popolari rispetto alla guida della Commissione, è quella la posizione in cui si mantiene il controllo del potere a Bruxelles. Rinunciare a quel posto equivale a un tradimento, ed è di questo che è accusata la Merkel. Contro Timmermans si sono schierati prima i paesi di Visegrád e poi altri della cosiddetta minoranza di blocco (c’è anche l’Italia, che non avendo mai avuto un’idea di costruzione europea partecipa soltanto alle operazioni di distruzione) attivatosi al grido ungherese Timmermans-è-il-candidato-di-George Soros.
Ormai gli spauracchi, in Europa, funzionano così: se parli di accoglienza e di stato di diritto sei il nemico, devi essere abbattuto. Il fatto che siano stati gli ungheresi di Viktor Orbán che sono formalmente sospesi dal Ppe a lanciare l’urlo di guerra e a parlare di “errore storico” e di “umiliazione” quando hanno sentito parlare del socialista olandese rende ancora più amara la notte insonne: il cambiamento sembra lontanissimo. In ogni caso nemmeno la proposta con Timmermans a capo della Commissione è risultata convincente, anzi semmai per colpire lui – e per colpire la Merkel – ci sono stati altri effetti collaterali di cui c’è poco da andare fieri: è stata bloccata anche la bulgara Kristalina Georgieva, numero due della Banca mondiale, che era stata indicata come presidente del Consiglio europeo. Una volta bocciato questo pacchetto, è stato tirato fuori un foglio bianco: si ricomincia senza sapere dove si arriverà, i liberali come la commissaria danese Margrethe Vestager e il premier belga Charles Michel sono di nuovo sulla bocca di molti.
Martedì forse si troverà la combinazione del “cubo di Rubik” europeo, come lo chiama l’Economist, ma la prima figuraccia è ormai compiuta. La Merkel è molto in difficoltà perché si è trovata in mezzo alla rivolta del suo Ppe senza essere riuscita a imporre l’alternativa Timmermans. Lo zampino di Macron non ha aiutato, anche perché alcuni leggono la strategia del presidente francese come una piccola vendetta nei confronti dei tedeschi, che da mesi sono molto circospetti nei confronti dell’attivismo di Macron, e si sono messi di traverso su questioni importanti come il budget dell’Eurozona. Forse è vero che qualche sassolino la Francia di Macron vuole toglierselo, ma per ora prevale la delusione di tutti: gli interessi personali vincono sull’interesse europeo, ha detto il presidente francese, e più si dice che non c’è tempo da perdere più gli europei si muovono lenti e inefficaci. Non è di questo che ha bisogno la nuova Europa, il cubo di Rubik è il contrario del nuovo progetto che vuole essere semplice, immediato, deciso. “Posso cambiare per davvero, cambierò per davvero” è una promessa potente, non può essere fatta con leggerezza né può sembrare una bugia nel giro di un’unica notte. Ancor più se stiamo parlando di grandi amori che si riscoprono nel tempo, che è quel che è accaduto, che sta accadendo, agli europei con l’Europa.