Il presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi (foto LaPresse)

Debiti più lunghi per ripartire con l'Europa

Redazione

Confindustria chiede scadenze a 30 anni e forse è l’unica via possibile

Nell’audizione alla Camera che si è svolta ieri, Confindustria ha, tra le altre cose, ribadito la necessità di portare a 30 anni la scadenza dei prestiti erogati dalle banche alle imprese in modo da ridurre, fino a renderlo marginale, il peso dell’indebitamento necessario per affrontare la crisi Covid. Il punto è centrale nel momento in cui sta emergendo che per far ripartire il sistema produttivo c’è bisogno non solo di prestiti ma di contributi a fondo perduto che in Europa non sono più un tabù. La Commissione europea, infatti, ha previsto questa possibilità e numerosi sono i paesi che la stanno sfruttando, in primis la Germania in aggiunta a tutti gli altri aiuti che il governo tedesco sta dando all’economia. Ma in Italia la coperta è corta e il governo si è affidato esclusivamente al sistema delle garanzie e al canale bancario, con il risultato di aver creato un grande imbuto attraverso il quale escono poche gocce di liquidità rispetto al fabbisogno che Confindustria stima per quest’anno in 57 miliardi nello scenario migliore e in 138 miliardi in quello peggiore.

 

Ora, per quanto anche gli osservatori di spirito più liberista sostengano ci sia bisogno di sussidi diretti, e persino il commissario europeo Thierry Breton abbia ammesso che un’importante dotazione di sovvenzioni è necessaria nel breve termine, è oggettivamente molto difficile per l’Italia trovare lo spazio fiscale nel suo bilancio per stanziare 60-70 miliardi a fondo perduto da dare alle imprese. Così, la proposta di Confindustria di allungare il periodo di rimborso dei prestiti da sei a trent’anni potrebbe essere l’unica strada davvero percorribile se il governo italiano capisse la necessità di provare a forzare la mano in questo senso con l’Unione europea (il vincoli di sei anni è previsto dal “temporary framework” del 19 marzo). L’alternativa è rassegnarsi a una “ripartenza diseguale” dell’industria in Europa a vantaggio dei paesi meno indebitati che in questa fase stanno cogliendo l’occasione per ridisegnare l’apparato produttivo usando la loro potenza finanziaria. Ma a quel punto la mancanza di equità potrebbe diventare un rischio e uno svantaggio per tutti.