Matteo Salvini visita la comunità di Don Pierino Gelmini ad Amelia (foto LaPresse)

Il vangelo con Salvini? Vita e contraddizioni delle chiese di periferia

Cristina Giudici

Viaggio nelle parrocchie milanesi, dove il tasso di cattoleghismo varia molto in base alle condizioni sociali

Questa è la prima di una serie di puntate sui viaggi di Cristina Giudici tra le parrocchie milanesi.


 

"Voto Salvini e non me ne pento, anzi. Non vedo alcuna contraddizione con il messaggio del Vangelo. Amiamo il prossimo e aiutiamo gli ultimi, tutti gli immigrati, ma qual è il problema se li aiutiamo a casa loro?”. La signora Roberta ha i capelli grigi raccolti in una lunga coda. Viso tirato e una rabbia malcelata. E per lei, come alcune sue amiche che sono venute alla messa domenicale, il cattoleghismo si riduce solo a questa cosa qui: essere o meno accoglienti con gli stranieri. Nulla di più poiché, interpellata, spiega che lei ama Papa Francesco. E interpreta in modo molto singolare il famoso passaggio del Vangelo secondo Matteo: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Si è dibattuto tanto sul cattoleghismo. Un termine diffuso nel linguaggio politico e mediatico per semplificare (troppo) la complessità contemporanea anche nella comunità cattolica. Certo, nella retorica salviniana c’è anche il simbolismo del rosario sventolato nelle piazze come vessillo di una nuova identità, che ha irritato molti cattolici praticanti, ma il suo gesto non pare essere considerato dai molti parrocchiani né blasfemo né segno di una nuova etica spirituale: bensì solo un orientamento politico comune a molti cattolici. Solo che Salvini lo esprime come una battuta da bar, o peggio da social.

 

Questo almeno è quanto emerge dalla prima tappa di un breve viaggio nelle parrocchie della diocesi più grande d’Europa, dove il cattolicesimo operoso è ancora vivo ma dove, allo stesso tempo, il sovranismo identitario piace molto. E dove l’integrazione, spesso, è un problema concreto e non una banalità da talk-show. Si parte dalla vecchia San Siro, cioè dalla zona ghetto dove gli immigrati o nuovi cittadini di origine araba sono prevalenti e hanno isolato gli italiani, soprattutto anziani, che si sentono assediati e utilizzano spesso la parola invasione, come sul prato di Pontida. Alla parrocchia Beata Vergine Addolorata  di via Stratico, che si trova a pochi metri dalla scuola privata araba per egiziani benestanti (che non abitano nelle case popolari), ogni giorno i volontari fanno il doposcuola per aiutare gli adolescenti, in maggioranza stranieri, con più difficoltà a stare al passo con gli studi. Il parroco don Giovanni Castiglioni ci spiega di esser stupito da un ossimoro che lui definisce con semplicità “un atteggiamento schizzato” di parrocchiani che esprimono la loro simpatia per i sovranisti ma poi sono sempre disponibili a mettersi al servizio di bambini ed adolescenti stranieri. E per aiutarci a capire la complessità di un quartiere per niente aiutato a favorire una maggiore integrazione, ci spiega che lui va nelle case popolari per la benedizione natalizia a parlare con tutti. Credenti, atei, musulmani e anche molti simpatizzanti di Salvini. “Vanno capiti”, ci spiega. Soprattutto quelli che intorno hanno solo stranieri accusati di essere la causa del degrado. Ed è sconcertato, però, dalla disponibilità evangelica di chi alle urne vota Lega.

 

Alla fine della messa, sono in tanti a fermarsi sul sagrato della chiesa a parlare volentieri del cosiddetto cattoleghismo. Sebbene don Giovanni predichi sempre dialogo e apertura a chi sembra diverso ma è figlio di Dio e dica ai suoi parrocchiani che Gesù non ci ha insegnato a lasciare morire un essere umano in mare, molti hanno un solo problema: “La rabbia di essere stati lasciati soli”. E, rievocando il Sinodo minore dedicato alla “Chiesa delle genti” nel febbraio scorso, riflette : “Le schede dei questionari che ci sono arrivati dalle parrocchie riflettevano un impegno costante verso le persone più vulnerabili, a cominciare dai migranti o da stranieri. Mi preoccupa invece l’assenteismo, o meglio la mancanza di risposta di tantissime parrocchie. Come va letto questo segnale? Come disinteresse, secolarizzazione o orientamento sovranista?”. “Insomma”, conclude don Giovanni, “per me c’è una sorta di schizofrenia che va capita e compresa, soprattutto in un contesto problematico. Il dissenso verso gli insegnamenti del Vangelo è scritto nel silenzio di chi non partecipa”. Un silenzio che frana alla semplice domanda fatta dal Foglio ai parrocchiani sul loro sentire verso il leader della Lega. Alcuni scuotono la testa, come dire no lui non è un vero credente, ma la maggior parte approva: “Lui ci capisce, capisce il disagio del popolo ed è credente”; anche se “talvolta esagera con il suo estremismo”; “sa che i migranti sono troppi e noi possiamo accoglierli ma solo fino a un certo punto”. Le frasi. Al centro, almeno a San Siro, c’è solo il problema degli stranieri che hanno invaso le loro vie. Anche se poi, magari, il loro vicino di casa invece è per loro una brava persona, perché da vicino sono tutti più normali.

 

Ma il cattoleghismo ha presa, almeno fra questi ceti meno abbienti. Ovvio, se si va alla Pastorale dei migranti in via della Signora, a poche centinaia di metri dal Duomo, guidata da don Alberto Vitali, l’atmosfera è diversa. Lui assiste centinaia di immigrati, soprattutto latinoamericani e filippini, segue il loro percorso spirituale, lavora per la loro integrazione. Nella chiesa di Santo Stefano lui non si pone il problema della diversità culturale, ma ricorda che in un’altra chiesa dove è stato parroco diversi anni fa arrivavano anche lettere anonime contro la magnanimità verso gli stranieri. “Il cambiamento non è avvenuto improvvisamente. Il crollo delle Torri Gemelle e l’arrivo della crisi economica hanno favorito il populismo anche fra i credenti, ben prima di Salvini. Si fa poco catechismo e formazione. La semplificazione e l’impoverimento culturale non aiuta i fedeli a discernere i messaggi dei Vangeli”. 

 

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