Chiesa Santo curato d’Ars (foto ChiesadiMilano.it)

Rosari al Giambellino

Cristina Giudici

Nella parrocchia di frontiera il don punta sul metodo accoglienza. Ma a tanti parrocchiani piace Salvini

Pubblichiamo la terza puntata dell'inchiesta di Cristina Giudici sulle parrocchie milanesi. Qui la prima puntata, qui la seconda


 

Sulla parte superiore della facciata della chiesa Santo curato d’Ars, frutto ardito di un monsignore-architetto degli anni Sessanta, il parroco don Renzo Marnati appende spesso degli striscioni spot. Ora ne ha messo uno con tre parole in maiuscolo: “Mediterraneo = Cimitero. Basta”. Molti parrocchiani non condividono, ma non si lamentano perché lui – che parla in dialetto milanese e ha un approccio empatico da prete di frontiera – è molto amato nella chiesa che fu costruita laddove una volta c’era un grande prato verde, per dirla con Celentano, e ora si trova al centro del quartiere periferico del Giambellino.

 

Ottomila abitanti in otto vie ancora in attesa della promessa riqualificazione urbana e dell’agognata metropolitana. Don Renzo ci fa l’elenco delle molteplici attività di volontariato che si riescono a fare in parrocchia. A cominciare dal doposcuola per gli studenti e dal centro di ascolto anche per anziani che spesso si rivolgono alla parrocchia anche solo per essere aiutati a pagare le bollette o trasportati in ospedale. Per lui il problema oggi è soprattutto “trovare un nuovo linguaggio che vada oltre la catechesi”, ci ha spiegato e ribadito più volte. Di fianco alla parrocchia si trova l’oratorio, grande ma un po’ dismesso perché le risorse diocesane non bastano. E vengono investite soprattutto sull’assistenza educativa e materiale delle famiglie bisognose. Al tramonto si trovano sempre dei ragazzi italiani e stranieri che giocano a basket, anche durante le feste, con l’educatore. Non vanno a messa e mostrano sprezzo per Matteo Salvini, il politico col rosario. “Faccio il corso prematrimoniale ai fidanzati che poi se ne vanno perché qui non c’è nulla. Ora qualcosa si muoverà coi progetti di riqualificazione urbana, un pezzo del piano contro la povertà infantile che coinvolge tantissime associazioni, ma per ora i giovani continuano ad andare via”, insiste don Renzo.

 

E così a restare sono gli anziani che non ci stanno a interpretare il ruolo degli ultimi. “Dimenticate gli oratori di una volta dove si andava tutti giorni ed erano centro di aggregazione e di comunità. Funzionano solo d’estate. Coi ragazzi, si fa un viaggio di una settimana. Si parla, si gioca, si riflette, ma è troppo poco”. Poi ognuno torna alla propria vita e in chiesa, alla messa domenicale, i credenti arrivano in ordine sparso. Nelle ultime file, sulle sedie logorate dal tempo, ci sono alcuni filippini e latinoamericani del quartiere. Davanti, soprattutto anziani. La base del catto-leghismo ad occhio e croce, perché il signore che prega accanto a noi resta sul vago, ma prima di lasciare la parrocchia e scappare via lesto dice: “Lo conosco bene Salvini, mi ha fatto anche gli auguri a Natale”. Sebbene le iniziative di volontariato e di accoglienza siano molteplici, i Vangeli non sembrano entrare nel modo più coerente nel cuore dei parrocchiani del Giambellino. La sciura Maria afferma con orgoglio: “Io ho fatto pure il selfie con Salvini. Sono andata fino a Ventimiglia per seguirlo, dove erano accampati tutti gli immigrati”. Inutile la domanda rituale sull’insegnamento dei Vangeli: i cattolici salviniani non vedono l’incoerenza: in questo mondo caotico dentro un quartiere immerso nella scighera, Salvini è un faro. Don Renzo ricorda quando qui c’erano le suore canossiane, fra cui una figura leggendaria di bontà e devozione al prossimo. La chiamavano Madre Teresa e andava per le strade a raccogliere i tossicodipendenti. 

 

Durante l’omelia, don Renzo parla di Dio che umilmente si è fatto carne, ricorda i pilastri della fede, gli ultimi che saranno i primi, invoca la pace, rammenta le tragedie in Siria, in Libia. E chissà se lo fa nella speranza di svegliare le coscienze. Ha chiamato anche il divisivo e carismatico don Gino Rigoldi a tenere messa ogni domenica sera: “E molti non sono più tornati”, ammette con la beatitudine di un parroco più che impegnato sul fronte dell’assistenza di tutti quelli che può. Eppure i risultati sembrano relativi. Giada, ex insegnante, spiega tutti i problemi creati dagli zingari, le cantine occupate, gli abusivi che l’hanno costretta a lasciare la casa popolare senza ascensore. “Salvini difende i presepi a scuola e capisce i problemi di quartieri come il nostro dove abusivismo, illegalità e degrado rappresentano una ferita mai sanata. E se mi considerano razzista, pazienza. I problemi sono sempre gli stessi da troppi anni”, dice con un tono rassegnato. Alla fine della liturgia entra una signora, età indefinita fra i 40 e 50 anni, passo scomposto, in cerca del parroco. Interpellata, reagisce con sdegno davanti all’evocazione del Capitano. “Io non sono parrocchiana”, precisa, “ma ho bisogno di Don Renzo e delle sue parole di conforto. Non posso andare dallo psicologo”. E così sorge un dubbio: “Forse le omelie semplificate non sono una buona idea per contrastare il catto-leghismo? Forse non saranno gli striscioni a favore dei migranti, l’assistenza, gli appelli per la pace e le prediche che si adeguano al linguaggio dei parrocchiani a contrastare la simpatia crescente verso il populismo nata da una semplice esigenza di ordine? Perché anche qui, come in altre parrocchie, la catechesi serale per gli adulti resta quasi deserta. 

 

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