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Olive #23

Ola Solbakken e la capacità di guadagnare spazio

Giovanni Battistuzzi

José Mourinho già a gennaio aveva detto che l'attaccante aveva bisogno di tempo e che non farlo giocare era un modo per concederglielo. I più avevano dato per già bocciato il norvegese. Mou al momento giusto gli ha dato fiducia e lui ha segnato. Non è un campione, ma sa rendersi utile

Cosa non fosse chiaro nelle parole pronunciate da José Mourinho il 22 gennaio 2023 non è dato a sapersi, fatto sta che, almeno sino a domenica 19 febbraio, quasi nessuno le aveva capite: “Ola Solbakken ha bisogno di tempo, ha giocato in un calcio diverso. Quando ha giocato non ha mai toccato la palla e non voglio rischiarlo, ma ha talento”. Per la quasi totalità degli appassionati di calcio Ola Solbakken era un calciatore della Roma che alla Roma non giocava perché José Mourinho non lo riteneva degno di giocare. D'altra parte era entrato in campo sei minuti in tre partite in Serie A, altrettante le aveva viste seduto in panchina. E pure in Coppa Italia era rimasto a guardare. E questo era la più grande bocciatura possibile. Perché è vero che si dice pubblicamente che la coppa nazionale è un'opportunità, vincerla qualcosa di prestigioso, ma privatamente ancora la si considera nulla più che una competizione dove far giocare le seconde linee. E se non si gioca nemmeno in Coppa Italia...

 

Ola Solbakken non aveva giocato né contro il Genoa né contro la Cremonese. Nemmeno un minuto. E non aveva giocato non perché Mourinho aveva preso altre decisioni, aveva voluto dare tempo al venticinquenne di comprendere le dinamiche di gioco, capire cosa voleva da lui l'allenatore e i compagni, ma per una bocciatura senza appello del portoghese. Il mestiere di allenatore d'altra parte è quello il più diffuso in Italia.

 

Mou non è uno che bada a queste cose. E neppure Ola Solbakken è uno che ci fa molto caso. Al Bodø/Glimt, l'allenatore Kjetil Knutsen aveva detto che uno dei più grandi pregi dell'attaccante era quello di sapersi estraniare dai problemi quando le cose non andavano bene, e fuggire alle lodi quando invece tutto andava per il verso giusto.

 

Ola Solbakken è sceso per la prima volta in campo dal primo minuto contro l'Hellas Verona, al quarantacinquesimo minuto ha segnato il suo primo gol in Serie A. Un gol da centravanti lui che centravanti non è.

 

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Ha sempre, o quasi, giocato all'ala Ola Solbakken, soprattutto a destra, così da poter puntare al centro e tirare di sinistro, il suo piede. Ha sempre, o quasi, giocato all'ala il norvegese perché lì, sulla fascia, riusciva a sfruttare al meglio la sua velocità, che non è male, soprattutto nel dribbling. Nessuno, prima d'ora, aveva mai messo in dubbio che Ola Solbakken potesse giocare altrove, ché quello era la sua posizione, quella più giusta per farlo rendere al meglio. José Mourinho però è un allenatore che del pregresso se ne frega il giusto, e valuta tutto a seconda delle necessità di modulo, che sono poi nient'altro che l'applicazione delle sue convinzioni del momento, che possono cambiare a seconda della squadra che allena, ma che in realtà non cambiano mai molto.

 

Aveva bisogno di tempo soprattutto José Mourinho per capire che giocatore fosse Ola Solbakken, perché non bastano tre partite da avversario in Conference League (due ai gironi – e un 6-1 che intristì parecchio i giallorossi –, una ai quarti di finale, perché all'andata non era stato convocato) per capirlo, anche se in quelle partite, quelle contro il Bodø/Glimt della scorsa stagione, il norvegese aveva fatto quello che aveva voluto e per la Roma era andata assai male tre volte su quattro, anche se nell'ultima, quella decisiva era arrivato un 4-0 che aveva permesso ai giallorossi di arrivare in semifinale europea.

 

Anche perché quello che aveva in mente Mou non era quello che invece si è trovato a Trigoria. Ola Solbakken è un buon giocatore, a patto però di comprendere i meccanismi della squadra, perché uno come lui, uno che è bravo in tutto e non eccelle in niente, rende soprattutto se riesce a fare quello che di meglio ha da offrire: smarcarsi per farsi trovare libero e con poca gente attorno puntare alla porta avversaria.

 

Tutto questo glielo aveva insegnato Roger Naustan, il suo allenatore nella squadra under 19 del Rosemborg: “Chi non è un campione dovrebbe imparare che il calcio non è solo dribbling, ma soprattutto spazi. Se sei forte ma non un campione il tuo modo di giocare deve puntare soprattutto a una cosa: guadagnati più spazio possibile, tutto diventerà più semplice”.

  


   

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma), nella tredicesima Stefano Sensi (Monza), nella quattordicesima Federico Baschirotto (Lecce), nella quindicesima Moise Kean (Juventus), nella diciasettesima Rasmus Hojlund (Atalanta); nella diciottesima M'Bala Nzola (Siena); nella diciannovesima Federico Dimarco (Inter); nella ventesima Cyril Ngonge (Hellas Verona); nella ventunesima Riccardo Saponara (Fiorentina); nella ventiduesima Perr Schuurs (Torino)

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