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Olive #9

Sergej Milinkovic-Savic non ha più bisogno dell'ombra

Giovanni Battistuzzi

Per anni il serbo della Lazio era stato considerato meno del suo valore. Con Sarri è tornato a essere quel giocatore per il quale avevano offerto 110 milioni, o almeno così aveva detto Lotito. Adesso quella cifra forse la vale davvero

Quando Sergej Milinkovic-Savic arrivò a Roma non furono pochi, almeno tra i tifosi della Lazio, a chiedersi cosa avessero visto in lui Claudio Lotito e Igli Tare per versare dodici milioni di euro al Genk. È mica uno che apre il portafoglio volentieri Claudio Lotito, pensavano i tifosi, gli stessi che lo soprannominavano, e mica troppo amorevolmente, Lotirchio. Non è tirchio Lotito, è un presidente oculato, uno che non fa follie, che ci tiene ad avere i bilanci a posto.

 

Avevano speso solo in due occasioni di più per un giocatore: una ventina di milioni per Mauro Zárate, 13,5 per Hernanes. Quei dodici milioni spesi per un ragazzone di vent’anni che aveva ben fatto al Mondiale Under 20, ma aveva giocato in vita sua tredici partite nella Super Lega serba e diciotto nella Jupiler Pro League belga, sembrarono a molti, i più, una follia dirigenziale. Vale davvero tutti ‘sti soldi? Capirono in poco tempo che  sì, valeva tutti quei soldi, e pure di più. Perché quel ragazzone imberbe che correva parecchio sgraziato, con la palla al piede era sgraziato affatto, anzi.

 

Stefano Pioli, all’epoca allenatore della Lazio, l’aveva schierato trequartista centrale tra Felipe Anderson e Keita Baldé. C’aveva quasi mai giocato da trequartista centrale, ma fece parecchio bene: pochi gol e pochi assist, ma movimenti utili a far fare gol e assist agli altri. Era mica il suo ruolo però, perché uno come lui, grande e grosso come lui, ma scaltro e veloce il giusto, aveva bisogno di campo e di spazio, di potersi inserire negli spazi. Simone Inzaghi lo capì subito, lo arretrò di una decina di metri, fece la loro fortuna. Ventun gol e sedici assist in due campionati, il passaggio di status da buon giocatore a gran calciatore. Non un campione, ci voleva dell’altro, la capacità di guidare le speranze dei compagni oltre alle proprie, di essere fulmine e parafulmine. C’è mai riuscito davvero. Solo a sprazzi, quando però il vento tirava a favore.

 

Al termine della stagione 2017-2018 Sergej Milinkovic-Savic sembra destinato a lasciare la Lazio, lo vogliono in tanti e in tanti, soprattutto in Inghilterra, sembrano essere disposti a pagare parecchio per lui. Il parecchio non è però abbastanza: il presidente Claudio Lotito dichiarò di aver rifiutato un’offerta da 110 milioni di euro. L’anno prima il Manchester United aveva speso di meno per Paul Pogba.

       

Vera o falsa che fosse quella proposta, Milinkovic-Savic restò e continuò a giocare come sapeva, come sempre, a volte con un po’ di presunzione in più. Lui non era cambiato, era cambiato tutto ciò che stava attorno a lui. Si aspettavano di più, ma di più era difficile dare. Aveva bisogno di un po’ d’ombra, ma di ombra non ce n’era attorno a lui, è mai facile trovarne quando si è il più alto di tutti.

   

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Iniziarono a considerarlo sempre meno Sergej Milinkovic-Savic. È un brutto vizio del calcio questo. Quando un calciatore rimane a lungo in una squadra si inizia a darlo per scontato, quasi ci si accorge più del talento. Si fa un gran parlare di bandiere, poi quando gli anni con una stessa maglia si sommano si riesce più ad apprezzare il talento, con qualche significativa eccezione.

 

Sergej Milinkovic-Savic ha continuato a giocare bene, molto bene, ma non sembrava abbastanza, tifosi laziali a parte. Eppure se si considera la partecipazione al gioco nelle azioni da gol della Lazio – non solo la marcatura e l’assist ma gli ultimi quattro passaggi prima della rete – Milinkovic-Savic c’era quasi sempre, le sue assenze erano molto inferiori alle sue presenze. Spesso i gol e gli assist sono un orpello, si è decisivi anche e soprattutto così.

 

Con Maurizio Sarri, Milinkovic-Savic si è appropriato anche degli orpelli. Che mica è vero che Sarri è un integralista del 4-3-3, negli ultimi due anni ha disposto la squadra sempre con un 4-2-Milinkovic-3. Aveva capito subito Sarri che Sergej era mica uno qualsiasi, ma doveva essere il centro gravitazionale di una squadra senza centro gravitazionale. Libero Milinkovic-Savic in libera Lazio.

 

Quest’anno Sarri sta raccogliendo i frutti di un anno passato a spiegare ai suoi uomini e a Sergej che senza gioco di squadra non si va da nessuna parte, ma che un gioco di squadra senza Milinkovic-Savic è parecchio peggio. Lo hanno capito tutti. Anche i risultati hanno iniziato a sottolinearlo.

 

Sergej Milinkovic-Savic ha intrapreso la strada per l’ulteriore passaggio di status: quello da gran calciatore a ottimo calciatore. C’è forse mica posto per lui nel reparto “campioni”, ma si deve mica crucciare. È un bel peso essere campioni e non ci sono ombre sotto le quali trovare refrigerio.

   


     

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia, nella seconda di Emil Audero, nella terza di Boulaye Dia, nella quarta di Tommaso Baldanzi, nella quinta di Marko Arnautovic, nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto, nella settima di Christian Gytkjær, nell'ottava Armand Laurienté