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Olive #2

Essenzialmente Emil Audero

Giovanni Battistuzzi

Il numero uno della Sampdoria è un portiere di quelli precisi, essenziali, che quasi non fanno vedere quanta bravura ci vuole a fare certe parate. E i tifosi della Samp sperano continui a non darlo a vedere, perché ci sono squadre più ricche e più d'alta classifica che non hanno portieri così validi

A sapere di avere una responsabilità maggiore, perché alle proprie spalle c'è nessuno e quindi se la palla supera la linea, la colpa, in un modo o nell'altro – spesso inconsapevolmente –, la si fa ricadere sempre su di loro, i portieri, spesso ci si crea una corazza fatta di parole ed autoesaltazione. Ci si deve pur proteggere, no?, da spalti pronti a ululare cattiveria. Perché a volte non basta saper usare le mani per convincere il pubblico, specialmente quello che tiene per la squadra nella quale si gioca, che si è un bravo numero uno. A volte serve sottolinearlo, renderlo evidente, o meglio ridondante, serve autoincensarsi, autocompiacersi, dare alla gente quello che vuole la gente, cioè nessun gol subito e spettacolo. Lo diceva anche Peter Shilton, uno dei portieri più forti della storia del calcio inglese (e forse non solo del calcio inglese) che “le parole e l'atteggiamento spesso contano quanto le parate”, almeno “per fare carriera”, per arrivare il più in alto possibile nella classifica della considerazione di tifosi e addetti ai lavori.

Meglio di Shilton, tutto questo l'aveva sintetizzato Ottavio Bugatti, raffinato numero uno del Napoli tra gli anni Cinquanta e i Sessanta: “Ai portieri tocca essere un po' paraculo, perché altrimenti prevale soltanto quando fai la figura del pirla e a fare la figura del pirla prima o poi capita a tutti”.

Va sempre a finire così ai portieri. Prevale il ricordo degli errori a quello delle grandi parate. È crudele con i portieri il mondo del calcio. E tocca saperci fare a volte. Saperci fare però è cosa da istrioni. Ci riescono mica tutti. Tanti neppure ci pensano a questo, tra loro anche parecchi portieri, anche tra quelli bravi.

 

Emil Audero ha riassunto così, con estrema onestà e sintesi, la sua parata sul tiro di Filip Kostic che ha garantito alla Sampdoria il pareggio contro la Juventus per 0-0: “Per fortuna la conclusione non era angolatissima”. Poche parole che non sono soltanto la descrizione di quanto accaduto in campo, ma, e forse soprattutto, la fotografia di un portiere e di un uomo.

 

 

Poteva se non mentire, quanto meno gonfiare un po' il racconto, c'è nulla di male a farlo, viviamo in una società che spesso gonfia un po' il racconto per renderlo più accattivante. Poteva dire che effettivamente era difficile, parecchio difficile, che è stato un gran intervento, cose così. Non ha detto niente di tutto questo, solo un “è stata una parata che si prova spesso, ma per fortuna la conclusione non era angolatissima”. Questo e nient'altro perché questo e nient'altro era quella parata, almeno per lui, almeno per uno come lui che solo è portiere essenziale e forse è così perché è persona essenziale, che bada al sodo e gli interessano poco orpelli e applausi.

“Cogli l'essenza, non farti distrarre dal resto”, c'è scritto nel tempio hindu di Pura Meru a Mataram, isola di Lombok, Indonesia. Emil Audero è nato lì, a Mataram, è arrivato a Cumiana, nel torinese, il paese di sua madre, che aveva un anno. Iniziò a fare il portiere presto, altrettanto presto è entrato nelle giovanili della Juventus. Fu Michelangelo Rampulla a portarlo in bianconero. Era forte Michelangelo Rampulla, un gran portiere, uno di quelli precisi, essenziali, che quasi non fanno vedere quanta bravura ci vuole a fare certe parate. Uno capace e affidabile, ma a difendere la porta della Juventus c'era Angelo Peruzzi, uno dei più forti all'epoca, e poi arrivò Edwin van der Sar e infine Gianluigi Buffon, e Rampulla ha finito per essere sempre il numero 12.

 

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Anche Emil Audero è un portiere di quelli precisi, essenziali, che quasi non fanno vedere quanta bravura ci vuole a fare certe parate. Anche lui poteva rimanere a Torino ed essere un ottimo numero 12. È finito però altrove, prima a Venezia in prestito, poi alla Sampdoria, sempre in prestito, ma con diritto di riscatto per la Samp (e controriscatto per la Juve), e lì è rimasto. È rimasto perché a Genova hanno subito capito che era un affare tenerlo, perché certi portieri è meglio averli in squadra che contro, anche se non è uno che esalta gli spalti, che allo spettacolo preferisce la sostanza.

Emil Audero parla poco, para tanto e non lo fa mai troppo a vedere. E anche quando para un rigore al Genoa, nel derby della Lanterna, un rigore che riesce contemporaneamente a salvare la Samp e condannare alla Serie B il Genoa, lo fa sembrare una cosa normalissima. E dopo quel rigore parato trova il tempo di rincuorare l'avversario, l'arci-avversario anzi, visto che Domenico Criscito era il capitano di quel Genoa: “A prescindere dai colori capisco perfettamente cosa prova. In questi attimi io o te. Lo capisco”. Prima ancora di dire che quella “è la parata più emozionante della mia carriera. Neanche nei sogni lo avrei immaginato. Le lacrime sono scese spontanee, è un sogno”.

   

   

Emil Audero non è stato a sentire Peter Shilton. E i tifosi della Sampdoria sperano che continui così, a far spallucce a quello che ha disse l'inglese. Perché ci sono squadre più ricche e più d'alta classifica che non hanno portieri così validi. Ma forse non se ne sono ancora accorti.

  


 

La prima puntata di Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A la potete leggere qui 

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