olive #18
L'errore storico di M'Bala Nzola
C'è qualcosa di antico, di démodé che sopravvive nell'attaccante dello Spezia. Qualcosa che non ha a che fare con il numero di gol fatti ma con la capacità di saper occupare gli spazi, difendere il pallone, pensare alla squadra più che al tornaconto personale
C'era un tempo nel quale esisteva una categoria di attaccanti ai quali non era richiesto il gol, o meglio ciò che contava nel giudizio che si dava nei loro confronti non era tanto il numero di reti fatte in un anno, quanto la quantità di spazi occupati e sottratti ai difensori. Corpi capaci di essere presenza, un perfetto diversivo che facilita il compito dei compagni. Era un tempo, quello, nel quale si segnava meno e le partite finivano, spesso, poco a poco. Erano questi giocatori buoni, ottimi, per squadre che avevano l'obbiettivo di raggiungere il più presto possibile i punti necessari per la salvezza o per quelle che ambivano a restare appese il più possibile al sogno di un approdo alla Coppa Uefa. Erano i Walter Speggiorin e i Domenico Penzo, i Nicola Zanone e i Paolo Monelli, gente capace di segnare, ma soprattutto abile a creare i presupposti per i gol altrui. Fosse nato allora, tra la metà degli anni Settanta e la metà degli Ottanta, M'Bala Nzola sarebbe stato uno di loro, uno di quelli che tante squadre di Serie A si sarebbero contesi, e ci avrebbero fatto un pensiero pure squadre più blasonate, di quelle che alla Coppa Uefa ci pensavano davvero.
Quello che contava allora conta ancora, anche se a questo danno meno peso, anche se ora un attaccante lo si giudica soprattutto per i gol e l'occupazione di suolo calcistico è abilità non più tenuta in grande considerazione.
Il calcio s'è fatto ingarbugliato, cerebrale, a tratti celebrativo, a volte autocelebrativo. Si ragiona su ciò che non c'è o non si vede, sullo spazio occupabile, che va aperto, guadagnato, spesso sedotto e abbandonato per riaprirne un altro e via così fino al gol.
Mica tutti però, perché qualcosa di antico ancora sopravvive, tipo a La Spezia, tipo M'Bala Nzola. L'attaccante angolano nato a Troyes, Francia, è un errore storico, una sopravvivenza di un'Italia che non c'è più, di un calcio che non c'è più. Eppure è ancora presente, uno spazio occupato in area di rigore. Talmente occupato da diventare se non invisibile, parecchio trascurato. Eppure c'è, è lì che sgomita e lotta per resistere, per continuare a esistere, in un corpo alto ma non troppo, un metro e ottantacinque ormai è altezza comune, mobile ma non troppo, veloce ma non troppo.
Bravo ma non troppo. A vederlo giocare, a inizio carriera, in tanti hanno pensato questo di M'Bala Nzola. Lo hanno pensato al Espérance Sportive Troyes Aube Champagne, al Crystal Palace, alla Cremonese, all'Associação Académica de Coimbra, al Perugia, lì dove l'angolano è passato, visto, valutato, lasciato andare. Bravo ma non troppo. Perché si cercava altro. Perché un attaccante che aveva uno scatto non eccezionale, un tiro non eccezionale, un colpo di testa non eccezionale, una visione di gioco non eccezionale, un senso del gol non eccezionale e che per di più utilizzava solo il piede sinistro non era abbastanza. Non per loro almeno, non per giocare a quei livelli. Saper occupare gli spazi e saper difendere il pallone, pensare alla squadra più che al tornaconto personale per una prima punta che dovrebbe invece avere a cuore il tornaconto personale, i gol, erano qualità da calcio démodé: non erano più qualità ricercate.
Un'occasione gliela diede nel 2016 la Virtus Francavilla, Serie C: andò bene. Poi il Carpi, Serie B: non andò bene. Il Trapani lo riportò in C, lui contribuì alla promozione: più lavoro sporco che gol, ma che lavoro sporco. Allo Spezia arrivò nel gennaio del 2020, in B. Il gioco moderno di Vincenzo Italiano, ora alla Fiorentina, aveva bisogno dell'antica arte di prendere calci, giocare di spalle, di usare la schiena, proteggere il pallone e, soprattutto, prendersi cura degli altri, fare del sacrificio per il bene della squadra la propria dote eccezionale. Lo Spezia conquistò la promozione ai playoff. L'anno dopo la salvezza.
È il terzo anno che M'Bala Nzola gioca in Serie A: undici gol il primo anno, due il secondo. In estate i più si sono chiesti perché lo Spezia non cercasse un centravanti. Come poteva solo pensare la squadra ligure di pensare alla salvezza con un giocatore che l'anno prima aveva segnato due gol? Probabilmente se lo sarebbe chiesto pure Thiago Motta, ma lui ha modi da esteta. Luca Gotti non se l'è chiesto, perché è uno che bada al solido, che sa benissimo che non è solo dal numero di gol fatti che si giudica un attaccante, e nemmeno dagli assist, ma da ciò che sa dare alla squadra. M'Bala Nzola ha continuato a essere, come ha sempre fatto, la spalla a cui ci si può appoggiare, il giocatore da cercare quando non si sa che fare con il pallone. Luca Gotti gli ha dato più spazio, gli ha messo attorno i giocatori giusti, gente con i piedi più raffinati di lui, più veloci di lui, lui c'ha messo il resto. Che è un sacco di palloni difesi, un sacco di calci presi. E (sinora) nove gol, che non fanno mai male.
Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma), nella tredicesima Stefano Sensi (Monza), nella quattordicesima Federico Baschirotto (Lecce), nella quindicesima Moise Kean (Juventus), nella diciasettesima Rasmus Hojlund (Atalanta).
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