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il foglio sportivo

Quanto è bello il calcio all'Italiano

Roberto Perrone

Il tecnico della Viola che fa sognare Firenze è un mix tra Zeman e Conte. E quando giocava sembrava Pirlo

Vincenzo Italiano, che compirà 44 anni il 10 dicembre, assomiglia a molti allenatori ma non a uno in particolare, per cui possiamo affermare che Italiano è Italiano. A maggior ragione, visto che questo geometra mancato è l'uomo del momento: la sua Fiorentina ha costretto il Milan alla prima sconfitta e si è infilata, indesiderata, insalutata (dalle medesime), ma meritata ospite, tra le cosiddette "Sette Sorelle". Niente male per una seconda scelta, il lavoro dell'ex ragazzo cresciuto sulla pietra dura di Ribera, Agrigento, ma nato, di passaggio, a Karlsruhe, dove mamma e papà erano andati a trovare i genitori. Alla sua terra, ai suoi parenti, ai suoi amici, a quei colori, sapori e profumi che esistono solo in Sicilia è rimasto legato e ritorna appena può, per respirarli in una sorta di ricarica ambientale.

Dalla retrocessione con la Vigontina (Vigonza, Padova), Italiano ha sempre migliorato. La Fiorentina, dopo la parentesi turbolenta con Gennaro Gattuso, lo ha strappato allo Spezia approfittando della clausola rescissoria. Ma non è stato facile. Si è trattato, e la Viola ha pagato. Pure per lo staff è stata necessaria una contropartita. In giocatori. Italiano come Giovanni Trapattoni, ripreso (1991) dalla Juventus in cambio di Dino Baggio all'Inter. La vita dell'allenatore è un giro di giostra. Italiano è transitato da "aquilotto per sempre" a detestato speciale dagli spezzini. Aveva rivelato il suo amore per il pesto. Avrà virato sul lampredotto?  

 

Italiano viene dalla gavetta. Il paradosso è che si è “laureato” al  Supercorso lo stesso giorno di Andrea Pirlo, a cui hanno affidato la panchina della Juventus nove volte campione d'Italia, senza che una panchina l'avesse mai vista, nemmeno da giocatore. Invece Italiano, che si accingeva a disputare con lo Spezia il suo primo campionato di Serie A, aveva già ottenuto tre promozioni ai playoff, passando, in cinque anni dall'Eccellenza al massimo campionato italiano. Da giocatore, poi, come dice Alberto Malesani che l’ha avuto nel Verona, “aveva le stesse caratteristiche di Pirlo, un Pirlo meno potente”. Per il resto, stesso ruolo: “Un centrocampista centrale che faceva girare la squadra, un ragazzo molto bravo e con spiccate doti tattiche già da giocatore”. E ora lo vede molto bene alla Fiorentina, dove anche Malesani divenne popolarissimo (che incroci, il football): “Sono contento per lui, la squadra ha le idee chiare; ha riproposto il suo sistema collaudato che punta al risultato attraverso il gioco”. Secondo Beppe Bergomi, il più lucido tra i nostri commentatori televisivi, questa, però, non è un’ossessione. “Per esempio alterna la costruzione dal basso al rinvio lungo ma il dato più interessante è che fa il fuorigioco più di tutti, in questo momento in Serie A. Da tanto che non lo vedevo così”. Zdenek Zeman, in effetti, lo ha nominato suo erede. Ma Italiano non è solo questo. L’analisi di Bergomi: “La squadra pressa alta, rischiando qualcosa. Molto importante il lavoro delle mezze ali che si buttano dentro. E  non ha un undici di base, ruota spesso, non si fa problemi a cambiare. L’altro aspetto interessante è che la Fiorentina non è molto cambiata, a parte qualche inserimento. Ricordo che gli allenatori che l’hanno preceduto sostenevano che con questa squadra non si potesse fare di più. Lui è un martello con i giocatori, sta attento a tutto, non molla nulla. Assomiglia a Conte”.

 

Nella sua tesi di 80 pagine (con molte foto, ma a corredo delle idee; quelle di più blasonati colleghi si fermavano a 12/15) al Supercorso per allenatori, questo allenatore iellato da giocatore – una carriera girovaga zavorrata da un grave infortunio al ginocchio –, ha definito il pallone “sua maestà” e chiarito molto bene la differenza tra calciatore e allenatore: il secondo si porta sempre il lavoro a casa, la famosa panchina in salotto di Conte. “Un tecnico non stacca mai la spina, pensa alla sua squadra 24 ore al giorno”. La signora Raffaella, conosciuta a 18 anni, con due figli maschi, Cristian e Riccardo, è circondata dai crazy for football. Ma si è attrezzata diventando “un’intenditrice che mi dà ottimi consigli nel valutare comportamenti e situazioni” ha rivelato Italiano in un’intervista a Paolo Tomaselli (Corriere della Sera).

Rispetto a Conte, Italiano è meno ossessionato dalla (mancanza di) capigliatura, ma per il resto è simile: non delega, non ha intermediari, si muove in prima persona. Gli piace entrare nella testa dei giocatori. Da come si muove la Fiorentina sembra esserci riuscito. Il suo mantra è “tutti registi”, cioè tutti devono partecipare al gioco, non solo i centrocampisti. Per chiarire il concetto, ginocchio malandato permettendo, talvolta si butta nella mischia durante l’allenamento. Tre parole: empatia, passione, coinvolgimento che, in partita, diventano organizzazione, identità, coraggio.

 

Il carattere l’ha forgiato sui campetti in cemento dove chi perdeva usciva, così che la paura di dover mollare accresceva l'odio per la sconfitta. “Un modo per forgiare il carattere e crescere in fretta” lo ha definito. Durante il lockdown ha studiato calcio leggendo biografie e saggi di grandi giocatori e allenatori. Della sua infanzia, dei suoi sogni di bambino, ha mantenuto una password buona per ogni stagione dell'esistenza: “Nessun limite, solo orizzonti”. Sostiene di non aver dimenticato da dove è partito, di non essere cambiato, di non avere il sentimento dell’arrivato. Però ha dei gradini da salire. Il prossimo: “Non ho mai giocato le Coppe da calciatore, mi piacerebbe farle da allenatore”. La strada è questa. 

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