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Olive #13

La dannata paura di Stefano Sensi

Giovanni Battistuzzi

Il centrocampista del Monza si è rotto un perone nella partita contro l'Hellas Verona. L'ennesimo infortunio in carriera. La tregua tra lui e l'infermeria era durata sei mesi

C’è qualcosa di sbagliato nelle urla e nelle lacrime di Stefano Sensi mentre si accasciava al suolo e poi usciva dal campo di gioco dello stadio Brianteo, ora per necessità di sponsor U-Power Stadium. E c’è qualcosa di sbagliato non perché un infortunio non debba, possa, capitare, ma perché era dalla stagione 2018/2019 che il centrocampista del Monza aspettava un inizio di stagione del genere, libero dall’angoscia dei problemi fisici. È durata sei mesi la tregua tra Sensi e l’infermeria, poi lei si è ripresentata a bussare alla porta e lui le ha aperto e l’ha fatta accomodare per accomodarsi su di lei.

 

Frattura del perone, dice la cartella clinica. Almeno due mesi di stop, dice la prassi. Ci si rivede a gennaio, forse a febbraio, dice il buon senso. Fortuna ha voluto (per Stefano Sensi) che questa volta ci fosse un Mondiale di mezzo, e senza l’Italia, e quindi la convalescenza sarà quasi senza patemi di squadra. Lui fuori, i compagni a casa, o a vedere partite altrui. Magra consolazione in ogni caso. Perché un altro stop si è sommato agli altri e per quel ragazzo ora uomo che sognava i grandi stadi e le prestigiose coppe e che per un periodo, e nemmeno troppo veloce, s’era convinto che quei grandi stadi e quelle prestigiose coppe potessero essere davvero la sua dimensione, tutto ciò sembra scomparso. D’altra parte 286 giorni e 51 partite perse per infortunio dall’estate del 2019 a oggi, sono un prezzo che nessun calciatore, nemmeno il più talentuoso, può permettersi. Questi giorni e queste partite devono essere poco meno che raddoppiati, perché gli infortuni lasciano strascichi e la forma non arriva, non può arrivare, immediatamente.

 

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Nel 2019 Stefano Sensi poteva prendersi l’Inter e la Nazionale, aveva le capacità e le possibilità per farlo. È andata in maniera diversa. Con l’Inter ha giocato cinquantadue partite in due stagioni e mezzo, con l’Italia sette (aveva giocato due partite quando era ancora un giocatore del Sassuolo). Ora gioca al Monza, che sarà pure ben costruita, ambiziosa e berlusconiana, ma non è l’Inter, è una neopromossa e la Champions League la sognerà per diversi anni (se andrà bene) se non per sempre.

 

Nel 2016 Eusebio Di Francesco, l’allenatore del Sassuolo che lo aveva fatto esordire in Serie A, aveva definito Stefano Sensi come “un ragazzo sereno, un ragazzo che sa benissimo qual è il suo valore e non ha nessun problema a prendersi quelle responsabilità che potrebbero non competere a un ventunenne”.

 

Quella serenità di allora è sparita, è evaporata una botta dopo l’altra, un problema dopo l’altro. S’è trasformata in paura, una paura dannata che tutto possa evaporare definitivamente, che la sua carriera e il suo futuro, ormai rosicchiato dagli anni, possa trasformarsi definitivamente nella sua più bella cosa mai successa.

 

Stefano Sensi si ritroverà di nuovo lontano dal pallone, ai margini di un campo da gioco che già non è più quello dei grandi stadi nei quali sognava di giocare, ma è comunque uno stadio di Serie A. La scalogna questa volta è stata magnanima, gli ha concesso di riprendersi durante mesi che l’Italia aveva già deciso di sprecare boicottando a suo modo un Mondiale che tanti vorrebbero boicottare, ma mica davvero. Si ritroverà lì non capendo se è davvero sfortuna o necessità, se è colpa di chissà che cosa o solo colpa sua, di un fisico più da scalatore che da centrocampista, di muscoli e ossa non fatti per il calcio.

  

È meglio evitare a volte le domande. È meglio lasciare tutto com’è, come viene e lasciare il pallone scorrere e toccarlo il meno possibile, che tanto basta un colpo soltanto, che a volte non serve neppure dribblare, ma aspettare il momento giusto, toccarla di punta e depositare il pallone in fondo alla rete.

 


   

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma).

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