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Il calcio di Stefano Sensi e il rischio di invecchiare senza accorgersene

Enrico Veronese

Il centrocampista dell'Inter sta per ritornare in campo dopo una sequela di infortuni. Tutto lo scibile della fragilità lo ha attraversato, e ogni stop è solo un altro start per riprendere la preparazione da zero, con sempre minor fiducia

Quando era ancora una promessa nel Cesena, Stefano Sensi aveva scelto vezzosamente il 5 quale numero di maglia, come Gatti il 44 o Nani il 7. Fosse stato più avveduto, il giovane urbinate avrebbe optato per il 6, come a dire il sesto senso per gli infortuni che di lì a poco lo avrebbero tormentato in serie, al punto da non dirsi mai ristabilito del tutto alla piena efficienza sportiva. Indurimento del bicipite femorale, affaticamento muscolare, lesione al polpaccio, noie agli adduttori, fino all’ultima distrazione al legamento collaterale mediale del ginocchio destro: in cinque anni, tutto lo scibile della fragilità lo ha attraversato, e ogni stop è solo un altro start per riprendere la preparazione da zero, con sempre minor fiducia.

Adesso, ma non si può mai dire, il 26enne centrocampista dal talento fulgido e dalla versatilità ancora inesplorata sta per riaffacciarsi all’agonismo, dopo un mese di riabilitazione: ma è per primo il suo tecnico, Simone Inzaghi, ad andarci con i piedi di piombo e pensarci mille volte prima di riconsegnarlo al gioco, previa convocazione “ambientale”. Almeno nel suo caso, le remore psicologiche a forzare non vengono associate a svogliatezza cronica o - in tempi di Vidal fiammeggianti la nuit - a poca cura della vita da atleta: certo, Antonio Conte (che lo vedeva mezzala e arma tattica per sconvolgere le riprese) stigmatizzava il senso di Stefano per il videogioco Fortnite, in grado a quanto pare di deconcentrarlo e di assorbirlo. E visto che le squadre di Serie A investono sempre di più nei cosiddetto e-sport, l’idea di mantenerlo a libro paga come smanettone può aver attraversato gli uomini-società dell’Inter. Ma in questa situazione è difficile non sospettare che i muscoli e i legamenti del ragazzo saranno sempre la prima causa di titubanza per chi si trova a doverlo gestire: chi si scotta con l’acqua calda ha paura anche di quella fredda, vale per il mister, per chi vorrebbe servirsene nel mercato (la Fiorentina è rimasta giustamente titubante quando se ne prospettava l’acquisto), per le casse sociali, il tifoso scettico, il fantallenatore appeso a prestazioni senza voto.

 

Eppure il nuovo Xavi del Manuzzi, diventato box-to-box a Sassuolo, interno e quindi nuovo Iniesta a San Siro, speranza sbriciolata per la Nazionale di Mancini che ci ha creduto fino all’ultimo, alla faccia della continua indisponibilità sta per rappresentare un’altra delle scommesse di Simone Inzaghi, ovvero schierare il suo baricentro brevilineo più vicino alla porta, da trequartista atipico con la palla incollata al piede: come se fosse il ruolo il problema, e non lo strapparsi spesso da solo.

Infortuni lontani dai crac dolenti che restano nell’immaginario (uno su tutti, Ronaldo il Fenomeno nella finale di Coppa Italia 2000), quanto più spesso piccolezze precauzionali da allenamento, lontane dalle telecamere, che dovrebbero risolversi in pochi giorni: ma poi le ore aumentano, diventando senza una data fino alla ripresa individuale, al ritorno in gruppo e alle ricadute per forzare i tempi.

 

Chissà cosa avrebbe potuto essere Sensi per l’Inter e per il calcio italiano, pur durante una fioritura come quella recente e premiata; ma allo stato attuale ciò che più conta è recuperare allo sport un giovane di 26 anni, vessato - pare - da una difformità del bacino con ripercussioni sulla corsa, e il cui principale nemico è lo scoramento da ennesima ribattuta, passibile di trasformarsi in rovello mentale e loop senza fondo.

Perché altri campioni si sono visti franare addosso il mondo, alla stessa maniera: Javier Pastore, ora all’Elche, per anni a Trigoria manco metteva piede, ombra del miracoloso trequartista di Palermo e dell’elegante anguilla al Saint Germain. Né a Milanello riusciva ad allenarsi Fernando Redondo, manuale del calcio ma di carta velina; per non dire di Alexandre Pato, folgorante all’esordio diciottenne quanto bersagliato nel prosieguo. E il più sfortunato di tutti, “Pepito” Rossi capace di salvare da solo il Parma e di far sognare una Nazionale più povera di questa presente. Domenica, pare, il campionato riabbraccerà anche Manolo Gabbiadini, pure habitué delle fisioterapie: un altro che ne avrebbe da raccontare, tra il volerci provare ancora e il rischio di invecchiare senza accorgersene.

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