La guerra per il vaccino
Nella lotta tra potenze, è tempo che anche i ricercatori si chiedano chi beneficerà del loro lavoro
Supponiamo che un vaccino sia pronto per essere iniettato in centinaia di milioni di dosi. Quando saremo a questo punto, chi avrà accesso alla profilassi per il Covid-19? Chi, cioè, troverà le siringhe pronte per l’iniezione, e potrà gettarsi alle spalle la paura del virus? Sembrerà strano, ma anche fra i miei colleghi ricercatori, per una volta, non si discute solo di scienza e provette, ma di argomenti che solitamente sono lontani dai nostri orizzonti cognitivi. Per capire di cosa stiamo parlando, basta ricordare le dichiarazioni di qualche giorno fa di Hudson, il ceo della Sanofi – la terza azienda al mondo per capacità produttiva quando si parla di vaccini. In un’intervista concessa a Bloomberg News, Hudson ha detto che “il governo degli Stati Uniti ha il diritto al maggiore preordine perché ha investito assumendosi i rischi”, con riferimento all’accordo raggiunto tra l’Amministrazione Trump e la Sanofi. Amministrazione alla quale il ceo attribuisce la aspettativa e il diritto di avere accesso prioritario al vaccino. Il presidente francese Emmanuel Macron, proprio a causa di queste dichiarazioni, ha immediatamente richiesto un incontro chiarificatore con il ceo Hudson, valendosi dei forti legami tra Francia e Sanofi. Ovviamente, Hudson ha in parte riveduto e precisato le sue dichiarazioni, ma, ormai, “voce dal sen fuggita più richiamar non vale”. Né la Sanofi è l’unica azienda con la quale l’Amministrazione americana ha fatto accordi di natura economica: la Moderna, l’azienda che per prima è arrivata a dimostrare (anche se su scala piccolissima) l’induzione di anticorpi protettivi in soggetti umani, ha uno stretto legame con Nih e ha ricevuto un investimento di 450 milioni di dollari.
Dall’altra parte del mondo, la Sinovac, azienda cinese in fase 2 con il suo vaccino sperimentale (e dunque vicina alla verifica dell’efficacia), lavora con i militari e certamente è nei pensieri del presidente cinese Xi Jinping, il quale ha assicurato che “il vaccino che sta sviluppando la Cina contro il Covid-19 sarà a disposizione di tutti”; una mossa di propaganda che ovviamente contrasta in maniera efficace le dichiarazioni degli Stati Uniti.
A questo punto, è evidentemente importante non solo come si giungerà ad avere un vaccino efficace, ma anche chi lo otterrà e quando; e gli attori di questo processo non sono solo i ricercatori o le aziende farmaceutiche, ma anche le maggiori forze geopolitiche globali, in uno scenario che richiama in qualche modo alla mente la lotta tra Washington e Mosca per il predominio nella ricerca spaziale.
Come ricercatori, io credo che dovremmo di tanto in tanto interrogarci su chi ed a che scopo, in ultima analisi, beneficerà di ciò che facciamo in laboratorio o al calcolatore; e questo per aderire a dichiarazioni come quelle impresse nell’atto fondativo dell’Oms, laddove si dice che “il godimento delle migliori condizioni di salute fisica e mentale è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, opinione politica, condizione economica o sociale”. Il che, come recentemente ribadito dalla stessa organizzazione (fact sheet n.31, “The right to health”), include per tutti ed in modo equo “il diritto alla prevenzione, al trattamento e al controllo delle malattie”.