(foto LaPresse)

Imparare dagli altri

Enrico Bucci

Per capire come comportarsi in caso di una seconda ondata di Covid basta guardare alla Corea

Come potrebbe presentarsi la “seconda ondata” del virus, semmai ve ne fosse una? Al solito, conviene guardare ad altri paesi, cercando questa volta di imparare la lezione, invece di girare lo sguardo dall’altra parte – come finora, senza eccezioni, ogni paese in cui è arrivato il virus ha fatto nei confronti dei suoi predecessori.

 

Guardiamo quindi alla Corea del sud, che è stata presa a modello per la sua strategia di contenimento del virus – basata sull’ormai celebre tracciamento estensivo a partire dai casi di infezione riscontrati. In quel paese attualmente la preoccupazione è più alta perché, nonostante il successo ottenuto nella prima fase dell’epidemia, si sta assistendo ora a un ritorno del virus, che si manifesta sotto forma di diversi focolai indipendenti. Giovedì, sono stati registrati 79 nuovi casi – il numero più alto dal 5 aprile, quando se ne registrarono 81. Un focolaio, comprendente 69 casi, è stato identificato in un’azienda di commercio elettronico, il che ha causato l’autoisolamento di circa 4.100 persone e il test mediante tampone di tutti (attualmente si è a circa l’80 per cento dei test, ha fatto sapere il ministro della Salute). Questo focolaio è indipendente da quello che si è propagato nei locali notturni di Seul e da altri più piccoli focolai non collegati ritrovati nel paese. Dunque, nella Corea post-lockdown, con chiese riaperte, locali pubblici e scuole funzionanti, la guardia è stata mantenuta alta, e il tracciamento rapido dei contatti dei nuovi casi ha permesso l’isolamento dei nuovi focolai nel frattempo emersi. Questi fatti ci inducono a diverse considerazioni. Innanzitutto, anche nei paesi che hanno contenuto al meglio la prima ondata pandemica, il virus non è sparito e alla riapertura riprende a manifestarsi a macchia di leopardo e, per ora, in proporzioni relativamente piccole.

 

Se si guarda alla catena di contagio, ci si rende anche conto che, almeno per questi focolai coreani, R0 è ancora alto, e quindi, rilassato il distanziamento e le altre misure di contenimento, Rt cresce rapidamente. In secondo luogo, vediamo alla prova nuovamente la stessa sorveglianza epidemiologica messa in atto durante la prima ondata e utilizzata con successo da noi a Vò Euganeo: la sua utilità è palese, perché i focolai come quello propagato nei locali notturni di Seul risultano bloccati. Ancora non sappiamo se sarà sufficiente per evitare una seconda ondata di grandi proporzioni, ma certo la prima fase dell’epidemia ha mostrato che tale politica di tracciamento porta i suoi risultati – e ricordo che in Italia, come non mi stancherò mai di ripetere, ci basiamo invece su dati incompleti e obsoleti. Chi spera, con ottimismo, che una seconda ondata non ci sarà, fa benissimo; chi invece promette con certezza che non arriverà mai, farebbe bene a ricordarsi di quelli che dicevano che il virus sarebbe rimasto in Cina – a meno che non sia, egli stesso, proprio uno di quegli spavaldi dispensatori di sicurezza che tanto danno hanno già fatto. Manteniamo una vigile serenità, e guardiamo all’esempio degli altri.