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La seconda ondata di Covid-19 arriva in Iran e Israele (con il caldo)

Beatrice Guarrera

I contagi sono aumentati con la fine delle misure restrittive

Gerusalemme. Era una paura diffusa che con la fine del lockdown sarebbero tornati ad aumentare i casi di Covid-19. A poco tempo dall’allentamento delle restrizioni, i dati di due paesi sembrano confermare questi timori: Iran e Israele. Il 3 giugno è stato infatti il terzo giorno consecutivo in cui l’Iran ha registrato un’impennata di tremila nuovi contagi da Covid-19 (3.134 nuovi pazienti con un aumento di diciassette unità rispetto al giorno precedente e settanta nuovi morti), portando a 160.696 il numero totale di contagiati in tutto il paese. Lo ha comunicato ieri in conferenza stampa il portavoce del ministero della Sanità iraniano Kianouche Jahanpour. Una nuova accelerazione nei casi accertati era iniziata già dal 2 maggio e la tendenza al rialzo non sembra arrestarsi. Secondo i dati ufficiali, che gli esperti sostengono possano essere sottostimati, sono 8.012 i decessi per Covid-19 in Iran dall’inizio della pandemia, i cui primi casi sono stati registrati a febbraio. Ad oggi 2.557 pazienti sono ancora in gravi condizioni, mentre coloro che risultano completamente ripresi dalla malattia sono 125.206.

   

L’impennata di contagi di Covid-19 registrati negli ultimi giorni in Iran sarebbe da attribuire al mancato rispetto della norme di distanziamento sociale, come ha affermato in un’intervista televisiva il ministro della Salute iraniano Saeed Namaki. “La gente sembra pensare che il Coronavirus sia finito e anche alcuni funzionari credono che tutto sia tornato alla normalità – ha dichiarato Saeed Namaki – il Coronavirus non soltanto è ben lontano dall’essere finito, ma potremmo vedere un nuovo picco pericoloso”. Il ministro della Salute iraniano ha spiegato anche di aver supplicato le persone di non partecipare a matrimoni o funerali, ma di non essere stato ascoltato, soprattutto nella provincia del Khuzestan. Proprio quella provincia, dove sono state allentate da poco le restrizioni, è oggi “zona rossa”, mentre risultano “in stato di allerta” le province di Hormozgan, Azerbaijan orientale e occidentale, Kurdistan, Kermanshah, Bushehr, Sistan e Baluchistan, Qazvin e Razavi Khorasan.

  

In Israele l’impennata di contagi è arrivata invece con la riaperture delle scuole. Martedì sono state rilevate nuove infezioni da Covid-19 nelle scuole di Beersheba, Rahat, Ashdod, Ma’aleh Adumim e Holon. La maggior parte dei casi proviene però da una scuola: la Gymnasia Rehavia a Gerusalemme. L’istituto scolastico, a due passi dalla casa del primo ministro Benjamin Netanyau, è il centro del focolaio che ha fatto registrare oltre 100 nuovi casi di Covid-19, l’accelerata più intensa delle ultime settimane nel paese. Tutti gli studenti e gli insegnanti della Gymnasia di Gerusalemme sono entrati in quarantena, assieme a quelli di altri istituti scolastici. Secondo quanto annunciato dal ministero dell’Educazione israeliano, soltanto ieri sono entrate in quarantena altre duemila persone, portando a 6.831 il numero totale. Sono quarantrè le scuole già chiuse in tutta Israele, a causa dei 255 contagi accertati, e da oggi qualsiasi istituto nel quale saranno trovati nuovi infetti sarà immediatamente chiuso. Lo annunciato ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu, a seguito di un incontro con i funzionari dei ministeri dell’Educazione e della Sanità e con il capo del Consiglio di sicurezza nazionale.

Nelle prossime ore ci si aspetta la chiusura di altre 18 scuole nella città beduina di Hura (nel sud, vicino a Beer Sheva), dove sono stati trovati nuovi contagi di Covid-19. I casi registrati in Israele, soprattutto in zone come quella di Hura, situata nel deserto del Negev, sembrano scoraggiare le speranze di coloro che credevano in una minore resistenza del virus alle alte temperature. Al 3 giugno Israele ha raggiunto 17. 342 contagi, con un aumento di cinquantasette casi dal giorno precedente.

 

Il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha emesso ieri un decreto che proroga lo stato di emergenza per altri trenta giorni a partire dal 4 giugno. Soltanto la scorsa settimana i Territori palestinesi avevano riaperto, ma il crescente pericolo di trovarsi di fronte a un’altra ondata di infezioni sembra frenare il ritorno alla normalità. Sebbene Mai al Kaila, ministra della Salute palestinese, abbia annunciato che non sono stati rilevati nuovi casi di coronavirus in Cisgiordania nelle ultime 24 ore, la situazione continua a preoccupare. In Cisgiordania e Gerusalemme Est sono 554 coloro che sono risultati positivi, mentre due sarebbero i deceduti, secondo i dati ufficiali. Nella Striscia di Gaza i casi registrati sono stati sessantuno e c’è stato un solo decesso.

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