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Più tasse o più sussidi ambientalmente dannosi? Indizi sul nuovo decreto Costa

Luciano Capone

Il ministro scopre che la svolta green del governo è senza coperture. Il paradosso è che dopo i fuochi d’artificio della prima bozza del decreto clima, anziché eliminare i Sad, il governo rischia di farli aumentare

Roma. Facile parlare di Sussidi ambientalmente dannosi (Sad). Il ministro dell’Ambiente Costa, nella prima versione abbozzata del “decreto Clima”, aveva annunciato una loro progressiva eliminazione a colpi di tagli annui del 10 per cento. I Sad valgono in totale 19 miliardi, secondo come sono stati calcolati dal Catalogo dei sussidi ambientali realizzato dal ministero dell’Ambiente, e l’ipotesi iniziale era quindi di tagliare circa 2 miliardi all’anno. Questa ipotesi è tramontata, quando Costa ha scoperto che il suo decreto non aveva coperture e ora, in coordinamento con il Mef, si sta lavorando di cesello su una revisione molto più contenuta. Per due ordini di problemi. Il primo è di tipo politico, nel senso che se in tutti questi anni di caccia alle risorse nessuno le ha recuperate tagliando i Sad, un motivo ci deve essere. E il motivo è che rimuovere queste agevolazioni vorrebbe dire essenzialmente aumentare le tasse: accise sui carburanti, in particolare sul diesel – che da solo vale 5 miliardi, un quarto del totale – più basse rispetto alla benzina; agevolazioni fiscali per gli autotrasportatori, esenzioni per agricoltura e pesca, sconti per le famiglie. Aumentare le accise e le tasse ad autotrasportatori e agricoltori, soprattutto sotto le elezioni regionali, vorrebbe dire affiancare ai Fridays for future i Saturdays dei gilet gialli.

 

Ma c’è poi un altro problema, che è di ordine tecnico. I Sad non sono facili da catalogare (ad esempio sono considerati dannosi per l’ambiente gli aiuti al reimpianto nelle zone colpite da Xylella in Puglia), non esiste a livello internazionale una definizione unanime e spesso basta una piccola modifica al disegno della norma per trasformare un Sad in Saf, cioè in Sussidio ambientalmente favorevole. E’ inoltre sbagliato pensare a questo Catalogo dei sussidi come a un bacino da cui prelevare denaro. Perché l’aumento della pressione fiscale porta inevitabilmente a ridurre i consumi o cambiare gli input produttivi, riducendo il gettito previsto. Si dirà che questo è proprio un obiettivo dell’eliminazione dei sussidi, ma non è detto che l’effetto finale sull’ambiente sia positivo. Ad esempio, come ha già evidenziato Carlo Stagnaro sul Foglio, le agevolazioni per le industrie “energivore” – e cioè per le imprese che necessitano di un forte consumo di energia elettrica – sono state introdotte per evitare la delocalizzazione di aziende esposte alla concorrenza internazionale. Se il governo decidesse di aumentare il costo dell’energia, che in Italia è di per sé elevato, queste aziende potrebbero spostarsi all’estero, con il duplice effetto che le emissioni di gas serra sarebbero identiche (o anche peggiori se la delocalizzazione avvenisse in paesi dove gli standard sono inferiori a quelli europei) e il nostro tessuto manifatturiero si impoverirebbe. Risultato: il mondo sarebbe più inquinato e l’Italia più povera.

 

Troppo spesso si dimentica che il mondo è un sistema complesso e che un approccio naïf o semplicistico (prendo l’elenco dei sussidi e lo taglio ogni anno del 10 per cento) è controproducente. Per questo motivo adesso il governo sta lavorando di precisione sulla questione Sad, con un maggiore coordinamento tra i ministeri e tra il decreto Clima e il decreto di Bilancio, nel senso che il Mef dovrà indicare il perimetro della manovra e valutare sia politicamente che economicamente gli interventi sulle singole voci.

 

Naturalmente far conciliare tutte le esigenze, quelle politiche, economiche e ambientali, è complicato e non è esente da contraddizioni. Ad esempio, mentre non sono ancora definiti gli interventi sui Sad per il decreto Clima, uno degli interventi allo studio al Mef per la legge di Bilancio è la riduzione dell’Iva sulla bolletta energetica. L’idea è quella di imitare il governo di centrosinistra del Portogallo che, per alleggerire il carico fiscale delle famiglie, ha ridotto l’Iva su gas ed elettricità dal 23 al 6 per cento. In Italia la riduzione dovrebbe essere solo di un paio di punti, visto che l’aliquota è del 10 per cento. Ma il problema è che si tratterebbe di un sussidio dannoso per l’ambiente: secondo il Catalogo stilato dal ministero dell’Ambiente infatti “l’Iva agevolata per l’energia elettrica per uso domestico” è un Sad e uno dei più importanti, visto che da solo vale 1,6 miliardi. Secondo lo standard sposato dal ministro Costa, alle bollette delle famiglie dovrebbe essere applicata l’aliquota ordinaria del 22 per cento, ovvero più che raddoppiata.

 

Il paradosso, insomma, è che dopo i fuochi d’artificio della prima bozza del decreto Costa, anziché eliminare i Sad, il governo rischia di farli aumentare.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali