Il ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti (foto LaPresse)

Immobilismo giallo green

Luca Roberto

I cinque stelle fanno tanto i verdi. Eppure è proprio sull’ambiente che il primo governo Conte è stato fermo. “Ora sull’acqua pubblica cerchiamo di trovare una mediazione” ci dice l’onorevole Braga (Pd)

Sarà anche solo una questione cromatica, ché il verde oramai si porta bene su tutto (meno le tonalità che rimandano al sole delle alpi), ma i Cinque stelle, nel pieno delle mobilitazioni di rito ambientalista, dei primi 14 mesi al governo sembrano avere ricordi sommari, lacunosi. Perché, neanche il tempo di essere investito della riconferma, ecco che il ministro Costa già coglieva la finestra temporale della concomitante assemblea generale delle Nazioni Unite (ospite d’onore: Greta Thunberg) per lanciare sul tavolo del nuovo esecutivo Conte il cosiddetto decreto Clima: un mix di nuove tasse per disincentivare le emissioni inquinanti e di bonus per innescare pratiche “eco-sostenibili”. In aggiunta a una misura sul ciclo dei rifiuti (End of Waste) su cui il ministro si è detto speranzoso di costruire un consenso parlamentare largo. Così. Adesso. Dopo che per l’intera durata della prima esperienza governativa i Cinque stelle si erano limitati a portare a conclusione interventi di natura emergenziale, altro che ambiziosi obiettivi di lungo periodo.

 

Tanto alla Camera quanto al Senato l’attività legislativa delle commissioni ambiente, nei mesi di grilloleghismo al governo, si era concentrata principalmente nella conversione dei decreti legge sull’emergenza Ponte Morandi a Genova, e sul cosiddetto Sblocca cantieri (nell’esame di quest’ultimo in commissione ambiente al Senato, la maggioranza riuscì perfino ad andare sotto nel voto a un emendamento che riguardava il condono edilizio a Ischia, nel novembre 2018). Nient’altro. Ad eccezione di un grande must dei grillini, che sull’argomento ci hanno investito uno dei cinque corpi celesti fondativi. “Si può dire che il lavoro della commissione Ambiente alla Camera fosse ostaggio della loro fissazione per il tema dell’acqua pubblica” racconta al Foglio la capogruppo leghista in commissione Elena Lucchini. E infatti, tra i disegni di legge in corso di esame vi figura proprio quello a prima firma Federica Daga, deputata grillina, recante “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”.

 

Adesso che il contesto è stato stravolto dalla crisi ferragostana, che le alleanze e le inimicizie si sono sciolte e ricomposte, chi fino a un secondo prima non ne voleva sentir parlare di trovare una quadra allargata alle altre forze politiche, proprio sul cavallo di battaglia sarà costretto a confrontarsi con i nuovi compagni di viaggio. All’inizio di febbraio Chiara Braga, capogruppo del Pd in commissione Ambiente alla Camera, scrisse sul suo blog che i festeggiamenti di Grillo sulla proposta di legge idrica dei suoi erano “una fanfara utile solo per provare a rifarsi un’immagine di verginità ambientale dopo i disastri di questi mesi”. “Su quel disegno di legge non c’erano coperture certificate dalla ragioneria dello stato, e questo fu uno dei motivi per cui ci opponemmo. Ci auguriamo che ora si possa lavorare insieme, trovando una sintesi tra la nostra proposta e la loro, al riparo da divisioni ideologiche” dice adesso al Foglio la Braga. In passato i dem erano stati accusati dai futuri alleati di voler “affossare il referendum del 2011” privatizzando la gestione dell’acqua. Ma è su di loro, ironia della sorte (o dell’astronomia), che i grillini dovranno fare affidamento per non essere accusati di aver dato vita a un governo ancor meno giallo green di quello giallo verde.

Di più su questi argomenti: