L'urlo di Greta ha sbagliato bersaglio
Nella battaglia sul clima il principale imputato è la politica, soprattutto dell’occidente (mai sentito parlare di Cina?). Eppure i paesi occidentali spendono buona parte dei loro bilanci per investire sulla sostenibilità ambientale
Forse non si è mai discusso quanto oggi del cambiamento climatico. Il tema non è nuovo, né le manifestazioni a favore delle politiche ambientali. Tuttavia la salienza nel dibattito pubblico ha raggiunto un picco: proposte di “tasse green”, discorsi di Greta Thunberg, scioperi per il clima e la 74esima sessione annuale dell’assemblea dell’Onu, tutto si tiene. E quando si raggiunge il picco, è naturale che si diffondano anche notizie infondate e narrazioni fuorvianti. Diciamolo: questo tema da sempre ha attratto argomentazioni anti-scientifiche o quantomeno scettiche rispetto al consenso degli esperti. Oggi forse questi punti di vista, che spesso non hanno trovato fondamento nella realtà, sono passati in secondo piano: gran parte del pubblico è convinto che il nostro pianeta si stia scaldando e che questo fenomeno sia in parte attribuibile alle attività umane. Ma quelle tesi non sono scomparse: rimangono dormienti tra gli scettici, e rischiano di tornare in auge alla prima occasione. Dall’altra parte, è anche vero che una mobilitazione così massiccia, soprattutto fra le giovani generazioni, tra chi invece è convinto che il futuro del pianeta sia in pericolo inesorabilmente rischia di cavalcare notizie in parte infondate o almeno esagerate. Serve quindi fare un po’ di chiarezza.
Gli errori di chi nega il cambiamento climatico
Partiamo da chi nega l’importanza del cambiamento climatico o mette in dubbio la causa umana dell’incremento della temperatura. Per rendersi conto di quali siano le più diffuse argomentazioni di chi è critico, basta una breve ricerca su YouTube: tra i due video più cliccati troviamo un intervento in Parlamento del premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, risalente al 2014, e una spiegazione della “grande bugia” del riscaldamento globale di Luca Discacciati, un trader finanziario che su YouTube tratta argomenti spinosi con titoli clickbait. I due filmati assieme hanno superato il milione di visualizzazioni. Ecco alcune delle argomentazioni riportate e smentite, anche grazie alle informazioni riportate dal sito di divulgazione scientifica skepticalscience.com.
“L’uomo produce solo l’1 per cento della anidride carbonica presente in natura”. Secondo i ricercatori, le emissioni di CO2 prodotte dall’uomo sono attorno al 3 per cento rispetto a quelle emesse naturalmente dall’ecosistema. Il numero dunque di per sé non è distante dalla realtà. Tuttavia l’anidride carbonica addizionale, quella prodotta per mano umana, non riesce a essere completamente assorbita dall’ambiente come avviene invece per la componente naturale di gas. Perciò una parte importante della anidride prodotta da attività umane rimane in atmosfera: proprio questo ha causato il raggiungimento del più elevato livello di CO2 nell’atmosfera degli ultimi 400mila anni, almeno. Ecco il problema.
“Nel secolo scorso tra il 1940 e il 1975 la temperatura è calata mentre la CO2 aumentava”. Ovviamente l’uomo non è l’unico fattore di causa dell’aumento dell’anidride carbonica e quindi della temperatura. Altre ragioni possono essere l’attività solare e quella vulcanica. Il fatto che nel dopoguerra la temperatura sia stata mediamente più bassa rispetto agli anni precedenti è dovuto alla ridotta attività solare rispetto ai primi decenni del Novecento (Tett, 2002). All’epoca infatti le emissioni umane non avevano ancora il potenziale per influenzare in modo determinante il clima e così la temperatura si è mediamente abbassata. Ma nel corso degli anni ’70, l’effetto dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo ha iniziato sempre più a farsi sentire, invertendo il trend della temperatura che è tornata ad aumentare.
“Il riscaldamento globale è colpa del Sole”. La stella del sistema solare può in effetti, come già dicevamo, provocare notevoli effetti sul clima terrestre. Tuttavia dagli anni ’70, cioè da quando l’attività umana ha avuto un peso determinante e la temperatura ha iniziato a crescere con il trend odierno, l’attività solare è stata misurata in diminuzione. Vale a dire che se la temperatura negli ultimi decenni sta salendo vistosamente, il sole starebbe invece contribuendo a ridurla. Questo è il risultato di ricerche scientifiche (Lockwood, 2008) e dell’osservazione della correlazione dei due fattori.
“Il clima della Terra è sempre cambiato. […] Oggi la temperatura è più bassa rispetto ai tempi dei romani. […] Dal 2000 al 2014 la temperatura della Terra non è aumentata, è diminuita”. Queste sono parole del premio Nobel Carlo Rubbia (che nel video non nega mai la causa antropica dell’aumento della temperatura). In effetti è vero: nel passato, anche relativamente vicino per i tempi terrestri, la temperatura media è stata più elevata di quella di oggi. Tuttavia ciò non significa che anche allora questi cambiamenti del clima non avessero richiesto enormi capacità di adattamento da parte della nostra specie. Alcuni storici infatti suggeriscono che le invasioni barbariche dell’Impero romano si siano verificate anche perché le popolazioni orientali erano alla ricerca di terre migliori, dopo che l’innalzamento della temperatura aveva progressivamente reso inospitali quelle da cui provenivano. Se all’epoca il riscaldamento globale ha contribuito alla caduta dell’impero che dominava sull’intero Mediterraneo, immaginiamoci cosa potrebbe accadere oggi, con un pianeta enormemente più popoloso e confini più rigidi che impedirebbero flussi migratori di quella portata. Per quanto riguarda invece la seconda affermazione di Rubbia - sull’abbassamento della temperatura dal 2000 in poi - si tratta di informazioni basate sui dati disponibili nel 2014, quando Rubbia prese la parola, ma oggi rivisti alla luce di nuove evidenze. Come riporta il sito di fact-checking Pagella Politica, i dati della Nasa mostrano infatti come dal 2000 al 2014 la temperatura della superficie terrestre non è diminuita ma aumentata ogni anno, a velocità sempre maggiore, rispetto alla media del periodo 1951-1980.
Gli errori di chi protesta per l’ambiente
Ma anche tra le fila opposte, come dicevamo, si diffondono imprecisioni e messaggi semplicistici. Greta Thunberg afferma di leggere i report dell’Ipcc, il panel intergovernativo delle Nazioni unite che riunisce scienziati che studiano il cambiamento climatico, e di comunicare attraverso i loro numeri. È in parte così: Greta nei suoi discorsi accenna spesso ai risultati scientifici dei report dell’Onu. D’altra parte talvolta ha esagerato, presentando come certi alcuni scenari che gli scienziati invece ritengono solamente probabili, o possibili.
Ma sono altre le argomentazioni poco aderenti alla realtà da parte di Greta e di alcuni tra coloro che la seguono. Per esempio, si tende a credere che la crescita economica sia nemica del cambiamento climatico. L’ha ben espresso Thunberg all’Onu nel suo discorso di alcuni giorni fa: “siamo di fronte a un’estinzione di massa, ma voi ancora parlate delle favole sull’eterna crescita economica”. Ecco, questo è un punto cruciale perché da qui dipendono anche le soluzioni al problema. Se la crescita economica fosse davvero nemica dell’ambiente, non ci sarebbe altra soluzione che bloccare lo sviluppo e limitarci a preservare l’ecosistema. Fortunatamente la realtà è un po’ più complessa.
Infatti, se guardiamo i semplici dati ci accorgiamo che alcuni paesi sono cresciuti economicamente e allo stesso tempo hanno ridotto le emissioni di CO2 stabilmente nel tempo, grazie a politiche specifiche di mitigazione del riscaldamento e all’innovazione. È il caso dell’Unione Europea, che dal 1990 ha ridotto le proprie emissioni di circa il 20 per cento e allo stesso tempo ha accresciuto il proprio Pil del 58. Gli stessi Stati Uniti, che sono uno dei paesi più inquinanti al mondo, hanno aumentato le emissioni di CO2 di solo l’1 per cento dal 1990 mentre nel frattempo il loro reddito è quasi raddoppiato. Queste sono semplici correlazioni, è chiaro. Le emissioni potrebbero essere calate anche per altri motivi. Ad esempio le importazioni dall’estero. Negli ultimi decenni numerose aziende manifatturiere occidentali hanno delocalizzato le produzioni in paesi in via di sviluppo, da cui i prodotti sono poi importati. Questo produce un effetto apparente di riduzione delle emissioni nocive, non dovuto però a maggiore efficienza energetica o a investimenti nella green economy, ma semplicemente allo spostamento della produzione senza effetti benefici sull’atmosfera (che, come sappiamo, non conosce confini nazionali). Secondo diverse stime questa componente ha avuto un ruolo per la riduzione dei gas prodotti dall’Unione europea (soprattutto nel periodo precedente alla crisi economica, secondo il Global Carbon Project), ma le emissioni sarebbero comunque parzialmente calate anche senza il boom delle delocalizzazioni e delle successive importazioni. Si può dunque crescere economicamente e ridurre il proprio impatto ambientale, come hanno dimostrato ormai diversi anni fa i famosi economisti Krueger e Grossman.
C’è anche una seconda narrazione che traspare abbastanza chiaramente dalle parole di Greta e del suo pubblico: la politica, soprattutto nei paesi occidentali (avete mai sentito Greta parlare di Cina?), non ha ancora fatto niente per mitigare il cambiamento climatico. Questo semplicemente non è vero. Oltre ai risultati già sottolineati sulle emissioni, i paesi occidentali stanno spendendo buona parte dei loro bilanci pubblici per investire sulla sostenibilità ambientale e allo stesso tempo impongono spesso un’elevata tassazione sui comportamenti che generano esternalità negative per l’ambiente. Si tratta in larga parte di sforzi insufficienti, come dimostrano i monitoraggi del Climate action tracker e del Climate change performance index, ma ci sono. Anzi, come si è verificato in Francia sono talvolta i ceti meno abbienti che non sono interessati alla lotta al cambiamento climatico – non è facile pensare all’ambiente quando hai uno stipendio basso o pensi sia in atto una sostituzione etnica dell’Europa – e non accettano i costi sociali necessari per ridurre l’inquinamento. Far passare il messaggio che il problema è rappresentato dai potenti della Terra è comprensibile per una ragazzina di 16 anni con tanto coraggio e poca esperienza, ma non è l’approccio che serve per comprendere e contrastare – senza costi sociali troppo elevati – la sfida del clima che cambia.