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“Per non tornare peggiore di prima, all'Italia serve un nuovo modello”

Renzo Rosati

Il ruolo delle banche, l’innovazione necessaria, la cultura che può sopravvivere e l’Europa da capire. Parla Francesco Micheli

Roma. “L’Italia ha dimostrato capacità straordinarie per collocare il proprio debito anche quando gravavano interessi strabilianti. Non vedo danni per i Btp dalla concorrenza di nuovi strumenti a tripla A, Covid bond o Eurobond. C’è tra l’altro il QE rafforzato della Bce che aiuta” dice al Foglio Francesco Micheli, personaggio mitico della finanza dalle ruggenti scalate di borsa anni Ottanta alla fondazione nei primi Duemila di e.Biscom-Fastweb, vent’anni prima delle diatribe sulla rete in fibra. Per Micheli, oggi figura di spicco della milanesità del business, mecenatismo e cultura (imprenditore nel biotech con Genextra e Intercept quotata al Nasdaq, consigliere del Teatro alla Scala, del Fai, presidente dell’Istituto europeo di neuroscienze), il problema dalla Ue richiede una veduta più ampia. “Siamo cosmopoliti ed europeisti, ma il danno fu fatto accettando che l’Europa sfruttasse il proprio Sud come noi abbiamo sfruttato il nostro meridione. Non rendendo competitivi i sistemi produttivo, tecnologico, scolastico, abbiamo consentito la sudditanza all’industria dei paesi del Centro-Nord che beneficiano qui da noi di filiere a costi inferiori del 30 per cento. Ciò di cui si discute oggi è il riflesso e la coda di paglia, di questa debolezza”.

 

Micheli non si scandalizza per la mancata solidarietà dell’Olanda, “una costante storica, anche lì il governo è alle prese con i populismi, come la Polonia che in teoria dovrebbe essere dalla nostra parte. Le posizioni nette non le comprendiamo, essendo la nostra la terra del compromesso”. Né, per Micheli, servono immaginarie rappresaglie, contro il trasferimento nei Paesi Bassi delle sedi legali delle grandi aziende. “Lo scopriamo ora che la concorrenza fiscale è la vera industria olandese? O crediamo che siano il formaggio e i tulipani? Per citare un Giulio Tremonti d’antan, ‘abbiamo fatto l’Europa con 11 paesi e 11 fischi’, intendendo i sistemi tributari”. Piuttosto “abbiamo l’opportunità irripetibile di concentrare le energie politiche su due orizzonti: la gestione dell’uscita dalla quarantena, che deve essere assolutamente graduale, per fasce segmentate. E, punto due, immaginare un dopo che per l’economia non dovrà essere la ripetizione del Congresso di Vienna del 1815, quando la restaurazione trionfò tra balli e parrucche. Infatti non durò”. In sintesi? “Nella crisi di classe dirigente serve un nuovo Principe. Le idee di Mario Draghi sono le più vicine al concetto, e non necessariamente candidandolo a palazzo Chigi”. Intanto occorre “riaprire al più presto la produzione per i settori indispensabili: sanità, alimentare e industria. Cultura, alberghi, ristoranti e affollamenti sportivi dopo, a bocce ferme, per non ricadere nel contagio. Mi spiace per le lagnanze dei miei amici dei teatri, dei festival e dell’opera. La cultura è sopravvissuta, rilanciandosi, alle guerre e alle bombe. Le scuole funzionano benissimo da remoto. Ancora più deve rifondarsi il turismo, che in Italia è polverizzato tra mille interessi minimi che non fanno un’industria. Siamo il paese delle concessioni gratis e del lavoro nero, ma non abbiamo a Pompei alberghi di standard internazionale quando la Cambogia ne ha decine ad Angkor”. E le persone? “Tecnologie e intelligenze delle quali siamo pieni: tracciamenti, app, teleassistenza e telesorveglianza. Screening di massa. Per farlo sospendiamo per almeno 18 mesi il tabù della privacy”. E’ giusto far gestire alle banche l’erogazione dei crediti, visto che l’Inps ne è incapace? “E’ il loro lavoro, le banche hanno gli strumenti informatici e in questi anni hanno risparmiato molto. Ovvio che vanno accompagnate: può farlo Bankitalia, ridandosi un ruolo visto che non ha più molto altro da fare. Come la Confindustria. O da questa vicenda si esce reinventandoci tutti, e ci rafforzeremo offrendo stavolta un modello agli altri, o finita la pandemia torneremo peggio di prima”.