Il primo ministro olandese, Mark Rutte (foto LaPresse)

Gli eurobond (che l'Olanda non vuole) sarebbero utili. Lo dice uno studio olandese

Mariarosaria Marchesano

L'Università di Amsterdam non la pensa come il premier Rutte. Secondo l'Aces, l'introduzione di un meccanismo di condivisione del debito sarebbe uno "stabilizzatore automatico" tra centro e periferia

Milano. I leader dei paesi europei fanno fatica a trovare una risposta politica condivisa all'emergenza Covid-19 essenzialmente per le resistenze del "fronte del nord" che vede in particolare l'Olanda e il suo premier Mark Rutte su posizioni molto severe, anche se non del tutto condivise dalla maggioranza che lo sostiene. A dimostrazione della diversità di opinioni esistente all'interno del paese più ostile all'introduzione degli Eurobond, arriva uno studio dell'Università di Amsterdam che, invece, punta a dimostrare la necessità di questo strumento di cui non si avvantaggerebbero solo i paesi più indebitati ma l'intera Eurozona attraverso un riequilibrio tra "centro" e "periferia".

 

Lo studio è dell'Amsterdam Centre for European Studies (Aces), il prestigioso centro per la ricerca, l'istruzione e il dibattito pubblico sull'Europa dell'Università di Amsterdam, secondo cui l'introduzione di Eurobond, insieme alla capacità di bilancio dei singoli paesi, avrebbero un effetto di macro-stabilizzazione dell’area e porterebbe anche a un miglioramento del mix di politiche che va dallo stimolo monetario a quello fiscale. E' significativo che il documento accademico sia stato reso pubblico proprio nel giorno della riunione dell'Eurogruppo del 7 aprile che è stata preceduta da giorni di dibattito arrovellato sulle etichette piuttosto che sulla strategia più efficace da mettere in campo.

 

La ricerca, firmata da due economisti, Lorenzo Codogno (London School of Economics) e Paul van den Noord (Università di Amsterdam), arriva alla conclusione che se all'inizio della grande crisi finanziaria del 2008 fossero esistiti gli Eurobond, la recessione sarebbe stata molto più attenuata e con minor necessità di ricorrere a una politica monetaria "non convenzionale". In pratica, non ci sarebbe stato bisogno del "Whatever it takes" di Mario Draghi e gli strumenti a disposizione della Bce non si sarebbero quasi esauriti com'è successo rendendo l'Europa quasi inerme di fronte a uno choc esterno violento come quello del Covid-19.

 

I due economisti concordano con l'opinione secondo cui i governi devono comportarsi in modo responsabile e ammettono che durante la crisi del debito sovrano del 2011-2012 un paese importante come l'Italia è riuscito a sfuggire a un programma di aiuti europeo condizionato grazie anche alla straordinaria azione della Bce, che ebbe l'effetto di ridurre i rendimenti dei titoli sovrani. Di conseguenza si è affievolita la pressione sul governo italiano per indurlo a mettere la politica fiscale su un percorso sostenibile e ad affrontare riforme strutturali. Questo stato di cose, sostengono Codogno e van den Noord, "è ovviamente un argomento controverso per i membri della zona euro settentrionale. E frustra qualsiasi iniziativa volta a condividere il rischio finanziario e macroeconomico nell'Eurozona compresa l'istituzione di una capacità fiscale, cioè di un'obbligazione unica". 

 

Fatte queste premesse, lo studio dell'Aces prova a sostituire in un modello matematico gli Eurobond con le obbligazioni nazionali sui bilanci delle banche e della Bce arrivando alla conclusione che un meccanismo di condivisione del rischio sarebbe senza dubbio più vantaggioso. In assenza di questo, infatti, la Bce è tenuta continuamente a correre in soccorso degli stati nazionali attraverso il programma di acquisto delle attività (Quantitative easing). Se non intervenisse la banca centrale europea, i paesi periferici finirebbero col vedere lievitare alle stelle gli spread e le loro banche rischierebbero la bancarotta a causa degli elevati costi di rifinanziamento.

 

La proposta avanzata dal centro di ricerche, in estrema sintesi, è la seguente: gli Eurobond dovrebbero essere emessi da un'istituzione europea che così fornirebbe una nuova "capacità fiscale" con una garanzia congiunta dei paesi. Questo contribuirebbe a spezzare il circolo vizioso tra il costo del finanziamento bancario e i rendimenti sovrani. Di qui, la funzione di stabilizzazione automatica efficace per l'intera Eurozona che avrebbe così  titoli di debito essenzialmente privi di rischio al pari di quelli americani.

 

Che si tratti di un esercizio accademico oppure di una proposta con qualche chance di concretizzarsi, l'analisi dell'Università di Amsterdam dimostra quanto ideologica sia stata finora la discussione europea sulla risposta allo choc coronavirus rifiutando di prendere in considerazione uno strumento con concrete possibilità di essere efficace. 

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