Pastori, non prefetti

La scelta del nuovo vescovo di Genova chiarisce una volta per tutte quel che il Papa pensa della chiesa italiana

A gennaio in curia si diceva che la sostituzione del cardinale Angelo Bagnasco, già in proroga da due anni, sarebbe arrivata “entro Pasqua”. Probabilmente la pandemia ha ritardato il cambiamento, anche se tutto ormai faceva pensare che il passaggio del pastorale fosse stato rimandato a dopo l’estate. Invece, no. A sorpresa, Francesco una settimana fa ha nominato quinto successore di Giuseppe Siri un frate francescano di Padova, Marco Tasca, conventuale “con i sandali” (come subito taluni hanno evidenziato, quasi che l’andare scalzi sia segno di rettitudine e santità). Non uno sprovveduto, comunque: è stato ministro generale per due mandati, quindi sa come si governa.

 

Detto ciò, la nomina è interessante perché conferma l’idea che Francesco ha dei vescovi italiani: una compagine che necessita di un profondo ricambio. Non sono pochi, ormai, i semplici preti spediti nelle diocesi (anche in quelle importanti), spesso assai lontane dal luogo d’origine. Più che una mera questione politica – progressisti o conservatori – al Papa interessa far entrare aria nuova e possibilmente fresca. Anche per superare un certo immobilismo che in tempo di emergenza sanitaria è parso evidente, con tutte le contraddizioni della Cei già ampiamente illustrate nelle settimane scorse. E’ in quest’ottica che va letta la scelta di Tasca, il cui nome non l’aveva fatto nessuno, proprio perché si tendeva a ragionare con le vecchie logiche fatte di trasferimenti di sede – cosa rarissima con Bergoglio Papa, ne sarà contento dal Paradiso il cardinale Gantin – con il vescovo trattato alla stregua d’un prefetto governativo.

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